Archive for the ‘Immigrazione’ Category

“Meloni usi la Marina per i respingimenti. Come la mia Australia”

sabato, Giugno 24th, 2023

Francesco Giubilei

Tony Abbott è una delle figure più conosciute nel mondo conservatore anglofono, già leader del partito di centrodestra australiano «Liberal Party», è stato Primo ministro dell’Australia dal 2013 al 2015. La sua notorietà è dovuta all’Operation Sovereign Borders, un’iniziativa messa in campo per fermare l’immigrazione irregolare e diventata famosa grazie allo slogan «No Way». Vista l’attualità della tematica migratoria, Abbott propone alcune idee a Giorgia Meloni e al governo italiano su come fermare i flussi migratori illegali. Lo abbiamo incontrato in occasione della conferenza «Recovering Conservatism» organizzata a Londra dal Danube Institute e intervistato in esclusiva per Il Giornale.

Presidente Abbott non possiamo che iniziare parlando di immigrazione, lei da Primo Ministro ha realizzato l’Operation Sovereign Borders, un’iniziativa che riuscì a fermare l’immigrazione irregolare, in cosa consisteva?

«Prima di tutto occorre raccontare un po’ di storia. Alla fine degli anni Novanta iniziarono ad arrivare in Australia dall’Indonesia piccole imbarcazioni con migranti che volevano entrare illegalmente nella nostra nazione. Il governo adottò alcune misure per fermare l’immigrazione irregolare. La prima consisteva nel trasferire i migranti che arrivavano in Australia a Christmas Island o a Nauru dove furono allestiti centri di accoglienza. La seconda nell’introdurre un permesso di protezione internazionale, la terza nel rimpatriare i migranti entrati illegalmente. Questa era la politica australiana in materia di immigrazione fino al 2001 quando ci fu una controversia su una nave con oltre 400 migranti nota come Tampa affair».

Poi cosa è accaduto?

«Nel 2007 Kevin Rudd, candidato del Labour Party (centrosinistra) vince le elezioni dicendo che avrebbe mantenuto intatte le politiche sull’immigrazione. In realtà Rudd modifica le regole, chiude gli hotspot e riprendono gli sbarchi in modo massiccio, più di 800 navi in 5 anni, durante il suo governo; un’estate nel solo mese di luglio entrarono irregolarmente in Australia oltre 5000 persone».

Arriviamo così alla sua elezione a Primo Ministro

«Nel 2013 divento Primo Ministro, reintroduco le misure precedenti che erano state abolite aggiungendone altre tre e creando l’Operation Sovereign Borders. Invece di avere numerosi enti e figure che si occupano del controllo dei confini, nomino il generale Angus Campbell a capo dell’operazione, una sola persona al comando che coordina navi, aerei, polizia di frontiera. In secondo luogo il nostro governo fornisce ai media le notizie dei respingimenti realizzando un’attività comunicativa di deterrenza anche all’estero. In terzo luogo la nostra marina viene impiegata per rimandare indietro le imbarcazioni con i trafficanti».

La sua fu un’operazione importante ma un conto è l’Australia un altro il Mare Mediterraneo, pensa il governo Meloni possa realizzare un progetto analogo in Italia?

«Noi abbiamo provato a parlare a lungo con l’Indonesia senza ottenere risultati e potrebbe avvenire lo stesso con i paesi del Nord Africa. Spesso il problema di questi paesi è la corruzione e la collusione tra la politica e i trafficanti. Il rischio è che se gli diamo soldi ne chiederanno sempre di più senza risolvere il problema».

L’utilizzo della Marina non potrebbe portare a incidenti come quello avvenuto qualche settimana fa a Cutro dove hanno perso la vita numerosi migranti?

«No, questi incidenti avvengono per colpa dei trafficanti di esseri umani, è importante dirlo e sottolinearlo. L’unico modo per fermare le morti in mare è fermare i trafficanti e l’utilizzo della Marina serve a questo».

Sui temi migratori l’Italia deve però interfacciarsi anche con l’Ue

«La sovranità nazionale è una priorità ed è evidente che l’immigrazione sia un tema legato alla sovranità, sono scettico sull’efficacia dell’Unione europea in materia di immigrazione».

Rating 3.00 out of 5

Grecia, poche speranze di trovare superstiti. “È la tragedia più grave”

