Archive for the ‘Economia – Lavoro’ Category

Bollette, 5 milioni di italiani dovranno passare al mercato libero: come scegliere per evitare truffe

sabato, Maggio 20th, 2023

Sandra Riccio

Sono circa 5 milioni gli italiani che dovranno passare al mercato libero per l’elettricità entro il 10 gennaio 2024. Se non lo faranno in autonomia, la loro fornitura verrà assegnata d’ufficio e tramite asta ad un nuovo operatore. Queste le regole definite dal Decreto Ministeriale entrato in vigore proprio oggi che sancisce i criteri e le modalità per il passaggio al mercato libero dei clienti domestici non vulnerabili.

Le condizioni tariffarie a cui potranno accedere questi clienti saranno definite più avanti ma se si vuole evitare di “finire all’asta”, la soluzione è di passare al mercato libero scegliendo in autonomia il fornitore da cui acquistare energia tra le numerose offerte disponibili oggi.

Il nuovo Decreto significherà una corsa di molte famiglie alla scelta di un nuovo operatore sul mercato libero. Ma come orientarsi al meglio e capire cosa conviene davvero?

I consumi
«Il primo aspetto da considerare per valutare una nuova offerta luce e gas sono le nostre necessità, ovvero il fabbisogno energetico della nostra famiglia e in quali momenti consumiamo di più – suggeriscono gli esperti di SOStariffe.it -. Per scoprirlo guardiamo l’ultima bolletta inviata dal nostro attuale fornitore. La fattura riporta le caratteristiche delle tariffe di cui stiamo usufruendo al momento. Inoltre, esaminando le bollette ricevute in un arco di dodici mesi possiamo farci un’idea precisa dei nostri consumi annuali». Per quanto riguarda l’energia elettrica occhio all’orario e ai giorni in cui utilizziamo più energia, perché ad esempio accendiamo gli elettrodomestici con maggiore frequenza (fascia F1, F2 oppure F3 di consumo). Considerare quest’ultimo aspetto è necessario per prendere in considerazione le tariffe multi – orarie (biorarie o triorarie).

I costi
Importante poi è capire i costi. «Cerchiamo nel dettaglio dell’importo finale la sezione ‘Spesa per la materia energia’ – dicono gli esperti -. Sotto la voce ‘Quota energia’ possiamo verificare il costo unitario dell’energia espresso in euro/kWh per la luce ed euro/Smc per il gas. Invece nella sezione “Quota fissa” adocchiamo il costo fisso mensile sostenuto per mantenere attiva la fornitura».

Il Portale Arera
Una volta esaminata la nostra attuale situazione possiamo passare alla ricerca della soluzione migliore per noi. Le offerte sul mercato sono tantissime e negli ultimi anni sono comparsi moltissimi nuovi operatori. Come fare per capirci qualcosa? Esiste la possibilità di utilizzare il comparatore dell’Arera: Si chiama Portale Offerte e permette di arrivare alla soluzione più adatta alle nostre esigenze. Raccoglie e pubblica tutte le offerte presenti sul mercato luce e gas. Basta inserire le nostre caratteristiche e offrirà la lista delle compagnie più convenienti con tanto di importo da pagare a fine anno.

Attenzione a bonus e promozioni
Molte compagnie propongono bonus e promozioni. Si tratta di offerte allettanti ma occorre sempre capire bene che cosa succede allo scadere di questi incentivi. E in particolare bisogna capire bene quale tariffa viene applicata alla fine della fase promozionale. Molte volte la comunicazione delle società non mette in evidenza questo tipo di informazione e lascia invece molto spazio agli sconti che offre.

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Le spiagge e l’estate, la conta dei danni in Emilia-Romagna: «Corsa per riaprire»

venerdì, Maggio 19th, 2023

di Virginia Nesi

Le spiagge e l'estate, la conta dei danni in Emilia-Romagna: «Corsa per riaprire»

Giorgio Mussoni non nasconde la paura: «Quando pioveva a dirotto io ero qui, allo stabilimento, e c’era da tremare». Tremare perché nella Riviera il vento è forte e il mare mosso travolge e inghiottisce pezzi di spiaggia in cambio di detriti. L’accozzaglia di tronchi, piante e alberi ha la sagoma delle montagne. Prova a fare una stima dei danni economici: «Si fa fatica a vedere il mare, per portare via tutto ci vogliono dai 20 ai 50 camion». Da giorni il presidente della Cooperativa bagnini Rimini Nord segue con apprensione i lavori sulla costa. Mussoni ha 86 anni ma, lo precisa, «è tutto un gioco di forza, c’è da mettersi lì e piegare la schiena». Nel suo stabilimento, in zona Viserba, i resti dei fiumi invadono gli spazi poco prima occupati dagli ombrelloni. «Dobbiamo rimontarne più di 200 e abbiamo meno di 15 giorni, poi inizia la stagione, il tempo stringe», dice. Corrono contro le lancette dell’orologio i proprietari dei balneari. Lavorano giorni e notte. Nessuno ha intenzione di rinunciare alle aperture.

