Nel Suk per Conte si muovono pure i cardinali

“Ma lo sa che mi ha chiamato anche un cardinale su questa cosa qui?”. La caccia ai responsabili è aperta, le leve attivate non si limitano al più classico blandire su responsabilità, ruoli e incarichi per i senatori decisivi, ma arrivano a toccare una serie di mondi tangenti alla politica e ai famigerati responsabili, dai quali passa il destino della legislatura di Giuseppe Conte. Al Senato è Federico D’Incà a tirare le fila, a giostrare i contatti soprattutto con gli ex 5 stelle, scissionisti o espulsi che siano, perché le ruggini e le presunte indegnità del passato (rimborsopoli, remember?) si archiviano volentieri in ragione della sopravvivenza politica: “Molto meglio i responsabili di Renzi”, taglia corto Alessandro Di Battista.

Il pallottoliere, sgranato e risgranato più volte in queste ore al momento arriva a toccare quota 157, e l’asticella nonostante i tentativi si ferma lì, quattro voti in meno di quella maggioranza assoluta che sarebbe decisiva per non far capitombolare il governo. Si parte da un perimetro di 151: 92 M5s, 35 Pd, 8 dal gruppo delle Autonomie compresa la senatrice a vita Elena Cattaneo, 7 di Leu, 3 ex grillini del Misto dati per sicuri (Di Marzio, De Falco), Sandra Lonardo, il neo costituito gruppo Maie-Italia 23 che conta 5 esponenti (ci torneremo) fino ai senatori a vita Monti, Segre e Rubbia. A questi il governo è convinto di aggiungere ancora qualche ex 5 stelle, e tre o quattro senatori provenienti dalle fila di Italia viva e di Forza Italia. Non bastano.

Ed ecco che scendono in campo i cardinali. Perché diventano fondamentali i tre senatori dell’Udc, Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone. Fino a un anno fa il centro di Roma sarebbe pullulato di capannelli, cene riservate, incontri a ore piccole di responsabili ed esponenti del governo, con la pandemia e il coprifuoco la crisi su muove sugli smartphone e su Zoom. “Lei non sa quanti ecclesiastici mi stanno chiamando”, confida un dirigente del partito di centro, riemerso dall’irrilevanza cui era stato condannato dal tramonto degli anni berlusconiani e tornato improvvisamente decisivo. Un mondo battuto in queste ore da Dario Franceschini, vera eminenza grigia dell’operazione per il Partito democratico, uscito ieri allo scoperto: “Non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole con forze politiche disponibili a sostenere il governo”. Non è il solo a tessere la tela nel mondo cattolico: mentre D’Incà è impegnato con gli ex, è Vincenzo Spadafora a battere quel terreno, forte di un lontano passato nella Margherita e di un solido bagaglio di relazioni in quell’ambiente.

Un’operazioni che oltre a messaggi e telefonate ha prodotto un fuoco di fila di dichiarazioni pubbliche. Un appello alla “responsabilità” per evitare una crisi “deleteria” e “incomprensibile” è stato lanciato dall’Azione Cattolica, insieme alla Federazione universitaria cattolica e al Movimento ecclesiale di impegno culturale, “la scelta di Iv di ritirare la propria rappresentanza di Governo contraddice il merito di migliorare ciò che si chiedeva” ma a pesare sono soprattutto le dichiarazioni del segretario generale della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: “Trovo un forte stimolo nelle parole pronunciate dal Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno: ‘Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori’. Aggiungo: questo è anche tempo di speranza. Ci attendono mesi difficili in cui ricostruire le nostre comunità”. Costruttori, proprio come si definiscono i novelli responsabili, tra i quali Binetti si arruolerebbe volentieri, ma “a patto che lo faccia tutto il partito”. È per questo che il segretario Lorenzo Cesa è marcato a vista dal centrodestra, invitato ai tavoli dei leader insieme a Maurizio Lupi, ex forzista e alfaniano con un peso specifico rilevante nel mondo cattolico. Cesa resiste, chi lo ha sentito spiega che la sua è una posizione per ora ferma, ma che le pressioni si rincorrono e si accavallano, e i boatos di Palazzo accreditano un suo incontro proprio con lo stesso Conte, faccia a faccia che per ovvie ragioni non trova conferma alcuna.

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