sabato, Giugno 17th, 2023

Franceco De Palo

Mentre non si fermano le operazioni di ricerca nelle acque dinanzi al Peloponneso, con una fregata militare, un elicottero Super Puma e diversi droni, e si assottigliano le speranze di trovare sopravvissuti dopo il naufragio del peschereccio Adriana, sono le voci politiche a confrontarsi aspramente, palesando attacchi ideologici accanto ai racconti di chi ce l’ha fatta. Intanto chi aveva lasciato intendere che vi fosse una responsabilità diretta greca è stato smentito dalle testimonianze, che parlano apertamente di due offerte di soccorso da parte della Guardia Costiera ellenica. Quest’ultima ha lanciato una corda prima dell’affondamento, ma gli immigrati l’hanno sciolta. Fino a questo momento sono stati salvati 104 migranti, di cui 71 trasferiti in una struttura a Malacca, 27 ricoverati in ospedale, 9 arrestati, mentre i cadaveri recuperati sono 78. Nonostante ciò, le ong continuano ad attaccare: Save the Children, assieme ad Amnesty International e altre otto, invoca un’indagine completa sul ruolo degli Stati membri e sul coinvolgimento di Frontex, passaggio che si è verificato sin dalle prime ore dopo il naufragio quando, sul molo di Kalamata, polizia e intelligence greca hanno iniziato a interrogare gli scafisti, raccogliendo preziose informazioni sul viaggio e su quanto ha fruttato alle organizzazioni criminali. Ma sembra non bastare alle ong, che accusano le autorità di diversi Stati membri di essere state informate dell’imbarcazione in difficoltà molte ore prima del suo rovesciamento e anche un aereo di Frontex era presente sulla scena, sostengono. Non fanno menzione dei rifiuto da parte dell’Adriana dell’intervento greco, anzi chiedono alla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, di «assumere finalmente una posizione chiara rispetto al cimitero a cielo aperto alle frontiere terrestri e marittime dell’Europa e a richiamare gli Stati membri alle proprie responsabilità». Il riferimento è a un sistema di asilo europeo, nella consapevolezza che, come osservato dal direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, salvare vite umane è «ovviamente la massima priorità» dell’Agenzia europea. Bruxelles, chiamata i causa dalle ong, replica per voce della commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, secondo cui non ci sono ancora tutte le informazioni su cosa è successo nel naufragio di Pylos. Ma su un punto non ci sono dubbi: «I trafficanti che mettono queste persone sulle navi non le stanno mandando verso l’Europa.

Rating 3.00 out of 5

Il naufragio dei migranti in Grecia: «Cento bambini nella stiva». Le vittime potrebbero salire a 600

venerdì, Giugno 16th, 2023

di Gianni Santucci

Fermati nove scafisti egiziani. Le salme recuperate sono 78, centinaia i dispersi. Il medico dell’ospedale: «Tra i 104 sopravvissuti c’è chi ricorda molti minori sottocoperta»

Il naufragio dei migranti in Grecia: «Cento bambini nella stiva». Le vittime potrebbero salire a 600

DAL NOSTRO INVIATO
ATENE — La notte non porta nuovi sopravvissuti. Non porta neppure altri corpi di morti (per ora 78). L’alba illumina soltanto voci d’altra disperazione. Dei 104 messi in salvo, una trentina sono in ospedale. Una dozzina passano l’intero pomeriggio sotto interrogatorio negli uffici della guardia costiera: nove, in serata, finiscono in arresto, accusati di far parte dell’equipaggio al comando del peschereccio affondato. Sono tutti egiziani. Il comandante sarebbe riuscito a scappare nel pomeriggio prima del naufragio, ma non ci sono conferme della testimonianza raccolta dagli attivisti di Alarm Phone. Gli altri salvati, gli innocenti, sono rimasti in un silos d’acciaio azzurrognolo nel porto di Kalamata, Peloponneso sud-occidentale, prima di venire trasportati (tra ieri sera e oggi) in una struttura di accoglienza a Malakasa, non lontano da Atene.

Tre giorni in mare

Sono gli unici sopravvissuti (tutti uomini) al naufragio del peschereccio che s’è ribaltato a 80 chilometri dalla costa greca nella notte tra martedì e mercoledì. Secondo le testimonianze raccolte dalla polizia, avrebbero pagato tra i 4 e i 7 mila dollari per il viaggio, e sarebbero partiti dalla Libia orientale, zona di Tobruk, Cirenaica, il 10 giugno. Quando è scattato l’allarme, erano dunque in mare già da tre giorni, con poca acqua e pochi viveri. Tre giorni in cui il peschereccio ha avuto due guasti al motore, riparati in qualche modo da chi era al comando. Fino alla rottura definitiva, nel pomeriggio di martedì, e l’inizio della lenta deriva, a 45-50 miglia nautiche da Pylos.

«Non si trova nessuno»

Una soccorritrice dell’Hellenic rescue team racconta: «I sopravvissuti hanno fame, sete. Cercano di farsi capire a gesti». Anche loro, cercano i dispersi. «Sono in totale stato di choc — racconta ieri all’agenzia Ap Erasmia Roumana, capo delegazione dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati — Chiedono di potersi mettere in contatto con le famiglie. E continuano a chiedere dei dispersi. Sul peschereccio avevano amici, parenti, figli. E di tutte queste persone che mancano, non si trova nessuno». Un ragazzo egiziano, di fronte alle telecamere, implora un aiuto per ritrovare il cugino, che era a bordo con lui. Soprattutto, non si trovano i bambini.

