Il governo sia autonomo sulle riforme

Per una scuola migliore, occorre andar contro ai docenti più pigri, o alle famiglie di corte vedute che cercano per i figli solo il «pezzo di carta». Per una giustizia civile che consenta di condurre gli affari senza temere che violazioni di contratti o mancati pagamenti siano sanzionati solo dopo anni, bisogna confrontarsi con gli avvocati e con i magistrati. Qui il governo non può limitarsi a mediare fra le disparate componenti politiche della sua maggioranza. Deve mostrarsi capace di una iniziativa propria. Finora, i partiti hanno sempre arretrato di fronte a misure che domani saranno utili a tutti ma oggi disturbano qualche interesse corporativo pronto a battersi per bloccare tutto. Ma è appunto questa la ragione per cui forze politiche che poco hanno in comune hanno deciso di affidarsi a Mario Draghi. Si sono rese conto che insistere in parole d’ordine a corto raggio non portava da nessuna parte. Da qui il paradosso che una legislatura partita in un trionfo della demagogia sbocchi in un governo guidato da un tecnico. Venerdì scorso il presidente del consiglio ha confermato la propria determinazione. Però di novità a tutt’oggi se ne sono ancora viste poche, nel pubblico impiego come nell’istruzione come nella giustizia, ossia i tre settori per i quali è più pressante l’impegno a riformare. Impegni simili saranno chiesti a tutti i governi, secondo l’accordo europeo sul piano chiamato NgEu. Il documento della Grecia ha fatto buona impressione perché i progetti di riforma li precisa; quello della Spagna è parso invece meno chiaro. Dall’Italia si attendono novità anche per la statura internazionale del capo del suo governo: ci sono pochi giorni per definirle.

LA STAMPA

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