La battaglia necessaria sullo strapotere delle toghe

Su questo fallimento si innesta il progressivo – e per noi doloroso – discredito della magistratura dopo lo scandalo Palamara: il mercimonio delle cariche, lo strapotere delle correnti, le contiguità opache tra toghe e partiti, insomma la più bassa baratteria clientelare mercanteggiata al ristorante o nelle case dei magistrati. Il trojan inserito nel cellulare di Palamara ha rivelato solo in parte questo sistema disgustoso, peraltro ben noto da anni a tutti i magistrati.

Per di più, come ha detto lo stesso intercettato, nelle conversazioni pubblicate «c’è di tutto, ma non c’è tutto». Aspettiamo il seguito. Infine il sospetto più grave: che la giustizia sia stata piegata a fini politici da chi la amministrava, per eliminare protagonisti sgraditi. L’intercettazione su Salvini è su questo significativa: se così fosse, più che un reato sarebbe un sacrilegio.

Si tratta, come direbbe De Gaulle, di un vasto programma; ma di incerta realizzazione, per due ragioni. La prima, che non sarebbe facile ottenere in Parlamento una maggioranza disposta ad approvare riforme così radicali, ancorché indispensabili. L’ala cosiddetta giustizialista del Pd e dei grillini potrebbe porvi il veto, anche a rischio di perdere il seggio e lo stipendio. La seconda, connessa alla prima, sarebbe l’ostilità della parte più politicizzata della magistratura. Nessuno pensa che reagirebbe con iscrizioni sul registro degli indagati, spedizioni di informazioni di garanzia, intercettazioni sapientemente diffuse, e magari qualche buon arresto cautelare. Sarebbe un’ignominia alla quale non vogliamo nemmeno pensare. Ma certamente reagirebbe, come ha sempre fatto, con quella “moral suasion”, ora lamentosa ora arcigna, dei convegni, degli appelli, delle petizioni culminanti nella stucchevole litania del depotenziamento della lotta alla mafia, agli evasori fiscali e, naturalmente, ai politici corrotti. Una pressione fortissima cui sarebbe difficile resistere. 

L’altro giorno, nell’indirizzare il nostro rispettoso augurio al nuovo premier incaricato, citammo le doti che Gibbon attribuisce al grande statista: la mente per comprendere, il cuore per risolversi, il braccio per eseguire. Quest’ultimo non dipende da Draghi, perché spetta al potere legislativo. Ma se Draghi, con la sua indiscussa autorevolezza, dimostrasse il cuore per progettare una simile riforma, sarebbe già un significativo passo avanti verso il ripristino di una civiltà giuridica decrepita e moribonda. Anche se non avesse successo, sarebbe un bel messaggio: in fondo la battaglia più nobile è quella che sappiamo perduta in partenza. E, poi, non si sa mai, potrebbe anche essere vinta.

IL MESSAGGERO
 

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