Il turismo e la pesca

Nelle zone turistiche più colpite c’è chi agita i rastrelli e chi invece non scende dai trattori. La burrasca ha creato dei solchi tra la strada e la battigia. E nel mare, oltre ai pezzi di alberi, spuntano «i mobili e gli oggetti che arrivano dalle case», assicura Paolo Lucchi, presidente di Legacoop Romagna. Rincara Mussoni: «Io ho visto anche una pecora morta. I fiumi portano giù di tutto. E tutto finisce sulle spiagge. Siamo gli spazzini d’Italia». I rifiuti danneggiano anche l’attività di pesca. Spiega Lucchi: «La quantità di detriti è talmente ampia che i pescatori stanno chiedendo un intervento straordinario da parte della Regione. Le reti, in mare, rischiano di rompersi e loro non riescono da soli a portare i detriti sulla costa».

La sabbia “mangiata”

A meno di 20 chilometri di distanza, il presidente della Cooperativa bagnini di Cesenatico Simone Battistoni descrive una situazione diversa: «Qui l’acqua è splendida, non ci sono detriti. Abbiamo in buona parte tolto la legna e oggi alcune spiagge saranno pronte». Il vero danno riguarda la sabbia. Tutta quella parte della battigia che continua a sparire sotto le onde del mare. Battistoni tenta di fare una previsione dei danni subiti: «Se consideriamo che un metro cubo di sabbia costa mediamente 10-11 euro, per l’intera regione servirebbero almeno 10 milioni. Dieci milioni per riavere indietro la sabbia “mangiata” dalla mareggiata” ». Ma è un dato teorico, e ci tiene a ribadirlo, perché puntualizza: «Nessuno la porterà, noi dobbiamo arrangiarci, ogni gruppo sta chiamando le ruspe». Riaprire è la priorità numero uno, lo ripete anche lui. Solo la Riviera romagnola totalizza 4,6 miliardi di spesa turistica diretta. Sommata all’indotto porta il comparto al 13% del Pil regionale. Ieri la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha voluto rassicurare imprese e cittadini: «Garantiamo il massimo sostegno».

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Il Tesoro punta su Franco per guidare la Bei, tra i candidati c’è anche la spagnola Calviño

mercoledì, Maggio 17th, 2023

dal nostro inviato MARCO BRESOLIN

BRUXELLES. Il grande puzzle delle nomine Ue si comporrà soltanto dopo le elezioni europee del prossimo anno, che con ogni probabilità si terranno nel weekend dal 6 al 9 giugno. Ma il primo tassello andrà messo già a breve perché bisogna scegliere il nuovo presidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), il braccio finanziario dell’Unione europea. L’Italia ha buone possibilità di vincere la partita e il Tesoro, secondo quanto risulta a “La Stampa”, avrebbe già iniziato a sondare gli alleati sul nome del candidato che ritiene più spendibile: l’ex ministro delle Finanze Daniele Franco. Anche se lo scontro sulla mancata ratifica del Mes rischia di complicare la trattativa.

La corsa per sostituire il tedesco Werner Hoyer, il cui mandato scade a dicembre, è iniziata ufficialmente ieri: nel corso dell’Ecofin, la presidenza svedese dell’Ue ha invitato i 27 governi a sottoporre eventuali candidature entro il prossimo 16 giugno. Quel giorno si riunirà a Lussemburgo il Consiglio dei governatori della Bei per approvare l’elenco dei candidati, dopodiché i nomi verranno vagliati dal Comitato per le nomine. In autunno i Ventisette voteranno per eleggere (a maggioranza qualificata) il nuovo presidente.

