Trieste, sparatoria in questura. La testimone: «Sembrava di stare a Beirut»

Le armi

Rotta e Demenego lo seguono fino alla toilette di servizio. Lui entra, loro restano ad aspettarlo all’esterno. Quando esce è una furia. Aggredisce i poliziotti e inizia una colluttazione. Da questo momento in poi ci sono punti poco chiari e molte domande al momento senza risposte nella ricostruzione di quel che è accaduto. Prima fra tutti la questione della pistola. Non è chiaro se uno dei poliziotti l’abbia estratta e lui gliel’abbia sfilata dalle mani oppure se sia stato lui stesso a prenderla dalla fondina che, secondo i primi accertamenti, sarebbe di un vecchio modello, in cartone pressato e facile da staccare. Tra l’altro nessuno dei due agenti ha il correggiolo, cioè la cinghia di sicurezza (estensibile) per tenere agganciata l’arma al cinturone. In ogni caso: Alejandro Augusto si impossessa dell’arma, con la quale avrebbe minacciato l’altro agente pretendendo anche la sua pistola. E inizia a sparare. Scarica un intero caricatore puntando prima al petto dei due agenti, che non hanno scampo, e poi dove gli capita per aprirsi la via di fuga. Si muove e preme il grilletto.

La testimonianza

Vetri che vanno in frantumi, calcinacci, poliziotti che si riparano e rispondono al fuoco. «È stato tipo Beirut, non so quanti colpi sono stati esplosi, una infinità. Quell’uomo sparava a vista», dirà poi una poliziotta. Nel conflitto a fuoco uno degli agenti che lo sta seguendo viene ferito a una mano. Lui, l’assassino, riesce comunque a uscire anche se ferito e mentre è fuori incrocia sulla via di fuga una Fiat Panda della Squadra Mobile. Alza la pistola ancora una volta e spara verso gli agenti in macchina. «Alla testa», aggiunge la testimone. Loro si buttano a terra appena in tempo per non essere colpiti, rispondono al fuoco. Lui riesce a premere il grilletto per altre 11 volte prima di essere colpito e crollare (sarà poi portato in ospedale) non lontano dall’ingresso della Questura. A questo punto il fratello è ancora all’interno dello stabile. Nel caos generale è scappato verso il basso e si è rifugiato nel sotterraneo. Lo cercano, lo vedono. Qualcuno dice che ha una pistola fra le mani ma c’è troppa confusione nella ricostruzione delle prime ore e non è chiaro se davvero sia così oppure se gli stessi poliziotti confondano lui con suo fratello. Alla fine. comunque, lo scovano e l’incubo finisce. Proprio mentre i colleghi dei due poliziotti uccisi cercano inutilmente di soccorrerli.

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Trieste, la mappa della sparatoria davanti alla Questura
Il motorino

Ora, quello che si dovrà accertare di tutta questa tragica storia è se siano state rispettate tutte le procedure di sicurezza previste per casi del genere. C’è stata una sottovalutazione dei rischi? Sono state prese tutte le precauzioni necessarie? Davanti a due colleghi senza vita ieri nessuno aveva voglia di farsi domande. Solo sgomento e lacrime. Un’altra delle circostanze che si dovrà ricostruire è se davvero, come sembrerebbe, Alejandro aveva cominciato a dare segnali di squilibrio psichico durante la mattinata. Qualcuno sostiene che proprio per le sue condizioni di instabilità mentale sia stato chiesto un intervento al 118. Anche l’aggressione alla signora rapinata dello scooter — alle 6.40 del mattino — era stata «strana», per dirla con le parole di un investigatore e con il senno del poi. Cioè: il rapinatore aveva preteso il motorino dopodiché aveva spinto per terra la signora prima di andarsene. La rapina di un motorino. Un reato minore, nell’elenco dei casi che possono capitare ogni giorno in una Questura. Stavolta è stato l’inizio di una storia tragica per due giovani poliziotti. Pierluigi aveva 34 anni, Matteo 31.

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