I bambini mancanti

Dicono che ce ne fossero molti, nella stiva. Almeno 50, forse 100. Le stime ipotizzano, in totale, 750 migranti a bordo. Considerato che le persone in salvo sono 104, il numero delle vittime potrebbe essere enorme, più di 600. In ospedale a Kalamata ieri mattina c’erano ancora 29 persone. Manolis Makaris, cardiologo, ha parlato dello stress dei ricoverati, e soprattutto di chi chiama per sapere se ci siano bambini: «Per tutta la notte mi hanno mandato foto di minori per scoprire se sono stati salvati. Alcuni sapevano che c’erano bambini nella stiva». Quanti? «Ci sono testimonianze diverse, alcuni dicono 50, altri 100, nessuno di loro può sapere con precisione chi ci fosse sottocoperta».

Tante versioni

I magistrati greci hanno aperto un’inchiesta. L’organizzazione Alarm Phone fornisce una ricostruzione dettagliata dei contatti col peschereccio, tra le 14.17 e le 20.05 di martedì, quando la barca già in mattinata viene comunque individuata da un aereo dell’agenzia Frontex, e avvicinata da almeno sette imbarcazioni, tra qui lo yacht che trasporterà i sopravvissuti, il mercantile Lucky Sailor che riesce a fornire acqua, alcune vedette della guardia costiera greca che, secondo la versione delle autorità elleniche, avrebbero ricevuto due informazioni: il peschereccio non era in imminente pericolo e le persone a bordo intendevano proseguire verso l’Italia. Versioni che potrebbero essere smentite, e che sono ora al centro delle polemiche internazionali. Ha detto l’ammiraglio della guardia costiera greca in pensione Nikos Spanos: «La nave era un cimitero galleggiante, una barca molto vecchia. Di solito donne e bambini in tali viaggi li mettono sul fondo. Li bloccano in modo che non possano muoversi. Il ministero della navigazione è stato informato tramite Frontex. L’Italia ci ha “affidato” l’incidente poiché si stava svolgendo nella nostra zona. La nave era in difficoltà. In un caso del genere, lo stato greco doveva agire immediatamente. Far partire il piano operativo, le barche di soccorso dovevano precipitarsi nell’area».

Rating 3.00 out of 5

Migranti, un’altra Cutro. Affonda peschereccio davanti alle coste della Grecia: 79 morti, 200 dispersi

giovedì, Giugno 15th, 2023

Flavia Amabile

I corpi percossi dalle onde, i sopravvissuti che si trascinano a fatica sulla spiaggia. Il dramma che si è consumato a fine febbraio a Cutro, sulla costa della Calabria, ieri si è ripetuto a Kalamata, in Grecia, una città a 250 chilometri a Sud-est di Atene. Sono almeno 79 i migranti che hanno perso la vita nel naufragio di un peschereccio con centinaia di persone a bordo avvenuto dinanzi alla costa greca. Sono 79 ma il bilancio «probabilmente si aggraverà», avverte un portavoce della Guardia Costiera greca.

Finora sono state salvate 104 persone ma sul peschereccio viaggiavano tra le 400 e le 700 persone. Vuol dire che, nella più rosea delle stime, sono disperse oltre 200 persone ma potrebbero essere anche il doppio. «Potrebbe trattarsi di uno dei naufragi con il maggior numero di vittime», spiega Flavio Di Giacomo, portavoce per il Mediterraneo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Cifre che rendono ancora più drammatico il bilancio dei morti in mare già arrivato a quota 1039 dall’inizio del 2023, ricorda Flavio Di Giacomo. «Una cifra largamente sottostimata perché da quest’anno molte sono le partenze dalla Tunisia su imbarcazioni in ferro che sono la causa di tanti naufragi di cui non si ha nemmeno notizia».

«Più passano le ore più ci prepariamo al peggio», ammette Giorgos Favas, assessore alle Politiche Sociali del piccolo centro greco dove dalle undici di ieri mattina sono arrivati i primi scampati al naufragio. Sono «in buone condizioni di salute ma sotto shock» precisa Favas. Stavano viaggiando su un peschereccio lungo circa trenta metri, salpato da Tobruk, sulla costa libica, e diretto in Italia secondo quanto riportato dalla Guardia costiera greca. «Ma l’imbarcazione conteneva il doppio e forse il triplo dei passeggeri consentiti, e si è ribaltata», racconta Favas. Il naufragio è avvenuto nelle acque dell’Egeo, a 47 miglia nautiche da Pylos nel Sud del Peloponneso.

Il peschereccio era stato avvistato da un aereo dell’agenzia europea Frontex a mezzogiorno di due giorni fa e poi «successivamente da due motovedette, senza richiedere assistenza», racconta la Guardia costiera greca. I «migranti hanno poi rifiutato qualsiasi assistenza e hanno dichiarato di voler proseguire il viaggio verso l’Italia», sostengono i greci. Ma, in un comunicato, Alarm phone smentisce questa ricostruzione sostenendo che la Guardia costiera ellenica era «stata allertata alle 16.53» di due giorni fa così come «le autorità greche e le altre europee». Quindi «erano ben consapevoli di questa imbarcazione sovraffollata e inadeguata» ma – denuncia il centro che si occupa di ricevere le telefonate di soccorso – «non è stata avviata un’operazione di salvataggio», mentre «la Guardia Costiera ellenica ha iniziato a giustificare il mancato soccorso sostenendo che le persone in difficoltà non volevano essere soccorse in Grecia». Sarebbero state così perse – secondo Alarm phone – ore cruciali, fino al naufragio.

