Lazio in zona rossa, i dati migliorano: ipotesi prime riaperture lunedì 29 marzo

di Mauro Evangelisti

L’Rt del Lazio, l’indice di trasmissione del virus, nel report della settimana scorsa era a 1,3. È stato inevitabile il doppio salto, con il passaggio diretto dalla fascia gialla a quella rossa. Dopo sette giorni, quel valore è già drasticamente sceso, secondo i calcoli che circolano negli uffici della Regione Lazio, siamo a 1,09, dunque in un territorio tale da garantire il passaggio in arancione. Significa che da lunedì Roma e le altre quattro province vedranno un allentamento delle misure di contenimento? No.

LA SPERANZA

Bisogna confermare questo dato (e altri) per due settimane consecutive, dunque la possibilità concreta di rivedere l’arancione è rimandata al 29 marzo, sempre tenendo conto che comunque poi a Pasqua (il 3, il 4 e il 5 aprile) tutta l’Italia, esclusa la Sardegna, sarà in zona rossa. Per l’eventuale riapertura delle scuole sarà necessario attendere, probabilmente, il 6 aprile. Ci sono altri dati che sembrano far ben sperare: «Il tasso di riempimento delle terapie intensive è sotto il livello di guardia del 30 per cento», dice l’assessore alla Salute del Lazio, Alessio D’Amato, che però invita a non affrettare i tempi, a non dare per certo il raggiungimento del risultato a fine mese, perché comunque la situazione è ancora fluida. Per due motivi. C’è una parte della Regione, la provincia di Frosinone (la prima a diventare rossa quando il resto del Lazio era giallo) dove i casi non calano in modo soddisfacente, nonostante le restrizioni. C’è stata una riduzione rispetto ai giorni più bui, ma comunque si viaggia a 230-250 nuovi infetti al giorno. Per i tecnici della Regione rappresenta quasi un mistero, perché fino ad oggi si è visto che le restrizioni previste dalla zona rossa hanno un effetto sulla circolazione del contagio importante.

Le varianti potrebbero essere all’origine di questa modesta risposta alle chiusure, ma si sta studiando anche un’altra pista: la provincia di Frosinone, in Italia, è tra quelle con una più marcata presenza delle polveri sottili, superiore anche a Roma (dove negli ultimi anni la situazione è molto migliorata rispetto al decennio scorso). Tra gli scienziati, c’è chi sostiene – e in effetti in Italia questa tesi potrebbe avere delle conferme dalla mappa di diffusione del contagio – che nelle aree con più polveri sottili, c’è una diffusione più facile di Sars-CoV-2. Solo una ipotesi, sulla quale, ad esempio, si trova in disaccordo il professor Giorgio Buonanno, docente dell’Università di Cassino ed esperto di inquinamento. Secondo lui, il vero pericolo non è all’aperto, ma nei luoghi chiusi, a prescindere dalla distanza: «In provincia di Frosinone, è la mia considerazione, bisogna guardare più a una diffusione massiccia delle varianti. Non credo alla ipotesi dell’effetto delle Pm10 all’aperto».

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