Terremoto in Mugello, la placca adriatica preme sugli Appennini

«La zona risente dell’estensione della crosta terrestre la quale, per l’Italia centrale, è misurata in circa 4 millimetri all’anno. Questo provoca un accumulo di energia che periodicamente viene rilasciata. Tenendo conto che ogni cento anni si registra quindi un movimento di 40 centimetri, ogni due-tre secoli l’area è in grado di esprimere un terremoto capace di spostare il volume della crosta terrestre di circa un metro, un metro e mezzo, scatenando un sisma la cui magnitudo sarà di circa sei gradi. Nel caso specifico l’origine del terremoto è derivata dall’estensione dell’Appennino settentrionale con un movimento nella direzione della Pianura Padana, in particolare nella direzione nord-est/sud-ovest».

2 Tutto ciò è sempre legato al fenomeno della subduzione appenninica?

«Nel fenomeno della subduzione la micro placca adriatica, localizzata prevalentemente nell’area del mare omonimo, si immerge sotto la Penisola provocando prima una pressione con sollevamento della catena appenninica e più oltre distensione e stiramento».

3 Altri terremoti hanno scosso la stessa area della Toscana?

«Il Mugello ha subito nel 1919 un terremoto di magnitudo 6.4 che, da un punto di vista energetico, è mille volte più forte di quello appena verificatosi. In precedenza un altro sisma significativo è stato quello del 1542 quando la terra ha tremato a un livello stimato intorno a 6 gradi Richter. Il più importante però, rimane quello del 1919 con epicentro proprio nel Mugello e ad esso stiamo guardando con inquietudine per come si era verificato, in quanto la sequenza sembra essere molto simile all’attuale. Per questo ciò che stanno facendo i sindaci è corretto; giusta anche la chiusura delle scuole».

4 Ma bastano le stazioni di rilevamento installate nella Penisola per controllare il territorio?

«Sarebbe meglio disporre di una copertura ancora maggiore. Si pensi che in Italia abbiamo una distribuzione di circa 400 stazioni mentre in Giappone sono installati 5.000 sismometri. Numerosi sono collocati in mare e tanti si trovano all’interno di pozzi, vale a dire in una posizione efficace perché non sono disturbati dai rumori di superficie offrendo dati di migliore qualità. La rete nipponica è all’avanguardia e sarebbe bello crescere da questo punto di vista. Per evitare disastri bisognerebbe fare prevenzione e studiare di più i terremoti. Se non siamo ancora in grado di prevederli è perché non abbiamo gli strumenti giusti».

CORRIERE.IT

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