Rating 3.00 out of 5

Dai tempi di accoglienza al diritto di asilo. Svolte e nodi del patto europeo sui migranti

sabato, Giugno 10th, 2023

di Gian Micalessin

Se anche il Parlamento darà il via libera, saranno finalmente scardinate le regole di Dublino che limitavano le ricollocazioni negli altri Paesi dell’Ue Avatar

È la prima e unica vittoria conseguita in dieci e passa anni da un governo italiano nel difficile confronto con l’Europa sul tema dei migranti. Ed è oltremodo importante e significativa. Nella complessa partita giocata giovedì durante il vertice dei ministri dell’Interno europei riuniti nel Lussemburgo la delegazione italiana, guidata da Matteo Piantedosi, è riuscita a cancellare due storici tabù. Il primo è quello di Dublino che c’imponeva la gestione permanente dei migranti irregolari. Il secondo è quello sul respingimento dei migranti illegali verso il Paese di partenza o d’origine. Il tutto in un clima d’intesa con Paesi come l’Olanda e l’Austria inflessibili, in passato, nell’affossare le richieste italiane Un’operazione diplomatica in cui è stato cruciale il ruolo del premier Giorgia Meloni impegnata parallelamente in un confronto con il cancelliere tedesco Olaf Scholz sui movimenti «secondari», gli spostamenti degli «irregolari» sbarcati in Italia e transitati illegalmente in Germania. Ma partiamo dalle regole di Dublino, il trattato che impone al Paese di primo arrivo il rimpatrio o la gestione dei migranti privi del diritto all’asilo. Fin qui le uniche possibilità concesseci dalle norme europee erano il (complesso) rimpatrio degli irregolari o il loro mantenimento vita natural durante. D’ora in poi, se anche il Parlamento Europeo darà il suo assenso, la responsabilità esclusiva del Paese di primo arrivo durerà solo 15 mesi. Che scenderanno a 12 se il migrante «irregolare» sarà arrivato dopo un salvataggio in mare. E se scaduti questi due termini il migrante sarà in un altro Paese non varrà più la norma, assai utilizzata da Berlino, che ci costringeva a riprenderci i cosiddetti «dublinanti». Ma sul fronte di Dublino la vera svolta è la rimozione della norma che limitava le ricollocazione negli altri paesi europei ai soli migranti meritevoli d’asilo. La dimensione italiana degli sbarchi, caratterizzati da oltre il 70% di irregolari, rendeva inutili, se non ridicole, le quote di redistribuzione concesseci dal 2015 ad oggi. La svolta consente anche di sfruttare al meglio l’obbligo giuridico alla solidarietà varato nel Granducato e inserito per la prima volta nei regolamenti Ue. Quell’obbligo garantirà un minimo di 30mila redistribuzioni annue fra migranti «regolari» e «irregolari» che il paese europeo di destinazione non potrà più rifiutare. E se la quota minima di 30mila ricollocamenti non sarà rispettata l’Italia potrà opporsi alla restituzione di un pari numero di «dublinanti», gli irregolari sbarcati in Italia, ma transitati in altri Paesi. Ma la vera rivoluzione cartesiana sarà la possibilità di concordare immediati rimpatri verso paesi terzi «sicuri» un’operazione considerata fin qui alla stregua dei «respingimenti».

Rating 3.00 out of 5

Pirati del Mediterraneo sequestrano una nave turca al largo di Ischia: bloccati dalle forze speciali italiane

sabato, Giugno 10th, 2023

FRANCESCO GRIGNETTI

La notizia è arrivata all’ora di pranzo ed era una di quelle per cui la Marina si esercita sempre, da anni, ma che finora non si era mai verificata: al largo di Ischia una nave mercantile chiedeva aiuto perché a bordo si erano appalesati dei pirati che stavano tentando di prendere il controllo. La nave era un mercantile turco del tipo Ro-Ro, cioè un grande traghetto, il «Galata Seaway», con 19 marinai di equipaggio e 3 passeggeri, presumibilmente autisti di Tir. Era in navigazione da due giorni, salpata da Topcular e diretta al porto francese di Setè. E tutto sembrava filare liscio finché una quindicina di clandestini, armati di coltelli, non sono venuti allo scoperto. Chissà, forse pensavano di dirottare il traghetto verso un porto italiano. Forse li hanno scoperti e non sapevano più che fare.

Il capitano è riuscito a dare l’allarme alla sua sala operativa. Ed è subito scattato il dispositivo militare italiano. Dalla Spezia è partito un team di incursori del Comsubin, proprio quelli che erano stati al centro della polemica durante la sfilata del 2 Giugno. Da Brindisi allo stesso tempo salivano su due elicotteri una squadra di fucilieri del reggimento San Marco. Sono due forze speciali che operano in simbiosi e una delle loro missioni è esattamente questa: riprendere con la forza il controllo di grandi navi. E così è stato. A sera la Difesa lasciava filtrare che la nave turca era tornata sicura e poteva fermarsi nella rada di Napoli.

