La nuova maggioranza: a sinistra dilemmi e rinunce

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di   Paolo Mieli

Nicola Zingaretti ha compiuto un’impresa destinata a restare negli annali. Ha raccattato un partito ai minimi storici e — anche a costo di trovarsi due o tre volte in contraddizione con sé stesso — lo sta portando al governo. Guidandolo, per vie correttissime sotto il profilo costituzionale, in una alleanza all’interno della quale è destinato ad avere «pari dignità» con la formazione uscita vincitrice dalle elezioni politiche di un anno e mezzo fa. Zingaretti è stato a tal punto abile da concedere ai maggiorenti del proprio partito il diritto di intestarsi (parzialmente o totalmente, a seconda del loro grado di vanità) il merito di questo miracolo. Che oltretutto può essere presentato all’intero popolo della sinistra come risultato di una tempestiva e accorta mobilitazione antifascista con la quale si è sventato il pericolo che Matteo Salvini prendesse i «pieni poteri». Un capolavoro. Eppure il suo popolo dà qui e là segni di insoddisfazione. Colpisce, ad esempio, l’accoglienza davvero calorosa tributata a Carlo Calenda al festival dell’«Unità» di Ravenna. Calenda — assieme a Matteo Richetti — è stato uno dei pochissimi esponenti Pd a esprimere dubbi circa l’opportunità delle nozze agostane con i Cinque Stelle. In altri tempi per lui alle feste dell’«Unità» – ammesso che non gli venisse disdetto l’invito – si sarebbero avuti borbottii e fischi, invece… Stessa calda accoglienza, in Toscana, per i dirigenti del Pd livornese, Lorenzo Bacci (ex sindaco di Collesalvetti) e Federico Bellandi, dichiaratisi anche loro perplessi nei confronti del Conte bis e, a dispetto di ciò, salutati con affetto da una parte consistente della loro base.

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