Il vero momento decisivo sarà quindi tra ottobre e novembre, ma nei contatti bilaterali tra i ministri già si lavora per costruire le alleanze. Per gli incarichi economico-finanziari, in genere, i Paesi Ue si dividono secondo il classico schema Nord-Sud. Ma anche l’appartenenza politica può giocare un ruolo. Da questo punto di vista, il nome di Franco – anche se proposto da un governo di centrodestra – è assolutamente “neutro”, essendo un tecnico puro. Questo può certamente aiutarlo a raccogliere un consenso trasversale, al di là del fatto che il suo curriculum (Ragioniere generale dello Stato, direttore generale della Banca d’Italia e poi ministro del Tesoro nel governo Draghi) è indubbiamente il suo migliore biglietto da visita. Tra l’altro l’Italia è da sempre un partner privilegiato della Bei, essendo il primo beneficiario dei finanziamenti: circa 10 miliardi di euro lo scorso anno su un totale di 72,5 miliardi.

La candidatura di Franco potrebbe però scontrarsi con un altro nome forte del fronte mediterraneo. Per la presidenza della Bei si parla molto dell’attuale vicepremier e ministra delle Finanze spagnola Nadia Calviño, che ieri ha avuto un incontro bilaterale proprio con l’attuale presidente Werner Hoyer e lunedì si è intrattenuta con il collega Giorgetti. Calviño dovrebbe però lasciare anzitempo il governo di Pedro Sanchez, motivo per cui la spagnola ancora non ha sciolto la riserva. Già direttrice generale della Commissione Ue, l’anno prossimo la ministra potrebbe lasciare Madrid per tornare a Bruxelles e ottenere un portafoglio durante il prossimo mandato della Commissione. Tutto dipende però dall’esito delle elezioni di fine anno in Spagna: una vittoria del centrodestra le sbarrerebbe la strada, per questo l’opzione Bei le consentirebbe di piazzarsi anzitempo.

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Cassa integrazione e lavoro, cambia tutto: ecco come

martedì, Maggio 16th, 2023

Federico Garau

Grazie a un disegno di legge che accompagnerà il decreto lavoro si potrà svolgere una mansione retribuita senza perdere il diritto al trattamento di cassa integrazione anche per quei contratti di durata inferiore ai sei mesi, con l’obiettivo di agevolare il reimpiego di una gran fetta di cittadini che stanno beneficiando degli ammortizzatori sociali.

Nel momento in cui tale norma entrerà in vigore, anche per questi lavoratori non scatterà la totale sospensione del trattamento come accade allo stato attuale delle cose, ma si verificherà solo la perdita del sussidio per le giornate effettivamente lavorate. La speranza del governo è quella di far emergere quelle piccole mansioni che in genere vengono svolte in nero durante il periodo di cassa integrazione.

L’articolo 3 del ddl

Il disegno di legge è accompagnato da una relazione integrativa in cui si fa perno sull’orientamento della Corte di Cassazione in materia. In una sentenza del 1992, come riportato da Il Messaggero, gli Ermellini determinarono infatti che “lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata od autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa”.

Con l’articolo 3 del decreto di legge verrà a cadere la distinzione di trattamento tra i lavori (sia dipendenti che autonomi) della durata inferiore a sei mesi e quelli con estensione temporale superiore, per i quali ad ora è già previsto, in caso di cassa integrazione, il principio di interruzione degli ammortizzatori sociali solo per le giornate effettivamente lavorate senza la sospensione totale del trattamento. Ovviamente sarà dovere del lavoratore comunicare direttamente all’Inps il proprio impiego, pena la decadenza del diritto al trattamento di integrazione salariale.

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L’Italia corre più veloce dell’Europa. Giorgetti: “Mes, non siamo pronti”

martedì, Maggio 16th, 2023

dal nostro inviato Marco Bresolin

BRUXELLES. Nel giorno dell’ennesimo pressing dell’Eurogruppo sulla mancata ratifica della riforma del Mes, che il ministro Giancarlo Giorgetti ha cercato di respingere dicendo che «il Parlamento non è ancora pronto», arrivano due notizie per il governo. Quella buona, come ha evidenziato Paolo Gentiloni, è che quest’anno l’Italia crescerà più di Francia e Germania (+1,2%). «Credo non avvenisse da tempo», ha ricordato il commissario. La cattiva è che dal 2024 l’Italia tornerà in maglia nera nella classifica europea del Pil con un dato che non andrà oltre l’1,1%: secondo le previsioni economiche della Commissione europea, l’anno prossimo il Pil dell’Eurozona crescerà dell’1,6%, mentre quello dell’Ue dell’1,7%. Nessuno farà peggio.