In verità la pirateria è tornata da qualche anno. E che dei pirati tentino di impossessarsi di una nave mercantile succede nel Golfo di Guinea, al largo della Somalia, in certe aree dei Caraibi. Mai era accaduto finora nel cuore del Mediterraneo. Dentro il «Galata Seaway» devono essere stati attimi di terrore. Hanno funzionato le difese passive, però, che ormai tutti gli armatori hanno adottato: porte blindate per chiudersi in sala comando, comunicazioni satellitari continue, pulsanti d’allarme. Da quel che si sa, il grosso dell’equipaggio si è precipitato dentro la zona blindata. E lì hanno aspettato i soccorsi.

I nostri sono arrivati con due elicotteri. È una manovra che questi team misti incursori-fucilieri provano e riprovano di continuo. E dunque l’elicottero più piccolo e agile dapprima ha volato rasente le onde avendo il sole alle spalle, e solo all’ultimo istante si è alzato sul ponte della nave. Da lì, fulmineamente, due alla volta, gli incursori si sono calati con le cime e hanno poggiato i piedi sulla nave. Quando i primi si sono allargati e hanno creato un perimetro, il secondo elicottero è arrivato con più uomini a bordo, sono scesi lungo le funi, e tra questi un paio di loro portavano imbragato al petto anche il proprio cane. Sono cani utilissimi perché aiutano l’uomo a sentire il pericolo di possibili esplosivi, ma anche a sentire le tracce di presenze ostili.

Il tutto si è svolto in pochissimi minuti attorno alle 18. In quello stesso momento, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, reduce da una celebrazione in onore della Marina proprio a La Spezia, era sul palco di Bruno Vespa, in Puglia, nella masseria dove per tre giorni si alterneranno politici e imprenditori chiamati alla corte del conduttore tv. Vespa lo intervistava sull’Ucraina, le forze armate del futuro, le sfide tecnologiche. E invece Crosetto di continuo sbirciava il cellulare. A un certo punto s’è reso conto di sembrare un po’ scortese. «Sapete – ha detto – c’è in corso un’azione delle nostre forze speciali al largo di Napoli e il capo di stato maggiore mi tiene al corrente con questi messaggi. Scusatemi se vi sembro distratto».

Rating 3.00 out of 5

Migranti, sì al patto Ue tra le tensioni: le nuove regole

venerdì, Giugno 9th, 2023

di Francesca Basso

Solidarietà obbligatoria e rimpatri nei Paesi «di transito». Polonia e Ungheria votano contro. Piantedosi: «L’Italia ha avuto una posizione di grande responsabilità»

 Migranti, sì al patto Ue tra le tensioni: le nuove regole

Sono passate le sei di sera quando arriva la «minaccia» della ministra per le Migrazioni svedese, Maria Malmer Stenergard: «Sono ancora dell’opinione che siamo molto vicini: ho tutta la notte». Due ore e mezza dopo è arrivata l’intesa con voto a maggioranza qualificata: contrarie Polonia e Ungheria, astenute Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria. Stoccolma ha la presidenza di turno dell’Ue e dunque era l’arbitro nel negoziato sui due principali regolamenti del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo su cui ieri ha trovato l’accordo il Consiglio Affari interni a Lussemburgo. Una «decisione storica», come l’ha definita la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson. Sia chiaro, si tratta della posizione negoziale del Consiglio che poi dovrà trattare con il Parlamento Ue, ma sono sette anni che gli Stati membri discutono senza trovare un’intesa.

I due regolamenti puntano a rafforzare la responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso (resta in vigore Dublino e la responsabilità dei migranti arrivati è dello Stato di primo arrivo per 24 mesi) ma anche a rendere obbligatoria la solidarietà da parte degli altri Paesi con tanto di numeri stabiliti: i ricollocamenti non saranno obbligatori, è previsto però un contributo finanziario. L’ultimo ostacolo da superare era la divergenza tra Germania e Italia sulla definizione di Paese terzo «sicuro» per i rimpatri dei migranti non ammessi all’asilo e i criteri di «connessione» con quel Paese. Il testo sul Patto per le migrazioni e l’asilo introduce infatti la novità della procedura accelerata alla frontiera per esaminare le domande dei migranti che hanno minori possibilità statistiche di ottenere lo status di rifugiato. La premier Giorgia Meloni ha spiegato che «quando noi non riusciamo a reggere i flussi migratori, in qualche modo il problema diventa di tutti» e si è detta «soddisfatta» della missione di domenica in Tunisia con la presidente della Commissione Ue von der Leyen e con il premier olandese Rutte.

