Il metodo di Draghi per cambiare la politica

Il 26 aprile è stato il giorno del “rischio calcolato” sulle riaperture, una scommessa in definiva azzeccata, maturata nello scetticismo dei virologi più mediatici e tra le opposte spinte (ricordate il dibattito sul coprifuoco) dei fautori della prudenza a oltranza da un lato e dell’azzardo a tutti costi dall’altro. Il 28 maggio è il giorno del primo grande passo sul Recovery, con l’approvazione del meccanismo di governance e del decreto semplificazioni, al termine di una settimana segnata, come parte integrante di questo percorso, dall’avvicendamento ai vertici di Cdp e Ferrovie. Se la scelta di due civil servant come Curcio e Figliulo nella tolda di comando chiamata a gestire l’emergenza sanitaria ha segnato il cambio di passo nella vaccinazione, la nomina di un Draghi boy come Scannapieco a Cdp e di Ferraris a Ferrovie rispondono all’esigenza di attrarre nuovi investimenti e di proiettare le strutture nella nuova stagione segnata dalla sfida nazionale ed europea del Recovery.

Questo articolo è (anche) una discettazione sul “metodo”. Che non è solo la constatazione di un “cronoprogramma” rispettato, un certo ordine istituzionale, dato di per sé non trascurabile nel paese dei rinvii. È una analisi qualitativa del “come”. Il primo punto è la logica istituzionale messa in campo, che segna una profonda discontinuità rispetto all’impianto precedente in materia di governance. Conte, come struttura preposta a gestire il Recovery, aveva pensato a una sorta di impalcatura esterna allo Stato: una task force con sei manager, uno per ogni ambito del Pnrr, che rispondevano direttamente alla presidenza del Consiglio, dotata di poteri sostitutivi pressoché illimitati. E lo Stato, di volta in volta, veniva chiamato come soggetto attuatore.

Draghi ha realizzato esattamente l’opposto, perché la gestione è dello Stato. Nella cabina di regia c’è Draghi col Mef e, a rotazione, ministri in base ai progetti. Il dominus assieme a palazzo Chigi è il Tesoro, che ha funzione di istruttoria, di coordinamento e di rapporto con gli enti locali coinvolti. Nell’ambito di questa cornice il premier ha poteri speciali nella nomina dei commissari: se un ente attuatore mette a rischio i tempi del progetto, il presidente del Consiglio porta la questione in cdm e si procede alla nomina di un commissario. Una gestione centralizzata che risponde all’esigenza di onorare il “contratto”, perché il Pnrr di questo si tratta, stipulato con l’Europa, che elargisce fondi in base allo Stato di avanzamento dei lavori. Sotto, le strutture tecniche. Si parte da ciò che c’è, poi si allarga. Ma non si sostituisce con “strutture esterne”.

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