I paletti di Meloni sul governo: ancora duello su Ronzulli. E sulla Giustizia Berlusconi gioca la carta Casellati

di Marco Cremonesi e Paola Di Caro

Il braccio di ferro nel centrodestra per il nuovo esecutivo. La leader di FdI insiste sulla necessità che al Senato venga eletto La Russa. La Lega vuole Molinari a guidare la Camera

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Ufficialmente si sono visti perché tutti e tre, per ragioni personali e lavorative, erano a Milano. Un incontro di un’ora e mezza comunque interlocutorio, in attesa di quello decisivo che si terrà martedì o mercoledì, prima delle votazioni per i presidenti delle Camere che iniziano giovedì. Ufficiosamente, il vertice tra Meloni, Berlusconi e Salvini ieri ad Arcore è stato un appuntamento necessario, visto che le distanze fra gli alleati erano tante, i dissidi forti e la premier in pectore aveva un messaggio molto chiaro da mandare.

«Se e quando il capo dello Stato mi conferirà l’incarico, io un minuto dopo sarò pronta a presentare la mia squadra di governo. Non perderò più tempo in trattative, liti, tira e molla per i posti, perché il Paese è in difficoltà e non ci perdonerebbe, dobbiamo dare prova di serietà. La prima, è che non accetterò di fare un governo al ribasso, con nomi non all’altezza. Non farò mai cose che non mi piacciono».

Un avvertimento in piena regola, in un vertice significativo anche nelle presenze: Meloni con Lollobrigida e La Russa, Salvini con Calderoli e Berlusconi con Barachini. Nulla di casuale, pensano in FdI: il leader della Lega voleva che Calderoli fosse presente alla discussione sulle presidenze delle Camere, aspirando a Palazzo Madama, il Cavaliere ha protetto Licia Ronzulli, sulla quale è in atto un durissimo braccio di ferro con la futura premier.

Attorno a questi nomi è in parte girato il vertice. Meloni ha insistito sulla necessità che al Senato venga eletto il suo Ignazio La Russa: come da precedenti proprio dei governi di centrodestra (Berlusconi con Pera e con Schifani), premier e seconda carica dello Stato possono appartenere allo stesso partito. Alla Lega spetterebbe invece la presidenza della Camera (per Molinari), sulla base di uno schema che Meloni ha in mente: 5 ministeri a FI e 5 a Salvini, che però avendo un numero maggiore di parlamentari potrà guidare anche un ramo del Parlamento.

In verità, dalla Lega filtra un certo malumore sia perché andrebbe a costituirsi «una filiera» di FdI potentissima ai vertici — con premier, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e presidente del Senato — sia perché Meloni starebbe adottando «il metodo Draghi» nella formazione del governo. Ovvero «vuole decidere lei chi nominare dei nostri esponenti e dove». E questo perché, è emerso al vertice, la leader ha raccolto le richieste degli alleati ma non ha dato assicurazioni sulla destinazione di ciascuno. E si tiene qualche carta coperta: all’Economia, ministero chiave, punta ancora su un tecnico e ne avrebbe tre da cui aspetta risposte ad horas. Ma se il responso fosse non soddisfacente, pensa a Giorgetti come responsabile del Mef. E quello diventerebbe il ministero di peso della Lega, con una serie di conseguenze anche sul ruolo di Salvini, che non ha comunque avanzato per sé alcuna richiesta specifica.

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