Il no del Senato mette in forse le certezze di Salvini

Ma che cosa significhi non è chiaro. L’impressione è che il partito trasversale del non voto esista anche dentro FI. Molti eletti non vogliono essere fagocitati dalla Lega; e non si fidano delle assicurazioni di Salvini. Ritenere che questo porti a un prolungamento della legislatura è, come minimo, prematuro. Lascia tuttavia balenare una fase di confusione e di trasformismo, che ritarderà i tempi di eventuali elezioni.

Di qui a ritenere che la forzatura salviniana sia già fallita, ce ne corre. Si può solo registrare l’apertura di una larvata trattativa tra M5S e Pd, dagli esiti incerti. Il segretario Nicola Zingaretti sa che i programmi del suo partito e del Movimento di Beppe Grillo rimangono distanti; e che la possibilità di stipulare una sorta di patto di legislatura rimane improbabile. Sarebbe difficile, ad esempio, dire sì alla riduzione dei parlamentari chiesta dal vicepremier grillino Luigi Di Maio, dopo che il Pd l’ha bocciata per tre volte. L’unico compromesso, forse, sarebbe di abbinarla a una revisione della legge elettorale. Rimane il dubbio che la legislatura abbia non le settimane ma i mesi contati.

Anche perché il Quirinale è disponibile a dare più tempo ai partiti solo se in Parlamento emergerà una maggioranza in grado di durare. Salvini vede un eventuale accordo M5S-Pd come «un incubo per gli italiani». E ieri è intervenuto in Senato per dichiarare che accetta il taglio dei parlamentari subito, come chiede il M5S, pur di andare al voto: una concessione che, dietro le parole iattanti, rivela una preoccupazione crescente. Il problema del capo leghista è che la sua rottura continua a essere considerata un incubo perfino peggiore.

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