Biden, Putin e il vero rivale (la Cina)

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di   Sergio Romano

In altri tempi e circostanze le parole usate dal presidente degli Stati Uniti per definire il collega russo («un assassino») sarebbero state una implicita dichiarazione di guerra. Oggi potrebbero essere soltanto la reazione umorale di un uomo che sta regolando un vecchio conto. Come all’epoca del duello fra Donald Trump e Hillary Clinton, Putin si sarebbe servito della stessa arma (le offensive cibernetiche) per influire sul risultato di quello fra Biden e Trump scegliendo, ancora una volta, di sostenere il secondo. Come durante la Guerra fredda Washington usa motivazioni morali, recita la parte del Bene contro quella del Male. È una diplomazia invecchiata, ma ha ancora il merito di compiacere quella parte del Paese che crede nella propria superiorità morale. Non mi stupirei se Biden fosse rimasto candidamente sorpreso dalla decisione del governo russo di richiamare l’ambasciatore.

Ancora più sorprendente, forse, è la scelta di politica internazionale che Bidensembra avere fatto con quella malaugurata parola. Ogni grande potenza muove le sue pedine sulla scacchiera del mondo tenendo d’occhio quelle del principale avversario. Per la Russia il potenziale nemico è la Cina. La Russia è stata per due secoli dominata da una popolazione (i mongoli) che proveniva dall’Asia. A Pechino non hanno dimenticato i continui tentativi zaristi di allargare sino al cuore dell’Impero cinese le loro conquiste in Manciuria.

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