La mia città ferita e il santuario di San Patrizio: così ho riscoperto l’orgoglio bergamasco

Ogni anno, il 17 marzo, si sale a San Patrizio con le fiaccole. Il 17 marzo dell’anno scorso la fiaccolata non ci fu. San Patrizio lassù da solo, il paese sotto, e sotto chiave. Sospesa anche quest’anno, però quest’anno San Patrizio era tutto illuminato. Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha detto «cari bergamaschi» e sono bastati quell’aggettivo e quel sostantivo, così normalmente accostati, ad ammutolirmi. Vivo a Roma da oltre sedici anni, prima vivevo a Milano. Un anno fa mi sentivo un disertore. Uno scampato per codardia. Chiamavo il mio amico Cesare, gli dicevo della voglia di tornare per scrivere dalla parte giusta della barricata, e lui mi diceva stai alla larga da questo lazzaretto. Chiamavo il mio amico Riccardo che mi raccontava della moglie e delle figlie sigillate in casa con la febbre, tranne la più piccola, che cucinava per gli altri, e lui non le vedeva da una settimana. Chiamavo il mio amico Stefano, che andava a far la spesa di notte per aggirare il virus, e alla mattina sentivo nell’auricolare il battere della sua corsa rigenerante nelle strade morte. Chiamavo il mio amico Beppe, che lavora alla manutenzione dell’ospedale San Giovanni, e il coronavirus me lo spiegò così: quando si usa l’ossigeno, i sifoni che lo contengono si raffreddano, e noi oggi passiamo le giornate a staccare le stalattiti.

Ero fuggito da Bergamo appena possibile, appena più che ragazzo, per la repulsione della provincia che si crede l’ombelico del mondo, e d’improvviso lo era davvero, era l’ombelico del mondo malato, era il fuoco della tragedia. Allora ho ricominciato a sentirmi bergamasco, a dirmi bergamasco, e quando un giorno il Comune di Bergamo mi ringraziò di un articolo – di uno stupido articolo, di stupide parole battute su questa stessa tastiera, mentre a casa si moriva e si lottava, mentre a casa ci si ammalava e non ci si arrendeva, mentre erompeva uno smisurato sentimento senza retorica, cioè di poche parole e di mano sempre tesa, mentre forse il resto d’Italia capiva qual è l’equivoco mai raddrizzato dai bergamaschi, e dunque finalmente capiva che cosa è Bergamo e che cosa è la sua essenza – ecco, quando il Comune di Bergamo mi ringraziò, ho sentito dentro di me muoversi qualcosa che rassomigliava al significato di quella stupida, insopportabile parola: orgoglio. Orgoglio di essere bergamasco. Cioè un orgoglio senza merito.

San Patrizio è un mistero. È l’unico santuario in Italia consacrato al culto del santo irlandese, ma non se ne conoscono le ragioni. Ci sono alcune ipotesi, ma nessuna suffragata da documenti storici, probabilmente perché dalle mie parti avevano altro da fare che di stare lì a spiegare ai posteri il perché e il percome. L’importante è che San Patrizio ci sia, e che muto dica qualcosa. L’importante è che sia lì da un millennio, più o meno, dai tempi in cui i monaci giravano l’Europa a tenerla unita nella lingua e nella regola universale della fede. Non sono credente, ma San Patrizio parla anche a me. Un giorno, quando il covid avrà finito la sua razzia, chiamerò il mio amico Mirco e con i miei zii, i miei cugini, mia madre, con tutti quelli che saranno sopravvissuti, torneremo lassù, a casa.

LA STAMPA

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