Covid, il primario Nava: «Tragedia continua ma la rimuoviamo, ora perdiamo i malati più in fretta»

di Marco Imarisio

Covid, il primario Nava: «Tragedia continua ma la rimuoviamo, ora perdiamo i malati più in fretta»

Stefano Nava direttore della Pneumologia e Terapia intensiva al Sant’Orsola

«Quanti sono stati i morti del ponte Morandi? E quelli dell’ultimo terremoto? È come se ogni giorno ci fosse una tragedia del genere. Ma ormai siamo troppo assuefatti. E la voglia di voltare pagina conduce dritta alla rimozione, quando non al fastidio per quel che continua ad avvenire». Il professor Stefano Nava non deve andare troppo lontano per fornire la prova di quel che sostiene. Gli basta accendere il computer. La mail che lo definisce come «un miserabile prezzolato che semina terrore» è l’ultima in ordine di tempo, preceduta da altre simili. Nato a Crema, sposato, una carriera cominciata a Pavia e passata per Boston, Montreal. Da dieci anni dirige i reparti di pneumologia e sub-terapia intensiva del Sant’Orsola di Bologna, l’ospedale nel cuore della regione più colpita da questa terza ondata. «Non a caso siamo la prima grande città a essere tornata in lockdown. Questa semplice constatazione mi ha attirato insulti di ogni genere. Come se avessi voluto porre un marchio di infamia sulla collettività. Per il resto, ho tutti e 34 i posti letto occupati da pazienti Covid. E intanto ho dovuto “rubare” un piano ad altri colleghi. Esattamente come l’anno scorso».

Cosa pensa quando legge certi messaggi?

«Al mio amico Giuseppe Lanati, di Como. Grande esperto di rock e di indiani d’America. Era andato in pensione alla fine del 2019. Quando esplose la pandemia, tornò a lavorare gratis. È stato il secondo medico italiano a morire di Covid. Dopo di lui, ne abbiamo persi altri 330, e ottanta infermieri».

Non è cambiato nulla rispetto a un anno fa?

«Ne sappiamo ancora poco, di questa malattia. E non abbiamo ancora trovato una buona cura. Questo ha confuso la popolazione, anche perché intanto siamo stati sommersi dalle dichiarazioni di miei colleghi che si presentavano in televisione con la verità in tasca».

Hanno fatto danni?

«Parlare senza controllo, fino al punto di superare la linea del pubblico servizio per entrare nel campo del narcisismo, generando false aspettative o ulteriori paure, è stato deleterio».

Avrebbe mai creduto possibile arrivare a centomila morti?

«A metà marzo chiamai una mia amica psichiatra a Pavia, perché mi sentivo addosso un senso incombente di morte. Mi sembrava di essere travolto da questo male. Provavo angoscia. Non mi era mai capitato di provare sensazioni così disperanti».

Dopo cosa accadde?

«Il 21 marzo mi ammalai. Lavorando in corsia, oppure in riunione. L’assedio era cominciato anche qui a Bologna, e non uscivo più dall’ospedale».

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