Per Gentiloni la spinta del Pnrr è «fondamentale» perché rappresenta uno strumento che mette a disposizione spese per investimenti «in una fase in cui i margini per le politiche espansive sono ridotte». Per questo l’Italia «deve fare uno sforzo». Bruxelles stima un impatto sul prodotto interno lordo pari al 2,5% del Pil in tre anni, ma «a patto che si rispettino i tempi e gli obiettivi» per potere ottenere i pagamenti. Al momento la terza rata è ancora bloccata: al netto della questione degli stadi di Firenze e Venezia, ormai depennati, non sembrano esserci ostacoli politici insormontabili. Si tratta di «ritardi tecnici» dovuti all’enorme mole di documenti richiesti dalla direzione generale Ecfin all’Italia. Secondo fonti Ue, il via libera potrebbe arrivare nei prossimi giorni o addirittura nelle prossime ore.

Per Bruxelles, comunque, c’è la soddisfazione per aver scampato una recessione tecnica (quest’anno l’Eurozona crescerà dell’1,1%) e per aver riportato i deficit e i debiti pubblici su un percorso discendente: quest’anno il valore medio calerà rispettivamente al 3,1% e all’83% nell’intera Ue. Migliora anche la situazione dei conti pubblici italiani, ma il valore del disavanzo sarà comunque superiore al tetto del 3% nel prossimo biennio: 4,5% quest’anno e 3,7% il prossimo. Il debito calerà invece di quattro punti percentuali e quest’anno sarà al 140,4%. Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo, ha però ricordato che «l’inflazione è ancora troppo alta (5,8% quest’anno, ndr) e deve essere fatta scendere». Anche se, come ha fatto presente Gentiloni, la stretta finanziaria pesa inevitabilmente sull’economia.

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Chi va in pensione più tardi vive meglio e più a lungo

lunedì, Maggio 15th, 2023

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Vuoi vivere a lungo e in salute? Non smettere mai di lavorare! Detta così è un po’ brutale, ma gli studi scientifici dimostrano che ritardare il pensionamento rallenta il declino cognitivo e consente di sfuggire all’isolamento sociale. La ricerca più esaustiva, pubblicata nel 2015 sulla rivista «CDC Preventing Chronic Disease», è stata svolta su un campione di 83 mila persone: gli over 65 che lavorano hanno tre volte più probabilità di stare meglio fisicamente rispetto a chi è inattivo e il 50% di probabilità in meno di contrarre patologie serie, come cancro o malattie cardiache. Dunque, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in questa fascia di età sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere.

Tra i popoli più longevi al mondo

A guardare i numeri noi italiani stiamo già bene così: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini). Tra i grandi Paesi solo il Giappone fa meglio, ma come vedremo più avanti le differenze sono sostanziali.

Dai dati Ocse mediamente gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e da un’analisi di Bloomberg tra i 16 e i 18 anni sono trascorsi in buona salute.Una lunga vita è un dato positivo e allo stesso tempo una sfida. L’Italia è infatti il Paese più anziano d’Europa (età media 48 anni contro i 44,4 della Ue). Gli over 65 hanno superato i 14 milioni (il 24% dell’intera popolazione) e secondo le proiezioni Istat nel 2050 diventeranno 20 milioni (34,9%). Come conservare l’attuale tenore di vita ed evitare aumenti della spesa sociale insostenibili? Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi che ci assomigliano demograficamente ci sono il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (vedi Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione degli over 65.

Età pensionabile e posticipo dell’assegno

La riforma Fornero del 2011 prevede che l’età standard per andare in pensione sia 67 anni, ma grazie alle varie norme sull’uscita anticipata l’età effettiva resta tra i 62 e i 63 anni (dati OCSE e Itinerari Previdenziali). I dipendenti pubblici che hanno maturato i diritti alla pensione devono obbligatoriamente uscire a 65 anni e solo alcune limitate categorie professionali (magistrati, medici, docenti) possono posticipare l’età limite a 70 anni. Nel privato, invece, in accordo con l’azienda, si può restare al lavoro fino a 71 anni. Chi decide di posticipare la pensione deve rinunciare temporaneamente all’assegno, ma al momento dell’uscita ne incasserà uno più corposo non solo grazie all’aumento degli anni di contribuzione, ma anche perché si è elevato il coefficiente di trasformazione che determina l’ammontare dell’assegno. Ad esempio, nel 2023 una persona che esce dal lavoro a 65 anni e che ha accumulato 300 mila euro di contributi beneficerà di un coefficiente di trasformazione di 5,352% e di una pensione annuale di 16.056 euro. Se però va in pensione a 70 anni, con 350 mila euro di contributi e un codice di trasformazione annuale di 6,395% avrà una pensione di 22.382 euro. Poco più di 500 euro al mese.

