Archive for the ‘Tecnologia’ Category

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l’intelligenza artificiale

martedì, Febbraio 14th, 2023

di  Peppe Aquaro

Non parla ma agisce

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

Se quel braccio meccanico, e un po’ artista, conoscesse il linguaggio dell’uomo, probabilmente si rivolgerebbe alla statua, chiedendole: «Perché non parli?». Oggi, infatti, per essere Michelangelo e scolpirsi il proprio Mosè non servono genio e sregolatezza. È sufficiente lui, «Robotor», una nuova generazione di robot messa a punto da due apuani doc: sì, di casa a Carrara, dove si estrae da secoli il marmo migliore per abbellire chiese, palazzi e musei. Ci sono passati Michelangelo (appunto), Canova, Botero e più recentemente Jeff Koons e Maurizio Cattelan. Ma sarà vera arte, farsi fare una fresatura da un braccio meccanico intorno a un blocco di due metri? «Certo che lo è», rispondono insieme i due apuani, Giacomo Massari, 39 anni, e Filippo Tincolini, 46enne, cofondatori di TorArt, un laboratorio di scultura frequentato da chi sa lavorare il marmo e da esperti di software.

La Dea in trono, che sembra vera

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

«Uniamo tecniche tradizionali di scultura alla tecnologia della stampa in 3D e della robotica», spiegano i due soci. Tra le loro riproduzioni, ricordiamo, per esempio, la statua della Persefone Gaia, la cui copia perfetta è esposta al Mart, il Museo nazionale archeologico di Taranto (la vera casa del capolavoro magnogreco del 480 a. C., il cui originale è però conservato a Berlino, all’Altes Museum).

Tutta una questione di braccio

Questa statua è stata realizzata da un robot (italiano): la storia di Robotor, il Michelangelo con l'intelligenza artificiale

Ma il cambio di passo vero e proprio di TorArt è «Robotor» (dove «Tor» ritorna costantemente: «È la sintesi di Torano, frazione di Carrara, dove è collocata una delle nostre due sedi», racconta Massari), un braccio antropomorfo a sei assi, che lavora la pietra grazie a un software di programmazione, «Or-Os», che, partendo da un file 3D dell’opera da riprodurre e dopo aver selezionato il tipo di forma da eseguire riesce a convertire il modello in una serie di passaggi-utensili in base alla tempistica e al risultato che si vuole ottenere.

Solo dieci giorni per una scultura

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«Braccio e software fanno tutto da soli: intanto, è possibile anche allontanarsi dal luogo di lavoro e ritornare quando Robotor ha concluso il tutto», aggiunge Massari. I tempi di lavorazione? «Dipende da che cosa si vuole realizzare: per una scultura alta due metri possono bastare anche dieci giorni. Che è poca roba, rispetto ai mesi o agli anni impiegati dai grandi artisti rinascimentali. Per non parlare dei vantaggi fisici degli scultori, i quali non sono più costretti a sollevare carichi pesanti o a lavorare in situazioni pericolose per la salute», osservano i fondatori di TorArt.

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Attacco hacker in Italia, cosa sappiamo: anni di errori a catena. Il ricatto: «Ora dacci 42.000 euro in bitcoin»

lunedì, Febbraio 6th, 2023

di  Paolo Ottolina

Concedeteci di usare una frase fatta, eppure talvolta non meno vera, che spesso abbiamo sentito per gravi fatti di cronaca: «Una strage annunciata». 

In tarda serata i sistemi colpiti e bloccati dall’attacco ransomware globale reso noto domenica dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale aveva superato in tutto il mondo quota 2.100. Un numero che sale rapidamente. 

La vulnerabilità sfruttata dai cyber-criminali era tutt’altro che sconosciuta. La soluzione, la «patch» (toppa) come si dice in gergo, era stata rilasciata ben due anni fa, nel febbraio 2021, da VMware, l’azienda del software coinvolto. «E 3 giorni fa il Cert francese (il Centro di risposta le allerta cyber, ndr) aveva lanciato l’allarme: è stato più o meno ignorato e questo fatto è di una gravità sconcertante» ci dice Corrado Giustozzi, divulgatore ed esperto di cyber-sicurezza, partner di Rexilience. 