L’Italia chiedeva la possibilità di rimpatriare i migranti la cui richiesta di asilo è stata respinta anche in quei Paesi «sicuri» attraverso i quali sono transitati. La Germania invece rifiutava questa idea. L’Italia si era dunque espressa contro la proposta sul tavolo insieme a Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Malta, Austria, Danimarca e Grecia. La via di uscita è stata trovata lasciando agli Stati il margine per la definizione di Paese «sicuro». La commissaria Johansson ha spiegato che per poter rimpatriare un migrante in un Paese di transito o diverso da quello di origine, lo Stato «deve rispondere a tutti i criteri di “Paese terzo sicuro” e ci deve essere una connessione tra la persona e questo Paese». «In alternativa — ha aggiunto — serve il consenso della persona» però «saranno gli Stati membri a stabilire se esiste una connessione».

Rating 3.00 out of 5

Intervista a Olaf Scholz: «Sui migranti l’Italia non può essere lasciata sola. La stabilità fiscale va difesa»

giovedì, Giugno 8th, 2023

di Paolo Valentino

Parla il cancelliere tedesco, che l’8 giugno sarà ricevuto a Roma da Meloni e Mattarella. «Non lasciamo Roma sola sui migranti, ma serve un approccio responsabile» Sull’Ucraina: «Kiev nell’Ue quando soddisferà i criteri»

Intervista a Olaf Scholz: «Sui migranti l’Italia non può essere lasciata sola. La stabilità fiscale va difesa»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — «Ovviamente ci sono problematiche e sfide cui Italia e Germania guardano da prospettive diverse. Certamente parleremo anche di come approfondire ulteriormente i nostri rapporti», dice Olaf Scholz nell’intervista esclusiva al nostro giornale, la prima a un media italiano da quando è alla guida del governo tedesco. Il cancelliere federale arriva oggi a Roma, dove incontrerà il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Scholz ricambia così la visita che la nostra premier fece in febbraio a Berlino. Siamo in grado di anticipare che il clou dei colloqui romani tra i due leader sarà l’annuncio della fine dei lavori di preparazione del Piano di azione italo-tedesco, che verrà poi firmato in autunno nel vertice intergovernativo tra Italia e Germania, ospitato dai tedeschi, del quale parliamo qui accanto.

Signor cancelliere, dopo la fine del governo presieduto da Mario Draghi, gli elettori italiani hanno votato per una coalizione di centrodestra, con alla guida Giorgia Meloni. L’impressione è che dopo la stretta collaborazione e la piena identità di vedute registrate con Draghi, culminate nella vostra visita a tre con Emmanuel Macron a Kiev, ci sia stato un raffreddamento nei rapporti tra Roma e Berlino. Come giudica lo stato attuale delle relazioni bilaterali? E questa visita può essere letta come la ripresa di un dialogo?
«Le relazioni tra Italia e Germania sono strette, basate sulla fiducia e molto solide. E questo vale non solo per i nostri Paesi e le nostre società, ma anche per la cooperazione con il governo italiano. Dopo la visita inaugurale della presidente del Consiglio Meloni a Berlino qualche mese fa, sono ora io a recarmi a Roma per colloqui politici con lei e con il presidente della Repubblica Mattarella. Lavoriamo bene insieme a livello dell’Unione europea, nell’ambito della Nato e del G-7».

Uno dei temi sui quali Germania e Italia appaiono in disaccordo è la politica industriale. La Germania è il Paese dell’Ue che elargisce più aiuti di Stato ai settori d’avanguardia, come i semi-conduttori e il clean tech. Quanto è sostenibile un’Europa dove ogni Paese finanzia da sé gli investimenti industriali?
«A mio avviso, le decisioni del governo tedesco rientrano nel quadro di ciò che altri Paesi dell’Ue fanno per la competitività della loro industria. Insieme ci preoccupiamo di rendere l’economia dei nostri Paesi in grado di affrontare il futuro, in condizioni di neutralità climatica e digitalizzazione. Questa grande ristrutturazione del nostro settore industriale comporta uno sforzo massiccio da parte di tutti gli attori, compreso lo Stato. In tal modo faremo sì che l’Ue rimanga competitiva.

Siamo d’accordo sulla necessità di rendere la legislazione europea sugli aiuti statali ancora più agile e flessibile nel tempo, in modo che gli investitori sappiano fin da subito quali aiuti possono aspettarsi. Dobbiamo anche rafforzare le condizioni quadro per gli investimenti in Europa nel suo complesso. Per esempio, occorrono procedure amministrative e di approvazione accelerate, quando si tratta di tecnologie chiave per la trasformazione. La presidente della Commissione europea ha formulato in merito proposte importanti, che vanno nella giusta direzione. Tutti i Paesi europei devono affrontare queste sfide per essere in grado di approfittare della crescita futura».