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Con il rialzo dei tassi di interesse i soldi del Pnrr costeranno di più

giovedì, Maggio 11th, 2023

Luigi Frasca

Il Parlamento europeo suona l’allarme: l’aumento dei tassi di interessi sui prestiti effettuati per finanziare il Recovery Plan mette a rischio i programmi chiave dell’Unione europea. In una risoluzione votata ieri, 434 voti favorevoli 99 contrari e 89 astensioni, gli eurodeputati hanno espresso «profonda preoccupazione per il fatto che, senza l’adozione delle misure necessarie,l’aumento dei costi di finanziamento dello strumento dell’Unione europea per la ripresa potrebbe limitare gravemente la capacità di bilancio dell’Unione europea di finanziare le priorità e le politiche dell’Unione e di rispondere alle esigenze emergenti». Il problema è nato per una previsione sbagliata. Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 prevedeva 12,9 miliardi di euro in prezzi del 2018, 15 miliardi di euro a prezzi correnti, per il periodo di sette anni per coprire i costi di finanziamento dell’Euri, lo strumento dell’Unione europea per la ripresa. Una cifra che si basava sul presupposto che i tassi di interesse sarebbero aumentati gradualmente dallo 0,55% del 2021 fino a un massimo di 1,5 nel 2027. Il problema è che oggi siamo già oltre il 3%.

Qual è il rischio? Per i deputati senza l’adozione di misure necessarie programmi come Erasmus+, Eu4Health o «Cittadinanza, uguaglianza, diritti e valori» rischiano di subire dei tagli mentre, contestualmente, l’inflazione riduce il valore reale del bilancio dell’Unione europea. Ad aggravare il quadro ci sono state anche le spese non previste sia per la pandemia sia per la guerra in Ucraina. Per questo i deputati chiedono che, per prima cosa, venga riformato il bilancio a lungo termine che dovrà entrare in vigore dal 1° gennaio 2024. La Commissione dovrebbe presentare il progetto di bilancio annuale 2024 alla fine di maggio e proporre una revisione del Qfp, quadro finanziario pluriennale, a giugno. Proposta anche l’introduzione di risorse proprie secondo la tabella di marcia giuridicamente vincolante per garantire un «livello complessivo affidabile e sufficiente di entrate supplementari, anche per coprire gli oneri finanziari dell’Euri». Ma questo come si riflette sulla quota dei fondi del Pnrr che l’Italia ha preso in prestito? Dei 191,5 miliardi di euro del Pnrr italiano 68,9 miliardi sono sovvenzionati a fondo perduto mentre altri 122,6 miliardi di euro sono prestiti. Per i costi dei prestiti del Pnrr l’Italia si rifà al loan agreement, ossia l’accordo di prestito, sottoscritto con l’Ue il 26 luglio 2021 dall’allora governo di Mario Draghi. I costi dei prestiti sono stabiliti dalla Commissione europea in una «confirmation notice», avviso di conferma, inviata all’Italia prima dell’erogazione delle singole rate. Gli 11 miliardi della prima rata dovranno essere restituiti in circa vent’anni e non da subito, ma a partire da maggio 2023 ed entro maggio 2052. Il fatto che il debito sia «spalmato» su un periodo così lungo permette sia di ridurre il peso del debito sul bilancio pubblico nei singoli anni, ma di solito un prestito più a lungo termine prevede un tasso di interesse più alto. Non è facile calcolare la percentuale precisa degli interessi perché variano al variare delle condizioni del mercato.

