Acrobazie e silenzi sui numeri

Non erano credibili, come si è drammaticamente visto in un Paese che non cresce più, gli obiettivi del fallimentare «contratto per il governo del cambiamento» a proposito del quale non vi è alcuna forma di onesta autocritica. Lo saranno, al contrario, quelli dell’eventuale Conte 2? Un programma che, secondo le parole del premier incaricato, dovrebbe addirittura gettare le basi di un «nuovo umanesimo», rivoluzionare il modello produttivo, impiegare soltanto energie rinnovabili, porre il nostro Paese all’«avanguardia nella ricerca delle più sofisticate tecnologie». Per non parlare delle venti «condizioni irrinunciabili» poste dai Cinque Stelle e dei più generici buoni propositi del Pd. Manca solo una generale promessa di felicità per completare il quadro immaginifico di questa commedia estiva della politica.

Un governo di legislatura dovrebbe fare agli italiani un discorso di verità, non sommergerli di promesse. Parlare non solo di obiettivi ma anche di risorse. Dove trovo i 23 miliardi per disinnescare le clausole Iva per il 2020? Come reperisco i fondi per ridurre il cuneo fiscale e, dunque, rimodulare le aliquote Irpef? Perché se la risposta implicita è quella di sperare di farlo in deficit, confidando in un occhio di riguardo dell’Unione europea, non vi è alcun cambiamento rispetto al «governo del cambiamento» appena caduto. E ancora: posso permettermi di rafforzare il reddito di cittadinanza e addirittura portare da 80 a 120 euro il già costoso bonus dell’era Renzi? Il salario minimo non è privo di oneri, anche insostenibili, per le aziende. Quota 100 è una mina nei conti pubblici. Se non verrà tolta o si farà finta di niente, perderanno di fondatezza mesi di analisi allarmate. E in attesa delle verdi praterie dell’economia circolare – di cui ci si riempie la bocca – che si fa di sussidi, incentivi, «ambientalmente dannosi» stimati, nel rapporto di luglio del ministero dell’Ambiente, in 19,3 miliardi? Nessuno eccepisce sulla necessità che le «tasse le paghino tutti, ma proprio tutti», come afferma Conte. Ma allora come si conciliano con questo buon proposito i vari condoni dell’ultima legge di Bilancio? E poi concessioni, trivelle, inceneritori, Ilva. L’Alitalia se la riprende lo Stato mentre non c’è traccia di 18 miliardi di privatizzazioni messi a bilancio dal Conte 1 (uno per cento del Prodotto interno lordo nel 2019 e 0,3 nel 2020) indispensabili per cominciare a ridurre il rapporto tra debito e Pil. Ci vuole un sì o un no. Non generici riferimenti. Altrimenti oltre al pubblico si inganna sé stessi.

Nel discorso che Conte ha pronunciato al Quirinale dopo aver avuto l’incarico non c’era alcun riferimento a debito, deficit, coperture. Su 908 parole. Nel documento del 28 agosto (3.531 parole), approvato dalla direzione pd, debito e deficit non sono mai citati. Così nella dichiarazione di Nicola Zingaretti successiva all’incontro con Conte. Tantomeno ne parla Luigi Di Maio nei suoi ambiziosi venti punti. In tutti i documenti e gli interventi – che sono alla base finora della svolta giallorossa – i capitoli di nuove spese sono numerosi. Le risorse arriverebbero solo da una generica lotta all’evasione fiscale. Per il resto nulla. Business as usual.

CORRIERE.IT

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