Ogni attacco informatico sfrutta sempre una vulnerabilità nel software. In questo caso quella riscontrata nei diffusi software di «virtualizzazione» della californiana VMware («virtualizzare» significa fare girare in modo simulato, via software, un programma o un sistema su un altro hardware). 

In questo caso la soluzione per il problema era stata messa a disposizione da VMware ben due anni fa, nel febbraio 2021. «C’è di mezzo una catena infinita di sciatteria e disinteresse per non aver fatto gli aggiornamenti dovuti… E per di più il software in questione può essere attaccato solo se esposto su Internet, cosa che andrebbe evitata. Chi è nei guai non dico che se li è andati a cercare ma di certo non si è mosso in tempo con le contromisure» dice con amarezza Giustozzi.  Tra gli oltre 2.100 server colpiti ci sono moltissime aziende e pubbliche amministrazioni (tra cui il comune francese di Biarritz, uno dei pochi bersagli trapelati al momento). 

Che cosa chiedono gli attaccanti

Sui computer bloccati dal ransomware viene lasciata una nota che dice: «Allarme rosso!!! Abbiamo hackerato con successo la tua azienda. Tutti i file vengono rubati e crittografati da noi. Se si desidera recuperare i file o evitare la perdita di file, si prega di inviare 2.0 Bitcoin. Invia denaro entro 3 giorni, altrimenti divulgheremo alcuni dati e aumenteremo il prezzo. Se non invii bitcoin, informeremo i tuoi clienti della violazione dei dati tramite e-mail e messaggi di testo».

Il wallet, il portafoglio digitale, su cui versare i bitcoin è differente in ogni nota di riscatto, così come l’importo (a volte vengono chiesti 2,064921 bitcoin, altre 2,01584 e così via: con la quotazione attuale sono circa 42 mila euro). Nessun link di riferimento per il pagamento. 

Ransomware, che fare?

Il caso è emblematico di una realtà esplosiva per numeri e conseguenze: quella del ransomware e dei ricatti digitali, che (dati Trend Micro 2022) vedono l’Italia esposta, primo Paese in Europa e settimo al mondo per numero di attacchi. 

Che fare? «Predicare belle cose non serve, perché non si fanno. C’è ancora una ignoranza clamorosa nelle aziende e nella Pubblica amministrazione sulla sicurezza informatica, che da troppi viene vista non come una componete strategica per la sopravvivenza stessa di queste realtà, ma come un qualcosa simile alle lampadine da sostituire o agli ascensori da aggiustare» dice ancora Corrado Giustozzi.

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La privacy degli studenti a scuola, tra rischi e tutele

venerdì, Settembre 16th, 2022

Ruben Razzante

Quello appena iniziato verrà ricordato come il primo anno scolastico post-pandemia, senza più mascherine né restrizioni di alcun tipo. È un vero ritorno alla normalità, dopo due anni contrassegnati da un regime eccezionale di divieti e vincoli nello svolgimento delle attività didattiche, spesso sospese in presenza e proseguite da remoto grazie al progresso tecnologico. Gli alunni, le famiglie, i docenti e il personale scolastico si stanno quindi riabituando alla situazione pre-Covid, con la piena riattivazione di tante iniziative accantonate nei periodi più bui della diffusione del virus. Questa ripartenza porta con sé problematiche legate al rispetto della privacy, che va protetta rispettando le leggi vigenti e alcune linee guida pratiche che il Garante per la protezione dei dati personali ha dettato proprio in occasione della riapertura delle scuole dopo le vacanze estive e che sono state recepite da molte circolari redatte da dirigenti scolastici.