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730 precompilato, dall’11 maggio si può modificare e inviare: ecco quando arriva il rimborso

giovedì, Maggio 11th, 2023

di Alessia Conzonato

730 precompilato, via alle modifiche

Il 2 maggio l’Agenzia delle Entrate ha diffuso sul proprio sito internet il modello 730 precompilato e, quindi, con una parte dei dati dei contribuenti preventivamente inseriti. A partire da giovedì 11 maggio è possibile accettarlo oppure modificarlo prima dell’invidio definitivo del documento. Gli interessati potranno verificare che ci siano tutti gli oneri detraibili e di avere tutti i documenti necessari a dimostrare l’effettività del diritto allo sconto fiscale. Sotto osservazione ci sono soprattutto la prima rata dei bonus casa per interventi sostenuti sulla singola unità immobiliare e le spese mediche.
Per la consegna ci sarà tempo fino al 2 ottobre per via telematica, ma è anticipata – essendo domenica – al 30 settembre se restituito tramite Caf, professionista abilitato o sostituto d’imposta.
Vediamo, quindi, come modificare correttamente il modello.

Leggi anche:Modello 730, le detrazioni possibili: dai farmaci alle visite mediche, cosa fare

Leggi anche:Modello 730, dal 2 maggio via al precompilato: come si modifica e invia (senza fare errori)

Come effettuare le modifiche

Secondo la guida fornita dalle Entrate (disponibile a questo link), per compilare il quadro E inerente a oneri e spese ci sono due modalità: quella ordinaria per chi preferisce farlo in autonomia e quella assistita della dichiarazione dei redditi. In caso di necessità di passare da una modalità all’altra, la piattaforma permette di farlo con il tasto «Cambia modalità di compilazione», attenzione, però, che siano state recepite le modifiche apportate fino a quel momento. Per correggere una delle voci già compilata dal Fisco o per inserirne una nuova, è necessario cliccare su “E-oneri” per visualizzare l’elenco completo delle voci di spesa.
Nello spazio denominato «Dichiarante e familiari» è possibile visualizzare – inserendo il proprio codice fiscale – tutte le spese dei familiari a carico; ogni voce può essere eliminata, esclusa o inclusa, oltre a poterne aggiungere di nuove.

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Mes, che cos’è e a chi serve. Perché l’Italia non lo ratifica e la Germania si vendica

mercoledì, Maggio 10th, 2023

di Domenico Affinito e Milena Gabanelli

Si parla moltissimo di Mes, pochi lettori sanno cos’è, quindi partiamo dall’inizio. Mes vuol dire «Meccanismo Europeo di Stabilità», detto anche «Fondo salva stati», è stato approvato dal Consiglio europeo il 25 marzo 2011 per aiutare i Paesi dell’eurozona in difficoltà a causa della crisi finanziaria. Fortemente voluto dall’Italia (a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi) che rischiava di non essere in grado di ripagare il proprio debito pubblico dopo l’esplosione dello spread. Ci è voluto più di un anno perché entrasse in vigore, l’8 ottobre 2012, per un’iniziale contrarietà della Germania. All’epoca coinvolgeva 19 Stati che sono diventati 20 dal 1 gennaio 2023 con l’ingresso della Croazia.

Parte tutto dalla crisi del 2007-2008, scatenata dallo scoppio della bolla immobiliare e dai mutui subprime.

Mes, la genesi

Parte tutto dalla crisi del 2007-2008, scatenata dallo scoppio della bolla immobiliare e dai mutui subprime. Nel giro di poco la crisi finanziaria riduce la liquidità delle banche e la possibilità di credito alle imprese, di conseguenza si abbatte sull’economia reale, aggredisce i debiti sovrani e la capacità di solvibilità di alcuni Stati europei. Quelli più in difficoltà sono Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna che, con la bassa inflazione di allora (in media 2,3% tra il 2000 e il 2008) non hanno sentito la necessità di fare riforme e investimenti per spronare la crescita e arginare la perdita di competitività. Nel 2008 il tasso di interesse medio sui titoli governativi a 10 anni di Italia, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna era il 10,4%, mentre quello di Francia e Germania viaggiava attorno al 4%. L’Europa cerca soluzioni per evitare che la crisi si propaghi anche alle economie sane e dà vita nel 2010 al Fondo europeo di stabilità finanziaria, rimpiazzato due anni dopo dal Mes.

Come funziona

Il Mes ha un capitale di 80,5 miliardi di euro versato dagli Stati membri in proporzione alle rispettive quote di capitale della Bce, ma è autorizzato a raccogliere oltre 700 miliardi sul mercato con apposite obbligazioni, grazie alla garanzia del capitale sottoscritto sempre dagli Stati membri. L’Italia partecipa con 14,28 miliardi versati e 125 miliardi sottoscritti a garanzia. La decisione di aiutare un Paese che ne fa richiesta viene presa all’unanimità dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri delle Finanze dell’area Euro.