Sulla riforma del patto di Stabilità e crescita, il suo ministro delle Finanze ha espresso una posizione negativa sulla proposta della Commissione, basata sui cosiddetti percorsi differenziati di rientro. La Germania vuole ancora regole di bilancio severe e identiche per tutti?
«Il governo tedesco ha avanzato fin dall’inizio proposte costruttive e ha reagito in modo differenziato alle considerazioni della Commissione europea. L’importante è che tutti i cittadini abbiano la certezza che il loro Stato continuerà a essere in grado di agire e a mostrare solidarietà anche in tempi di crisi. Ciò richiede stabilità fiscale, regole chiare rispettate e un quadro comune trasparente. Non si tratta di condurre espressamente singoli Stati in una crisi di austerità, ed è per questo che da ministro delle Finanze ho contribuito a proporre il fondo di ricostruzione affinché l’intera Europa possa superare la crisi. Ora nei colloqui con i partner comunitari, si tratta di garantire la crescita, la sostenibilità del debito e gli investimenti, in modo che la trasformazione delle nostre economie nazionali abbia successo».

Anche in tema di migrazioni, ci sono divergenze tra Italia e Germania. In particolare, Roma è contraria alla recente proposta tedesca di creare degli hot spot ai confini esterni dell’Unione, cioè anche in Grecia e Italia, per la prima gestione degli arrivi. Cosa dirà alla presidente del Consiglio Meloni su questo tema? Ci possono essere punti di convergenza e quali sono?
«Innanzitutto, Italia, Grecia e gli altri Paesi mediterranei affrontano una sfida enorme, poiché il numero dei rifugiati che arrivano ai loro confini è in aumento. Non possiamo lasciare l’Italia e gli altri Paesi da soli, ma dobbiamo adottare un approccio di solidarietà e responsabilità. La Germania da parte sua è particolarmente colpita dall’immigrazione secondaria: lo scorso anno non solo più di un milione di donne e uomini provenienti dall’Ucraina sono fuggiti nella Repubblica Federale, ma anche 230 mila rifugiati provenienti da altri Paesi sono venuti da noi, nonostante non abbiamo un confine esterno dell’Ue. Pertanto, abbiamo bisogno di una distribuzione solidale di responsabilità e competenza fra gli Stati membri dell’Ue nonché del rispetto degli standard per chi richiede protezione nelle procedure di asilo e di integrazione negli Stati dell’Ue. Il mio governo è fortemente impegnato in una riforma del Sistema europeo comune d’asilo (Ceas, ndr) e a nostro avviso ciò richiede ulteriori sforzi a livello comunitario per rendere più efficaci il controllo e la protezione delle frontiere esterne, in modo umano e nel rispetto delle regole vigenti. Sulla forma esatta delle proposte, intense discussioni sono in corso a Bruxelles e anche la Germania vi contribuisce. Inoltre, proponiamo di lavorare con i Paesi d’origine e quelli di transito per ridurre in modo sostenibile gli arrivi irregolari e consentire invece vie d’accesso legali. Questo non è in contraddizione con la posizione dell’Italia».

Rating 3.00 out of 5

La bufala dei Cpr descritti come lager: le vere violenze le fanno gli ospiti

sabato, Maggio 27th, 2023

Gian Micalessin

Corrado Formigli l’ha intitolato «L’inferno dei Cpr», ma a ben guardare è diventata la beatificazione televisiva di violenza e illegalità. Parliamo dell’inchiesta sui «Centri di Permanenza e Rimpatrio» (Cpr) andata in onda su «Piazza Pulita»(La7) giovedì 25 maggio. Un’inchiesta senza dubbio interessante perché i filmati usciti dai telefonini dei reclusi e ottenuti dall’autrice Chiara Proietti D’Ambra ci mostrano una realtà raramente documentata. Peccato che l’innegabile esclusività sia stata viziata dagli interventi in studio. Uno studio dove gli ospiti meno allineati con le tesi del conduttore venivano sistematicamente interrotti mentre quelli chiamati a illustrare il presunto «inferno» dipingevano i reclusi (pluri-denunciati per spaccio o violenze) come i dannati di un girone infernale dove manganelli e psico farmaci sono garanzia di silenzio e sottomissione. Con il compiaciuto sospetto che il tutto avvenga grazie alla complicità del governo Meloni. Una tesi assai lontana dalla verità visto che Cpr nascono nel 1998 e sono una creazione della sinistra. A istituirli fu la legge sull’immigrazione del governo Prodi, firmata dall’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, che varò i Centri di Permanenza Temporanea (Ctp) precursori dei Cpr. Ma a rendere faziosa l’inchiesta s’aggiunge il modo in cui, sempre in studio, vengono illustrati i video dei Cpr. Per capirlo basta lo spezzone usato come immagine simbolo. In quel filmato, girato nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, si vede un migrante ferito alla schiena riportato in camerata da alcuni agenti. Un’immagine sicuramente drammatica in cui l’unica vittima sembra quell’uomo sanguinante e a petto nudo. Peccato che – come chiarito a Il Giornale da fonti del Viminale – l’immagine sia solo l’episodio terminale d’una giornata di violenze andata in scena nel Cpr di Gradisca lo scorso 20 aprile. Partiamo dal suo protagonista ovvero Haddad Hammami, un marocchino 26enne in Italia dal 2021. «Quel giorno – spiega la fonte – alcuni dei reclusi avevano appiccato un incendio nelle stanze del centro e lui oltre ad alimentarlo bloccava gli operatori che tentavano di raggiungere gli estintori e spegnere l’incendio». Una situazione che peggiora dopo l’intervento delle forze dell’ordine. «Mentre le fiamme si facevano minacciose quel migrante – continua la fonte – colpiva gli agenti con un pezzo di ferro e i suoi compagni lanciavano pezzi di vetro e altri oggetti contundenti. A quel punto gli agenti han dovuto scontrarsi con i reclusi, sfondare il blocco e spegnere l’incendio». Un altro retroscena ignorato dall’inchiesta di Piazza Pulita riguarda i precedenti di Haddad Hammami. Prima di contribuire al tentato incendio del Cpr di Gradisca il marocchino era stato indagato per furto aggravato, porto d’armi, danneggiamento, possesso di stupefacenti e fabbricazione di documenti falsi. «Senza contare il sequestro, ai primi di aprile, di un pacco a lui destinato – aggiunge la fonte de Il Giornale – contenente sostanze stupefacenti». Insomma non esattamente un agnellino. Come non lo sono altri due protagonisti dell’inchiesta. Keven Onias Holander da Cruz, un 22enne brasiliano clandestino in Italia dal 2019 – denunciato più volte per droga, ricettazione e resistenza a pubblico ufficiale – non viene imbottito di psico farmaci, come sostiene nei filmati, ma semplicemente curato con le medicine prescrittegli dopo un intervento di ernia inguinale praticatogli durante la reclusione.