Tutelare la riservatezza degli studenti

La sfera privata degli studenti dev’essere considerata intangibile ed è dovere degli insegnanti e di tutto il personale scolastico preservarla da indebite intrusioni da parte di terzi. Non sono ammesse, ad esempio, le condivisioni di fotografie, file audio e video, registrazioni e altri dati personali senza il consenso espresso degli interessati o dei loro genitori, se minorenni. Le riprese video e le fotografie scattate e raccolte dai genitori durante gite, feste, gare sportive non violano la privacy perché rimangono confinate nella cerchia ristretta di parenti e amici. Discorso diverso se le immagini finiscono su canali web e social. In quel caso occorre il consenso degli studenti o dei loro genitori, se minorenni.

Particolare attenzione ai dati sensibili

I dati riguardanti le condizioni di salute o quelli che rischiano di violare la dignità e di turbare l’equilibrio psichico dei minori godono di una protezione rafforzata. Sono certamente pubblici i voti degli scrutini e degli esami e l’istituto scolastico può inserirli nei cartelloni affissi alle bacheche. Tuttavia, eventuali dati sulle condizioni di salute degli studenti, ad esempio informazioni sulle prove differenziate sostenute da studenti con Disturbi specifici di apprendimento (Dsa) non vanno in alcun modo divulgati all’esterno ma esclusivamente indicati nell’attestazione da rilasciare al singolo studente. Stesso trattamento occorre riservare ai protagonisti di episodi di bullismo: sia le vittime che gli aggressori non devono essere resi identificabili nelle comunicazioni al pubblico ma tutelati nella loro riservatezza. Protezione massima anche per le informazioni sui ritardi nel pagamento della retta o del servizio mensa o su eventuali esenzioni accordate a studenti appartenenti a famiglie povere.

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Auto nuove, dal 6 luglio obbligatorio il limitatore di velocità: che cosa cambia

mercoledì, Luglio 6th, 2022

di Vincenzo Borgomeo

Nuovo, grande passo avanti per la sicurezza stradale: dal 6 luglio su tutte le auto di “nuova omologazione” diventa obbligatorio il limitatore di velocità. Obbligo che poi dal 7 luglio 2024 scatterà per tutte le vetture di “nuova immatricolazione”.

Tradotto, significa che ora non si potranno più mettere sul mercato nuovi modelli, mai visti prima, senza questo dispositivo (ma che i vecchi già in commercio potranno ancora non averlo), mentre dal 2024 non si potrà più targare nessuna auto senza il limitatore di velocità.

Il sistema, da anni già presente, su molte auto, altro non è che l’Intelligent Speed Assistance (ISA), un dispositivo di sicurezza che determina la velocità da tenere ogni momento, sulla base delle informazioni ricevute da una telecamera e dal sistema GPS che nella sua “cartina” digitale ha segnati tutti i limiti.

Come funziona il sistema

Il sistema manda un segnale sul cruscotto indicando il limite e può anche interagire con il sistema di controllo automatico della velocità impedendo di fatto si superare il limite stabilito dal codice della strada su quel punto del percorso.

Se l’Isa si accorge che l’auto sta andando oltre i limiti, per prima cosa fa lampeggiare l’indicatore del limite di velocità sul cruscotto. Poi, invia un segnale acustico e quindi, se chi guida non interviene riduce da solo la velocità.
L’ISA, come avviene oggi, potrà essere disattivato dal guidatore, ma dal 2024 questo non sarà più possibile, e la cosa ovviamente dovrà comportare una diversa startegia nel mettere i limiti di velocità che oggi molti gestori delle strade usano solo per evitare incriminazioni legate a carenza di manutenzione o altro: attualmente il sistema è di fatto inutilizzabile perché quando l’auto – ad esempio su una statale – viaggia a 90 orari e incontra un segnale messo senza troppo criterio con il limite di 30, la macchina inchioda di colpo, rendendo possibili pericolosi tamponamenti a catena.