Il Consiglio può anche prendere decisioni con una maggioranza dell’85%, ma solo se è a rischio la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro. I diritti di voto sono proporzionali al capitale sottoscritto: Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15% e possono porre quindi il loro veto anche sulle decisioni urgenti. Una volta dato il via libera, il Mes corre in aiuto al Paese in difficoltà con: 1) prestiti economici, 2) acquisti di titoli di Stato, 3) linee di credito precauzionali, 4) prestiti per la ricapitalizzazione delle banche in crisi. Le condizioni dei prestiti variano a seconda del tipo di aiuto. Le linee di credito precauzionale non prevedono misure correttive dello Stato e sono riservate ai Paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità, non presentano eccessivi squilibri, non hanno problemi di stabilità finanziaria, ma si trovano in un momento di difficoltà. Le linee di credito a «condizionalità rafforzata» sono destinate ai Paesi in difficoltà strutturale e in questo caso è obbligatorio un programma di riforme strutturali, negoziato con il Paese che chiede l’aiuto e vigilato dalla Troika, ovvero da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.

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Italia in un angolo sul Mes: perché la Ue spinge per la ratifica

martedì, Maggio 9th, 2023

Andrea Muratore

Nelle ultime settimane è aumentata notevolmente la pressione sull’Italia perché ratifichi la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) conclusa nel 2021 ai tempi del governo Conte II e che né l’avvocato pugliese alla guida del governo formato da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico né Mario Draghi e il suo esecutivo di unità nazionale hanno mai chiesto di ratificare esplicitamente.

Giorgia Meloni non sembra volersi discostare dalla linea dei suoi predecessori e, anzi, con l’ascesa di Fratelli d’Italia a forza guida del governo il no alla ratifica della riforma del Mes è diventata da frutto di un compromesso tra coalizioni divise un baluardo dell’esecutivo. La riforma prevede un contributo del Mes al Fondo di risoluzione unico (Srf) per le crisi bancarie ed è contestato da Fdi perché si ritiene che la sua approvazione riporterebbe d’attualità il Mes nel suo complesso e lo spauracchio per una possibile richiesta di ristrutturazione del debito italiano.

Curioso, dunque, che nel periodo segnato da una tensione bancaria notevole tra Svizzera e Stati Uniti che ha avuto code europee col caso Deutsche Bank l’Ue torni a fare pressione ad altissimi livelli su Roma perché l’itinerario della riforma sia compiuto. La stessa presidente della Banca centrale europea, la francese Christine Lagarde, ha sottolineato la volontà dell’Eurotower di vedere la riforma in vigore in tempi brevi parlando con il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti al recente Ecofin.

La riforma del Mes aggiungerebe un “terzo grado” di giudizio alla risoluzione delle crisi più gravi in ambito bancario nell’Europa a Ventisette. Ad oggi si partirebbe col bail-in che farebbe pagare a obbligazionisti e titolari di conti correnti notevoli il costo della risoluzione di uno stato di crisi e, in caso di insufficiente disponibilità di risorse, il Srb interverrebbe scaricando le sue cartucce finanziarie sull’istituto in crisi per tenerlo a galla, proteggerlo da una fuga di capitali, evitarne il dissesto e prevenire il contagio.

Per l’analista economico Giuseppe Liturri il timore è che senza volerlo dire esplicitamente la Bce preveda il rischio di un dissesto finanziario tale da dover richiedere l’aiuto del Mes al Srb: “Potrebbe essere imminente un dissesto bancario di dimensioni tali dover richiedere dapprima il bail-in di obbligazionisti e depositanti oltre 100 mila euro fino al 8% del passivo della banca. Tale sacrificio non dovrebbe essere sufficiente a riequilibrare attivo e passivo al punto che dovrebbe intervenire il Srf, i cui circa 60 miliardi non dovrebbero bastare per soccorrere la banca”, nota Liturri su StartMag. “A quel punto sarebbe necessario il prestito del Mes al Srf per intervenire come autorità di risoluzione e tenere la banca”, o le banche interessate da un’eventuale crisi, “in piedi“. Tale solerzia da parte di Lagarde confliggerebbe, dunque, con l’affettata serenità mostrata dopo la tempesta finanziaria su Credit Suisse che ha portato l’ex governatrice del Fondo Monetario Internazionale a definire “infondate” le preoccupazioni per un contagio.

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