Dall’infezione all’ossessione. Ma perché parliamo solo di Covid?

di MICHELE BRAMBILLA

Qualche giorno fa un amico imprenditore mi ha invitato a visitare la sua azienda. Mentre eravamo in mensa, e dopo ormai quasi tre ore che eravamo insieme, mi ha detto: “Mi accorgo ora che anche oggi abbiamo parlato solo della pandemia“. Ci siamo guardati in faccia sconsolati. È vero: tutti i nostri discorsi, tutte le nostre conversazioni, anche in casa e fra gli amici, sono monopolizzate dal maledetto virus. 
Ma davvero non c’è null’altro di cui parlare? Certo, il Covid è una tragedia planetaria che passerà alla storia. In poco più di un anno ha provocato due milioni e 770 mila morti. Un’enormità.

Si potrebbe ricordare che, sempre in un anno, nel mondo (dati Oms) i morti a causa di malattie cardiovascolari sono di norma quasi diciotto milioni, e quelli di cancro nove-dieci milioni. Eppure, e per fortuna, non passiamo le nostre giornate a parlare di coronarie e chemioterapie; né tantomeno il timore di queste terribili malattie ci paralizza. Si va avanti. Primum vivere.

Ma non è questo il punto. Non voglio passare per uno di quelli che minimizzano l’impatto che il Covid ha avuto sulla nostra vita. Mi domando però se, per uscire dal tunnel, sia producente espungere dalle nostre conversazioni e dai nostri pensieri tutto ciò che non abbia a che fare con tamponi, saturimetri, terapie intensive, zone rosse, vaccini. Ci sono trasmissioni televisive quotidiane dedicate ai numeri della pandemia: sono fatte benissimo, ma ha davvero un senso commentare ogni giorno il bollettino e le sue variazioni (quasi sempre dello zero virgola) rispetto al giorno precedente? E ha senso far intervenire ogni giorno legioni di virologi, epidemiologi, statistici eccetera che ripetono sempre le stesse cose? Ripeto: sono tutti bravissimi e competenti. Ma ricordo Michel Platini, il quale un giorno, uscendo dal campo di allenamento, disse al cronista che lo aspettava con il taccuino aperto per le dichiarazioni quotidiane: “Anche Einstein, intervistato tutti i giorni, finirebbe con il dire delle banalità”. Non sarebbe meglio un report settimanale che ci riassumesse come vanno le cose, e ci lasciasse un po’ di spazio mentale libero per farci parlare anche di altro?

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