Spataro: la fine dell’abuso d’ufficio nuoce a tutti e favorisce i reati dei “colletti bianchi”

Armando Spataro

In questo Paese è ricorrente la discussione sulla cd. «giustizia ad orologeria», il cui senso sta nell’attribuzione ai magistrati che conducono indagini ed emettono sentenze di finalità estranee ai loro doveri costituzionali. Meno frequente è quella sulle «leggi ad orologeria», che pure abbiamo conosciuto. Basti ricordare la stagione delle leggi ad personam, tra cui la riforma «epocale» sul «giusto processo» (poi finita su un binario morto) che l’allora presidente del Consiglio Berlusconi ed il ministro della Giustizia Alfano presentarono alla stampa, nel marzo 2011, usando una vignetta con due immagini: la prima raffigurava la dea della giustizia con bilancia a piatti disallineati e la seconda con piatti perfettamente allo stesso livello, cioè lo stato «pre» e «post» riforma. Un noto vignettista, però, per spiegare quale sarebbe stata la situazione futura, disegnò la bilancia con un piatto solo, mentre un ladro fuggiva con il secondo. Forse questa vignetta potrebbe essere oggi aggiornata: se il Ddl di riforma della giustizia passasse, il ladro ben potrebbe esservi raffigurato mentre fugge con entrambi i piatti della bilancia.

Sì, proprio così, perché questa riforma nuoce a tutti i cittadini, coinvolti o meno in un processo, e giova solo ai responsabili di molti reati, soprattutto quelli dei cosiddetti «colletti bianchi» o a chi non accetta alcuna forma di controllo sul proprio agire.

È bene partire dalle affermazioni del ministro della Giustizia secondo cui l’Associazione Magistrati non potrebbe interloquire durante l’iter di gestazione delle leggi, così come le sentenze non definitive non potrebbero essere criticate dai politici: novità assoluta perché, al di là del legittimo diritto di critica, negare quello di interlocuzione dei magistrati sulle leggi in tema di giustizia – che non tocca affatto solo al Csm – è del tutto illogico ed è conforme solo al principio del potere unitario che tutto decide!

Passando ad esaminare i contenuti più importanti del Ddl in questione, la prima proposta di modifica riguarda la abrogazione del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.). A sostegno della scelta, pare, si siano schierati molti sindaci che lamentano la genericità delle prescrizioni vigenti che li esporrebbe a rischi di incriminazione e processi. Il che sarebbe confermato dall’alto numero di processi aperti per tale reato a fronte di successive poche condanne. A tale ultimo proposito, basterebbe ricordare che le legge prevede l’iscrizione di un procedimento per qualsiasi notizia di reato pervenga all’Autorità Giudiziaria. Il che è obbligatorio senza determinare effetti pregiudizievoli per la persona iscritta, anche quando la notizia è infondata e si deve poi provvedere alla archiviazione. Ma, a parte questo, potrà essere forse condivisibile uno sforzo per meglio tipizzare gli abusi penalmente sanzionabili, ma non può essere accettabile far cadere qualsiasi tipo di controllo giudiziario per sindaci ed altri amministratori pubblici, così da lasciarli liberi, ad esempio, in nome di discrezionalità senza limiti, di operare scelte favorevoli a persone a loro vicine o a società alla cui gestione sono interessati. Cosa si potrebbe dire, in tali casi, a cittadini meritevoli ed onesti o ad imprenditori corretti rispettivamente aspiranti ad un lavoro pubblico o ad una licenza? Molti altri esempi sarebbero possibili per dimostrare la possibile ulteriori crisi del buon andamento e dell’imparzialità della P.A., conseguenze prevedibili del principio in estensione del «meno controlli per tutti», già manifestatosi con l’intenzione di limitare l’efficacia dei controlli della giustizia amministrativa su alcune scelte del Governo. E tra l’altro, come è stato già rilevato, non si possono ignorare raccomandazioni e risoluzioni sovranazionali che la Costituzione ci impone di rispettare e che ci impongono – salvo la scelta di arrecare un vulnus all’Ue – di non abolire tout court quel reato che, come hanno ricordato magistrati esperti come Melillo e Ceccarelli, è previsto in tutti gli Stati membri dell’Unione e in molti altri Paesi, al pari del reato di traffico di influenze illecite, che punisce il mediatore tra interessi di un corruttore e di un pubblico ufficiale corruttibile, e per il quale si prevede, rispetto al testo vigente, una restrizione dell’ambito di punibilità.

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