La strage senza fine dei caduti sul lavoro. I sindacati: patente a punti per le imprese

Chiara Baldi, Elisabetta Testa

Un volo di otto metri, poi lo schianto. È morto così ieri mattina a san Paolo d’Argon, nella bergamasca, un operaio di 36 anni, dipendente della Dem Coperture e in servizio alla Toora Casting, dove stava rimuovendo una copertura in amianto. Il lucernario su cui è passato non ha retto e lui è caduto nel vuoto. I colleghi se ne sono accorti dopo qualche tempo e quando è arrivato il 118 non c’è stato più nulla da fare.

Sempre ieri a Asti un altro incidente mortale: un tecnico manutentore è stato investito da una fiammata mentre stava controllando un impianto frigo difettoso in un negozio di surgelati. si chiamava Giorgio Tibaldi, aveva 56 anni, è arrivato in ospedale col 70 per cento del corpo ustionato ed è morto due ore dopo il ricovero. La giornata ha registrato però anche due feriti gravi: ancora a Bergamo un camionista ha riportato lesioni profonde per essere stato ricoperto di una sostanza liquida che trasportava, mentre nel salernitano un 64 enne è in prognosi riservata dopo un incidente con il trattore che stava guidando. Sono le ultime vittime di una strage senza fine che, secondo i dati Inail, da gennaio a giugno ha fatto registrare 538 decessi, con 266.804 denunce, quasi il 9 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Per il presidente dell’Inail Franco Bettoni «è indecoroso quello che succede, non si può continuare a morire sul lavoro».

Tuonano i sindacati che chiedono una «patente a punti affinché le aziende dove ci sono troppi incidenti non continuino a partecipare alle gare». Per Maurizio Landini, segretario della Cgil, «occorre non considerare la salute e la sicurezza sul lavoro un costo ma un investimento e bisogna agire sulla prevenzione. Questo significa ridurre la precarietà, formare i lavoratori e anche a chi deve dirigere le imprese.

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