La battaglia necessaria sullo strapotere delle toghe

CARLO NORDIO

Non sappiamo quale sia il programma del nuovo governo sulla giustizia. Sappiamo che Draghi la considera una priorità – ed in effetti lo è – perché la lentezza dei processi e l’incertezza del diritto incidono gravemente sull’economia che rappresenta oggi, assieme alla salute, l’emergenza maggiore. Abbiamo anche scritto, e lo ripetiamo, che proprio per questo occorre intervenire, prima di tutto, sulla giustizia civile, i cui ritardi compromettono gli investimenti e lo sviluppo, e contemporaneamente su quei settori che paralizzano la pubblica amministrazione. L’abolizione del reato di abuso di ufficio e la limitazione dei ricorsi al Tar ridarebbero vitalità a sindaci e assessori oggi paralizzati dalla minaccia delle inchieste.

Sarebbero riforme a costo zero e, quel che più conta, abbastanza condivise. Soprattutto l’accelerazione delle cause civili troverebbe – riteniamo – un ampio consenso parlamentare. 
Detto ciò, aggiungiamo che questa potrebbe essere l’occasione per una strategia di più ampio respiro. Il governo Draghi ha tre punti di forza: l’ impronta genetica del Presidente della Repubblica, l’avallo dell’Europa e la conseguente fiducia dei mercati e, ultima ma non ultima, la certezza che la sua caduta comporterebbe lo scioglimento delle Camere e il ritorno a casa di molti soggetti che passerebbero dal congruo emolumento parlamentare al più modesto reddito di cittadinanza. Con questo viatico favorevole, non è utopistico pensare che, almeno in seconda battuta, il nuovo premier possa proporsi di riscrivere la pergamena marcita della nostra giustizia. 

I tarli che l’hanno corrosa sono molti. Il codice di procedura penale è un’arlecchinata di cui nessuno capisce più nulla. Nato con il nobile intento di sostituire il fascistissimo codice Rocco con quello anglosassone (detto appunto alla Perry Mason) di impronta liberale e garantista, è stato snaturato e stravolto dal legislatore, dalla Corte Costituzionale (dove sedeva, ironia della sorte, il suo stesso autore, professor Giuliano Vassalli) e dall’interpretazione giurisprudenziale.


L’abominio della modifica della prescrizione, voluta da Bonafede, ha posto il sigillo finale del giustizialismo più ottuso e giacobino. Per il resto c’è solo l’imbarazzo della scelta: l’uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, la loro oculata selezione con la diffusione pilotata attraverso giornalisti compiacenti, l’azione penale diventata arbitraria e quasi capricciosa, l’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa, lo snaturamento dell’informazione di garanzia diventata grimaldello di estromissione degli avversari politici, e più in generale la sottomissione umiliante e servile della politica davanti alle iniziative giudiziarie più sconsiderate.

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