Rating 3.00 out of 5

Bomba immigrazione per destabilizzare l’Italia: attacco calcolato a Meloni e Piantedosi

domenica, Maggio 14th, 2023

Luigi Bisignani

Caro direttore, l’immigrazione come mezzo di destabilizzazione di massa. È un dato di fatto che gli sbarchi in Italia negli ultimi mesi siano aumentati fino al 300% e, secondo i rapporti dei Servizi, nei prossimi giorni altre centinaia di migliaia di disperati sono pronti a sbarcare dalle coste del Nordafrica. Si parla in totale di circa mezzo milione di persone rispetto alle centocinquantamila degli anni precedenti. Il governo Meloni-Piantedosi sta tentando di tutto per arginare quello che sembra un calcolato piano d’attacco di apparati d’Intelligence internazionali e gruppi di matrice fondamentalista provenienti dall’Africa via Turchia -e poi vedremo nel probabile dopo Erdogan – Tunisia e Cirenaica.

A questo scenario si aggiungono i francesi, che sigillano sempre di più i loro confini e non fanno altro che soffiare sul fuoco. Ma adesso non è il momento di invidie, retate da breaking news, gendarmerie alle frontiere o respingimenti clamorosi. Né, tantomeno, c’è bisogno di annunci roboanti o provvedimenti straordinari «american-style» per mezzo dei quali dalla mezzanotte di ieri chiunque entri negli Stati Uniti dal confine sud è considerato illegale e quindi immediatamente respinto. Ora c’è bisogno di coordinamento e da questo punto di vista l’Italia qualche risultato comincia a conseguirlo. Tanto che anche nei report delle cancellerie europee il dato sta trapelando irritando, da un lato francesi e spagnoli e spingendo, dall’altro l’Unione Europea a salire sul carro del Paese che si sta dimostrando vincitore nella sfida dei migranti. Mai prima d’ora, infatti, i rappresentanti delle istituzioni europee, da Ursula von der Leyen a Roberta Metsola fino a Charles Michel si erano mostrati così aperti a considerare il fenomeno migratorio un problema di tutta l’Europa e non solo italiano. Forse, fiutata l’aria, vogliono prendersi anche loro qualche medaglia per un lavoro tutto nostro.

Dopo la tragedia di Cutro, in seguito alla quale il premier e il ministro dell’Interno sono stati dileggiati come se avessero causato loro il naufragio, la reazione c’è stata eccome, sia a livello normativo che a livello organizzativo. Con il «decreto Cutro», infatti, sono state messe a punto le vie legali per l’ingresso in Italia, limitando altri sistemi surrettizi come la protezione speciale introdotta a suo tempo dalla ministra Luciana Lamorgese e aumentando i decreti flussi, incluse le possibilità di ingresso «fuori quota» riservate a quei lavoratori stranieri che abbiano frequentato corsi di formazione organizzati dall’Italia nei Paesi di origine o di stranieri provenienti da Paesi con cui l’Italia ha sottoscritto intese in materia di rimpatrio. E con la dichiarazione dello stato di emergenza, attraverso l’ordinanza della protezione civile del 16 aprile scorso, si sono snellite anche le procedure per l’acquisizione di beni e servizi per aprire velocemente nuove strutture di primissima accoglienza e rendere meno disagevoli le condizioni dei migranti. Un’attenzione volta non solo a evitare altre tragedie, ma anche ad offrire un livello dignitoso di permanenza per chi sbarca sul nostro territorio. Una gestione decisamente migliore e più umana rispetto a quella della Francia che prova con i dispacci d’ambasciata a farla passare come una «pirouette» di Giorgia Meloni.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.