Se Draghi rilancia l’Europa

Gian Enrico Rusconi

Ci si è chiesto perché Mario Draghi abbia chiamato “dittatore” Erdogan con un “strappo lessicale e istituzionale” che è inconsueto nel galateo della diplomazia. O perlomeno così è stato sino ad oggi. Massimo Giannini ha offerto due chiavi di lettura che meritano un‘ulteriore riflessione. La prima riguarda il premier turco Erdogan, che è un pessimo autocrate, maschilista e nazionalista, ma non può essere definito formalmente un ‘dittatore’, essendo stato eletto dai cittadini, che nel contempo hanno assegnato all’opposizione le tre più importanti città turche. Quella turca potrebbe quindi essere collocata tra quelle che chiamiamo “democrature”.

Ma queste sono tali non tanto per l’iniziativa del leader dominante, quanto per la qualità del consenso dei cittadini stessi. Occorre quindi ragionare sulla qualità del consenso democratico oggi , non solo per le “democrature”, più di quanto non si faccia .

La seconda chiave di lettura della affermazione di Draghi è geo-strategica. Più esattamente, la sua reazione risponde al venir meno della leadership europea, con il netto declino dell’asse franco-tedesco che la ha a lungo caratterizzata. Tale venir meno è segnato dall’imminente uscita dalla politica attiva della cancelliera Merkel e dalle difficoltà crescenti di consenso interno per Macron. Dietro e oltre questi leader storici non si vede una classe politica europea capace di prendere il loro posto e quindi di imporsi. Questo tocca soprattutto la Germania, che dovrà fare i conti con il rapporto ambivalente verso la Russia di Putin, sin qui gestito abilmente da Merkel. La cancelliera ha combinato una solida cooperazione energetica con la Russia (gasdotto Nord Stream 2) con la critica ferma per la persecuzione del dissidente Navalnyj . Ma ora la situazione si è ulteriormente aggravata con il riaccendersi della tensione politico-militare tra Ucraina e Russia, che anni fa la Germania (insieme all’UE) era riuscita a controllare. Davanti a questa nuova crisi l’Europa sembra ora politicamente impotente.

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