Quella suggestione moderata: un governo guidato da Giorgetti

Paolo Bracalini

Ogni volta che la leadership di Salvini subisce una battuta d’arresto, come per la non vittoria in Emilia Romagna (nella Lega la davano per fatta), riprendono le quotazioni dell’eterno numero due del partito, Giancarlo Giorgetti.

Settori trasversali extraleghisti guardano da sempre a lui come a un interlocutore più rassicurante e moderato rispetto a Salvini (ma era così anche con Bossi), l’uomo di collegamento ideale per una coalizione non troppo spostata sul sovranismo. L’ampio spettro delle relazioni dell’ex sottosegretario, che vanno da Draghi al Quirinale (fu scelto addirittura da Napolitano come uno dei suoi «saggi»), alimentano la costruzione di retroscena che lo vogliono al centro di progetti politici, nuove maggioranze, future premiership. Tanto più che Giorgetti, vista l’esperienza maturata sul campo, non fa mancare osservazioni critiche alla gestione di Salvini quando il capo ne sbaglia una. Così era successo la fine del governo gialloverde («Matteo ha sbagliato i tempi della crisi, doveva rompere prima…»), così succede anche per l’inciampo in Emilia Romagna, dove Giorgetti vede i segnali di un limite da colmare nell’azione di Salvini, «ci è mancato il voto delle città, servirà uno sforzo di visione per parlare con più efficacia a quegli elettori» più difficili da catturare con citofonate e slogan.

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