L’illusione di pilotare l’ascesa al Colle

In vista delle prossime elezioni presidenziali, per orientarci, abbiamo fatto un paio di telefonate nell’aldilà. Al primo tentativo ci ha risposto Alcide De Gasperi, proprio lui personalmente. Un po’ timorosi, gli abbiamo chiesto che cosa pensa dell’idea appena rilanciata da Matteo Renzi, il quale propone a Cinque stelle e Pd di scegliersi insieme il prossimo inquilino del Quirinale. Sulle prime De Gasperi si è schermito: “Seguo poco la politica ormai, non so nemmeno su quanti grandi elettori quest’alleanza potrebbe contare…”. L’abbiamo aggiornato: calcolando i delegati regionali, il patto proposto da Renzi avrebbe una cinquantina di voti di vantaggio sugli avversari del centrodestra. “Cinquanta voti sono francamente pochi per eleggere un presidente”, ha sospirato allora lo statista trentino: “Pensi che nel 1948 la Dc da sola aveva la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Io ero il segretario del partito e proposi il conte Carlo Sforza, che mi sembrava la persona giusta per rafforzare i legami con Europa e Stati Uniti. Nobilissimi motivi. Ma la sinistra cattolica non era d’accordo, così nelle prime votazioni spuntarono a frotte i franchi tiratori. Alla fine fummo costretti a ripiegare su Luigi Einaudi”. Un ripiego per modo di dire, caro Alcide. “Certo. Ai miei tempi, per fortuna, non eravamo a corto di grandi personaggi”.

Altra telefonata orientativa, e questa volta risponde Amintore Fanfani. Che per via del suo carattere fumantino reagisce male. “Vuole prendermi in giro? Non sa o finge di non sapere che cosa ho dovuto subire per aver fatto operazioni alla Renzi?”. No davvero, professore, ci racconti che cosa le accadde. “Anch’io fui segretario della Dc e pure io, come De Gasperi, nel 1955 provai a suggerire un nome per il Quirinale. Cesare Merzagora mi sembrava perfetto: un personaggio indipendente che molto piaceva all’imprenditoria. Ma pure stavolta la sinistra Dc si mise di traverso. Impallinò Merzagora a scrutinio segreto e alla fine dovetti inghiottire l’elezione di Giovanni Gronchi. E non finisce qui”. Che altro le accadde? “Nel 1971 il candidato ufficiale della Dc ero io. Non immagina quanto mi sarebbe piaciuto coronare la carriera, e quanto sarebbe stata felice Maria Pia, la mia seconda moglie”. Possiamo immaginarlo. E allora? “Una tremenda delusione. I partiti alleati non diedero la mano promessa. Così al ventitreesimo scrutinio la spuntò Giovanni Leone con i voti determinanti del Msi, in pratica degli ex fascisti”. E dire che lei passava per essere l’uomo forte della Dc. “Già, invece ci feci la figura del bischero”.

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