Chi va in pensione più tardi vive meglio e più a lungo

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Vuoi vivere a lungo e in salute? Non smettere mai di lavorare! Detta così è un po’ brutale, ma gli studi scientifici dimostrano che ritardare il pensionamento rallenta il declino cognitivo e consente di sfuggire all’isolamento sociale. La ricerca più esaustiva, pubblicata nel 2015 sulla rivista «CDC Preventing Chronic Disease», è stata svolta su un campione di 83 mila persone: gli over 65 che lavorano hanno tre volte più probabilità di stare meglio fisicamente rispetto a chi è inattivo e il 50% di probabilità in meno di contrarre patologie serie, come cancro o malattie cardiache. Dunque, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in questa fascia di età sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere.

Tra i popoli più longevi al mondo

A guardare i numeri noi italiani stiamo già bene così: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini). Tra i grandi Paesi solo il Giappone fa meglio, ma come vedremo più avanti le differenze sono sostanziali.

Dai dati Ocse mediamente gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e da un’analisi di Bloomberg tra i 16 e i 18 anni sono trascorsi in buona salute.Una lunga vita è un dato positivo e allo stesso tempo una sfida. L’Italia è infatti il Paese più anziano d’Europa (età media 48 anni contro i 44,4 della Ue). Gli over 65 hanno superato i 14 milioni (il 24% dell’intera popolazione) e secondo le proiezioni Istat nel 2050 diventeranno 20 milioni (34,9%). Come conservare l’attuale tenore di vita ed evitare aumenti della spesa sociale insostenibili? Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi che ci assomigliano demograficamente ci sono il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (vedi Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione degli over 65.

Età pensionabile e posticipo dell’assegno

La riforma Fornero del 2011 prevede che l’età standard per andare in pensione sia 67 anni, ma grazie alle varie norme sull’uscita anticipata l’età effettiva resta tra i 62 e i 63 anni (dati OCSE e Itinerari Previdenziali). I dipendenti pubblici che hanno maturato i diritti alla pensione devono obbligatoriamente uscire a 65 anni e solo alcune limitate categorie professionali (magistrati, medici, docenti) possono posticipare l’età limite a 70 anni. Nel privato, invece, in accordo con l’azienda, si può restare al lavoro fino a 71 anni. Chi decide di posticipare la pensione deve rinunciare temporaneamente all’assegno, ma al momento dell’uscita ne incasserà uno più corposo non solo grazie all’aumento degli anni di contribuzione, ma anche perché si è elevato il coefficiente di trasformazione che determina l’ammontare dell’assegno. Ad esempio, nel 2023 una persona che esce dal lavoro a 65 anni e che ha accumulato 300 mila euro di contributi beneficerà di un coefficiente di trasformazione di 5,352% e di una pensione annuale di 16.056 euro. Se però va in pensione a 70 anni, con 350 mila euro di contributi e un codice di trasformazione annuale di 6,395% avrà una pensione di 22.382 euro. Poco più di 500 euro al mese.

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