Un Cesare senza armate

Il senso di megalomania è grande quanto quel simbolo di Italia Viva che plana dal cielo di alluminio, nel frastuono di una musica da colossal americano. Alla Ben Hur. Simbolo che peraltro ricorda quello dell’Italia dei Valori. La megalomania di chi celebra un trionfo senza neanche un esercito che ha vinto la guerra, cesarismo senza un Rubicone attraversato, armate e vittorie, anzi con Roma invasa dai barbari, che sono cento volte il cosiddetto popolo della Leopolda. Direbbe Alberoni che manca la forza immateriale che caratterizza lo stato nascente, in questa “cosa” che nasce da una scissione, compiuta solo in nome di un Io che preferisce comandare in una casa più piccola piuttosto che condividere un progetto, senza essere il protagonista sul palco.

Ma quale Italia dei “due Mattei”, narrazione che si infrange sulle istantanee di metà pomeriggio. Che fotografano un popolo a San Giovanni, potenzialmente maggioritario e un’enclave revanchista, stretta attorno al culto di un Capo che il paese lo ha perso, e non da oggi. Ecco, la differenza è tutta qui, perché San Giovanni è uno specchio del paese, dove si avverte il fuoco vivo della storia, la Leopolda un mondo che si esaurisce in sé e nei sui rituali, nonostante l’abilità della regia. Un format intenso per gli abbonati ma sconnesso dalle sedimentazioni profonde del paese. E allora, giù la maschera sul senso vero di questa operazione “Forza Italia viva”, dopo tante chiacchiere sulla separazione “consensuale” e il bon ton di maniera che ha preceduto il duello rusticano.

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