Di tempo però per mettere a punto il sistema ce ne sarà, anche perché l’associazione dei costruttori sta chiedendo a gran voce di rendere disinseribile l’Isa anche dopo il 2024. E non è una sottigliezza: se il sistema non sarà disinseribile, di fatto diventerà impossibile per ogni auto andare oltre i 130 in Italia, uccidendo di fatto il mercato delle auto alto di gamma.

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Assalto all’Agenzia per la cybersicurezza. Hacker respinti dopo 10 ore di battaglia

mercoledì, Giugno 1st, 2022

di Giuliano Foschini

La premessa, non di maniera, è che tutto ancora è in corso. E dunque tutto potrebbe ancora accadere. Ma quello che è successo, è già abbastanza: l’Italia nelle ultime 24 ore è stata il teatro di un combattimento, come mai se n’erano visti nel nostro paese. La sua infrastruttura più strategica in materia di sicurezza informatica, l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, è finita sotto attacco da parte degli hacker russi del collettivo Killnet. Un attacco di Ddos, dunque in grado di bloccare la rete ma non di esfiltrare dati.
Un attacco dimostrativo più che offensivo ma che potenzialmente, in termine di immagine per lo meno, avrebbe potuto avere effetti disastrosi. Così, però, non è stato. I nostri tecnici per dieci ore hanno affrontato la mole di dati che i russi, in tre momenti diversi della giornata, hanno scaraventato loro contro. E sono riusciti a non mandare in blocco l’infrastruttura e a reggere il colpo. Tanto che in nottata, a metà tra il cavalleresco e lo scherno, gli stessi hacker di Killnet hanno offerto l’onore delle armi all’Agenzia guidata dal professor Roberto Baldoni, con al fianco Nunzia Ciardi, ex capo della Polizia postale: “Csirt (l’acronimo del Computer security incident respons team, il sito attraverso il quale l’Agenzia indica gli alert e i report sugli attacchi informatici, ndr): sono eccellenti gli specialisti che lavorano in questa organizzazione. Abbiamo effettuato migliaia di attacchi e al momento vediamo che questi ragazzi sono dei bravi professionisti! Governo italiano, ti consigliamo di aumentare lo stipendio di diverse migliaia di dollari a questa squadra. CSIRT Accettate i miei rispetti, signori!”. Ma che è successo? Come è stato raccontato, dopo una prima offensiva cominciata il 12 maggio i russi di Killnet – ufficialmente hacker autonomi ma che in realtà si muovono come terza gamba del Cremlino – hanno annunciato un nuovo attacco contro l’Italia. Fino a questo momento hanno attaccato i siti di aziende e istituzioni, cercando di paralizzarne i servizi. In almeno due casi hanno, però, provato anche a rubare dati: la Polizia è riuscita a evitare l’intrusione nei propri database mentre non è ancora chiaro se siano riusciti a entrare in quelli del Ministero degli Interni. Su questo sta indagando comunque la procura di Roma che ha aperto un fascicolo per terrorismo. Come si diceva, i russi sono tornati alla carica nei giorni scorsi annunciando un attacco tra il 29 e il 30 maggio. Che c’è stato.

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“Ciao, mamma va nello spazio”. Samantha Cristoforetti ritorna in orbita, partita la missione della Crew-4

giovedì, Aprile 28th, 2022

Antonio Lo Campo

Samantha Cristoforetti è in orbita dalle 10 e 01, ora italiana. Un’orbita iniziale, che dovrà essere aggiustata ancora prima di andare all’inseguimento definitivo verso la Stazione Spaziale Internazionale. Un lampo di luce nella notte della Florida, e il razzo Falcon 9 si è sollevato dalla piattaforma 39 A dello spazioporto di Cape Canaveral. Ed è schizzato verso il cielo che da nero è diventato ancora più nero, in orbita attorno alla Terra a quasi 400 chilometri d’altezza. Obiettivo, la Stazione Spaziale Internazionale, che verrà raggiunta e attraccata questa notte, alle 2,45 ora italiana. È iniziata così la seconda missione spaziale di Samantha Cristoforetti, astronauta italiana dell’ESA europea. Tutto si è svolto regolarmente, dall’inizio del conto alla rovescia, sino al riempimento delle centinaia di litri di combustibile liquido, che viene rifornito nelle ultime ore prima del lancio (a differenza di ciò che avveniva in passato) quando gli astronauti sono già all’interno della capsula, in cima al razzo.

