Crepet: «Il virtuale è spietato con i nostri ragazzi. E oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli»

di Walter Veltroni

Lo psichiatra: «Gli ex contestatori sono servi dei figli». La Pandemia? «È stato un big bang. Ha prodotto disagio per il modo in cui è stata gestita»

Crepet: «Il virtuale è spietato con i nostri ragazzi.  E oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli»

Paolo Crepet è uno degli analisti più attenti dello stato della condizione giovanile. Sta per uscire un suo volume, per Mondadori, intitolato Prendetevi la luna .

Come vedi l’esplodere del disagio tra i ragazzi del nostro tempo?
«Coesistono due fenomeni: da una parte la tendenza all’autoisolamento, la diffusa perdita di speranze, la difficoltà di vedere il futuro. Ma non è solo questo, il senso di rinuncia convive con un atteggiamento opposto: la rabbia, la violenza, la prepotenza del bullismo. Non è un fenomeno nuovo, se ci si pensa. Negli anni in cui eravamo giovani una parte dei ragazzi precipitò, fino a morirne, nell’eroina, la cui improvvisa esplosione è un fenomeno mai indagato davvero, e un’altra nel terrorismo che, in fondo, era una forma di indifferenza e di cinismo nei confronti della vita altrui. E persino della propria. Se si vuole il racconto più drammatico di quella condizione di disagio bisognerebbe rileggere le lettere a Lotta Continua. In quel tempo esisteva, infatti, una diffusa e coinvolgente partecipazione politica e civile. Ciò che manca, oggi. Sia chiaro, comunque: un adolescente non inquieto è inquietante».

Quanto ha pesato la pandemia?
«È stato un big bang. Ha prodotto disagio per il modo in cui è stata gestita: chiusura delle scuole, didattica a distanza, conseguente chiusura in casa dei ragazzi, isolati dal contesto sociale. È stata dura per tutti, ma per loro è stata un’esperienza afflittiva. A scuola si va certo per imparare, certo perché è un dovere. Ma si va anche perché c’è un cortile, un corridoio, una ricreazione. Lì si trovano gli amici, gli amori, si costruisce la ragnatela fondamentale, la prima, dei rapporti sociali. I ragazzi sono stati rinchiusi nel loro cellulare. Quando una ragazza di un liceo di Bologna alla quale è stato tolto il cellulare ti dice, due settimane dopo, “Non è male, questo esperimento, finalmente siamo tornati a parlare” ci sta parlando di una possibilità. Se io prendo una ragazza di sedici anni e la chiudo con le cuffiette, con una visione del mondo che passa solo attraverso lo schermo, è chiaro che qualcosa in quella esperienza umana accade. Dovremmo studiarla bene».

Cosa pensi degli sviluppi tecnologici annunciati, come il visore Apple e l’intelligenza artificiale?
«Tim Cook ha ragione a dire che il visore sarà una rivoluzione. La terza tappa: il computer, l’Iphone, ora il visore. Ma il visore porta a un mondo prevalentemente virtuale. La prima cosa che mi viene in mente è la follia. Il mondo della psicosi è sempre stato descritto come un mondo altro, in cui tu costruisci una tua vita virtuale. Parli da solo, pensi da solo. È l’uomo sull’albero di Amarcord di Fellini. Mondi altri, costruiti per sfuggire a quello reale. Che inquieta, fa soffrire. Il virtuale è stare su quell’albero».

Il nostro tempo è causa di infelicità?
«Mi viene in mente il caso del “ragazzo selvaggio” magnificamente raccontato nel film di Francois Truffaut. Un adolescente trovato nel bosco dove aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita che si cerca di riportare nel mondo civile. Siamo in pieno illuminismo e la domanda che si fanno i medici che lo curano è: la civiltà porta felicità?».

Nel caso del ragazzo la risposta è no. Non riuscì mai a integrarsi, morì infelice.
«Perché citare questo caso? Perché questo è il tema. E se le tecnologie, nel separarci e relegarci in un mondo virtuale costruissero la nostra infelicità? “Think different” diceva Apple: era un messaggio di libertà, di innovazione, era una promessa di libertà e di felicità. È stato davvero così? Gran parte del disagio giovanile nasce o si alimenta in relazione con questi strumenti. Torniamo all’illuminismo: libertè, egalitè, fraternitè. Cos’è la fraternitè, Facebook? E cos’è la libertè, il metaverso? Tutto questo crea appagamento, dipendenza o maggiore libertà? Forse è venuto il momento di ragionarne senza le catene dell’ovvio o del politicamente corretto imposte dallo spirito del tempo».

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