Cambio di equipaggi La navicella Crew Dragon di nome “Freedom” è stata lanciata dal “Pad” 39 A, storico e leggendario poiché da qui, a un passo dalle coste dell’Atlantico, presero il via le missioni lunari Apollo con il gigantesco Saturn V, la stazione Skylab e circa la metà delle missioni Shuttle.

Il Falcon 9, il razzo di Elon Musk che garantisce ormai da due anni il servizio spola Terra-Spazio con astronauti, e da un decennio invia le capsule cargo alla Stazione, ha lanciato una navicella con equipaggio per la sesta volta. Ha inviato sinora in orbita 4 equipaggi di astronauti di professione per missioni Nasa e di partner internazionali della Stazione Spaziale, compreso quello di stamani, e due equipaggi di astronauti “privati”, cioè non di professione, l’ultimo dei quali è ammarato lunedì a conclusione della missione Axiom-1. Proprio i continui ritardi (soprattutto per cause meteorologiche nella zona d’ammaraggio) della capsula Crew Dragon di Axiom-1 ha fatto di conseguenza ritardare di otto giorni il lancio della missione Minerva di Samantha e dei suoi tre compagni di missione Crew 4: Kjell Lindgren, Bob Hines e Jessica Watkins. La Cristoforetti, 45 anni compiuti proprio ieri, nata a Malé, in Trentino, ex pilota e ufficiale dell’Aeronautica Militare, è in orbita con il ruolo di ingegnere di bordo. Il rientro di lunedì dei 4 astronauti, uno di professione e 3 imprenditori addestrati e idonei al volo spaziale, anticipava di sole 39 ore il lancio di AstroSamantha e dei suoi 3 compagni di missione. E una volta raggiunta la Stazione, l’equipaggio di Crew 4 sostituirà quelli della Crew 3, partiti lo scorso novembre . Sono gli astronauti Raja Chari, Thomas Marshburn and Kayla Barron della NASA e il tedesco dell’Esa Matthias Maurer, che rientreranno sulla Terra tra 5 giorni.

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La navicella SpaceX pronta al lancio nello spazio, a bordo c’è Samantha Cristoforetti

mercoledì, Aprile 27th, 2022
La partenza della missione Crew-4 della Nasa è prevista per le 9:52 ora italiana

LaPresse/Ap / CorriereTv

Un nuovo volo della società di Elon Musk è pronto a partire, questa volta in una missione della Nasa verso la Stazione Spaziale Internazionale. Sono saliti a bordo della capsula spaziale Dragon su un razzo Falcon 9, in vista del lancio, i tre astronauti della NASA Kjell Lindgren, Jessica Watson e Robert Hines più l’astronauta dell’Agenzia spaziale europea, l’italiana Samantha Cristoforetti. Il lancio da Cape Canaveral, in Florida, è previsto per le 9:52 (ora italiana), con l’attracco della Dragon Capsule con la Stazione Spaziale Internazionale 16 ore dopo.

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La Nasa ha trovato 5.000 esopianeti, simili alla Terra e fuori dal sistema solare: «Può svilupparsi la vita»

mercoledì, Marzo 23rd, 2022

di Massimo Sideri

La Nasa ha appena certificato l’esistenza dell’esopianeta numero 5mila. La ricerca di una Earth 2.0 è il Sacro Graal dell’astrofisica. Anche per rispondere alla fondamentale domanda: «Siamo soli nell’universo?»

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Immaginate dei pianeti che orbitano intorno al proprio sole. Pianeti potenzialmente abitabili, ma fuori dal sistema solare. E che come la Terra traggono dalla propria stella energia e luce. Ora smettete di immaginare perché questi pianeti esistono: si chiamano «esopianeti» o pianeti extrasolari. E non sono pochi. L’agenzia spaziale americana, la Nasa, ha appena certificato l’esistenza dell’esopianeta numero 5 mila. È solo un numero, si potrebbe pensare. Nulla di diverso dal 4.999 o dal 5.001. Ma in realtà è un numero che conta molto perché, fino a pochi anni fa, pensavamo di essere gli unici ad avere un sistema solare con una Terra e pochi altri pianeti che ne fanno parte (sempre lo stesso errore).

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Il primo esopianeta è stato avvistato solo negli anni Novanta. «Non è solo un numero — ha detto Jessie Christiansen, scienziata responsabile per l’archivio e la ricerca degli esopianeti con la Nasa per il Science Institute del Caltech in Pasadena — ognuno di questi è un nuovo mondo, un nuovo pianeta. Sono entusiasta di ognuno di essi perché non ne sappiamo nulla». Nell’ultimo grappolo che ha permesso di raggiungere la soglia dei 5.000 ne abbiamo scoperti oltre 60, tutti insieme. Più dell’uno per cento del totale. Dunque la domanda è: cosa è cambiato dagli anni Novanta?

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Facebook addio, Zuckerberg cambia nome in Meta per allontanare i guai

venerdì, Ottobre 29th, 2021

di Massimo Gaggi

Per il fondatore del social network la pressione è diventata asfissiante dopo la denuncia dell’ultima whistleblower: gli effetti di Haugen sono stati molto più pesanti degli scandali passati

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NEW YORK — Contestata da quando, 5 anni fa, emerse che sapeva di essere stata usata per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016, universalmente condannata 3 anni fa per lo scandalo di Cambridge Analytica, Facebook vive ormai in uno stato d’assedio permanente mentre il Congresso prepara leggi per regolamentare le imprese della Silicon Valley a partire dalle reti sociali. Per Mark Zuckerberg la pressione è diventata asfissiante con la denuncia dell’ultima whistleblower, Frances Haugen. Un caso diverso dai precedenti: stavolta a raccontare le scelte aziendali dannose per la società e per la democrazia viste dall’interno di Facebook non è una ex dipendente di basso livello ma un personaggio di spessore cresciuto in Google, Yelp e Pinterest prima di diventare product manager del dipartimento integrità civica di Facebook.

Quando Frances è andata via e ha lanciato le sue accuse, gli effetti per Facebook sono stati assai più pesanti rispetto ai casi del passato per due motivi. Innanzitutto la Haugen si è portata via migliaia di documenti, resi pubblici e consegnati alla Sec, il «poliziotto» della Borsa Usa, dai quali emerge che l’azienda sapeva dei danni provocati dalle sue piattaforme: da quelli arrecati ai giovani utenti di Instagram alla diffusione di odio attraverso Facebook in Paesi, dalla Birmania all’India, sconvolti da conflitti etnici, tribali o a sfondo religioso. Il gruppo li aveva studiati ma non era corso ai ripari per non danneggiare i suoi business e aveva mantenuto segreti i risultati delle sue indagini: pessimo per il rapporto di fiducia con gli utenti e rischioso sul piano legale. Sec e Ftc (altro ente regolatore del mercato) potrebbero accusarlo di aver nascosto informazioni rilevanti per gli azionisti.

Poi, spalleggiata da un miliardario, il cofondatore di eBay Pierre Omidyar, da Lawrence Lessig, celebre attivista e giurista della rivoluzione digitale e da un ex addetto stampa della Casa Bianca di Obama, Bill Burton, la Haugen ha messo in piedi una massiccia campagna di rivelazioni che il New York Times ha paragonato allo sbarco in Normandia: interviste televisive, audizioni davanti al Congresso Usa e al parlamento britannico e, addirittura, la creazione di un consorzio di testate giornalistiche che stanno estraendo dai Facebook Files centinaia di articoli servizi televisivi. Facebook oggi affronta due emergenze: un danno reputazionale molto evidente e conseguenze aziendali più difficili da quantificare perché legate a diverse variabili, dalle reazioni dei mercati alla reale capacità d’intervento della politica.

Sulla reputazione Zuckerberg si muove col cambio di nome e passando da una strategia difensiva (le scuse sussurrate ogni volta che a Facebook venivano contestati danni provocati alla comunità) a una offensiva: niente più scuse ma accuse ai media («uno sforzo coordinato per dare un’immagine falsa della società» usando documenti trafugati) e alla politica. Dopo aver osteggiato per anni ogni tentativo di regolamentare il digitale, ora Facebook conduce una campagna pubblicitaria sui media per chiedere regole e quando il Congresso la accusa di fare danni, replica: «Fate il vostro lavoro di legislatori anziché chiedere a noi di sopperire alla vostra incapacità».

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Nuovo Digitale terrestre, dal 20 ottobre Rai e Mediaset «spengono» alcuni canali: come sapere se continueremo a riceverli

mercoledì, Ottobre 13th, 2021

di Alessio Lana

Dal 20 ottobre molti canali del digitale terrestre passeranno all’Hd e non saranno più visibili da chi ha un vecchio televisore. E questa è solo una tappa intermedia nel cammino del nuovo digitale terrestre. Più avanti, nel 2023, ci sarà un altro cambiamento. Ma andiamo con ordine: vediamo come scoprire se siamo pronti e, in caso contrario, ci sono i bonus per nuovi Tv e decoder.

Partiamo dalla prima tappa, quella dell’Hd.

Dal 20 ottobre nove canali tematici Rai e sei di Mediaset verranno offerti solo in alta definizione (Hd appunto) e per riceverli occorrerà un televisore o un decoder compatibile. Per la Tv di Stato si parla di Rai 4, Rai 5, Rai Movie, Rai Yoyo, Rai Sport + HD, Rai Storia, Rai Gulp, Rai Premium e Rai Scuola. Per Mediaset invece di TgCom24, Mediaset Italia 2, Boing Plus, Radio 105, R101 TV e Virgin Radio TV.

Per sapere se il televisore o il decoder sono compatibili con l’Hd basta sintonizzarsi su un qualsiasi canale in alta definizione: 501 per Raiuno Hd, 505 per Canale 5 Hd, 507 per La7 Hd. Se ne riceviamo anche uno nessun problema, siamo a posto. Quasi tutti i televisori attualmente nelle nostre case sono già «a prova di futuro»: l’Hd infatti è compatibile con i modelli venduti fin dal 2010. Basterà solo risintonizzarli dopo il 20 ottobre.

Lo spegnimento dei canali tematici è legato a una modifica nella codifica, ovvero da Mpeg-2 a Mpeg-4.

Ma questo, dicevamo, è solo il primo passaggio tecnologico. Con il secondo, e più importante, si passerà dal sistema Dvb-T al Dvb-T2, ovvero al nuovo digitale terrestre, e tutti i vecchi canali saranno «spenti» a favore dei nuovi. Un televisore compatibile con l’Hd quindi non è detto che lo sia anche con quest’ultimo. Anche qui alcuni di noi avranno bisogno di adeguare il televisore o il decoder ma c’è tempo: sarà concluso solo nel gennaio 2023.

Per sapere se si è pronti ci sono due canali di test, il 100 per la Rai e il 200 per Mediaset. Se leggiamo la scritta «Test HEVC Main10» il Tv è compatibile anche con il nuovo digitale terrestre e non c’è bisogno di cambiarlo. L’importante, nell’eseguire il test, è che si vedano correttamente Raiuno sul canale 1 e/o Canale 5 sul quinto canale. Se infatti non riceviamo correttamente i canali tradizionali non vedremo neanche quelli di test. In questo caso meglio risintonizzare il Tv ed eseguire di nuovo il controllo.

In caso non si abbia un Tv o un decoder compatibile, il Mise ha messo a disposizione due bonus cumulabili tra loro.

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