L’incoscienza al potere

Non c’è tema dove ci sia un minimo d’unità d’intenti: dalle autonomie regionali alle alleanze internazionali, dall’ineludibile legge di bilancio all’illiberale decreto sicurezza, dalle multe capestro a chi salva i migranti in mare ai balletti deprimenti su Tav, Tap, Ilva, Alitalia. Il risultato è che, giorno dopo giorno, assistiamo attoniti a scambi sanguinosi di accuse tra i due partiti che avrebbero la responsabilità di guidare da qualche parte un Paese sfibrato da ondate d’odio inattese, frustrato nelle sue ambizioni di crescita, mai così in bilico sul crinale che divide la decadenza, non solo economica ma anche sociale, da una qualsiasi ipotesi di ripartenza.



Giorno dopo giorno, sembra sempre di essere arrivati all’ultimo giorno. Arriva invece un vertice a sorpresa, una dichiarazione a buttare la palla in tribuna, un compromesso notturno all’estremo ribasso. E la mattina dopo si ricomincia, per ora andiamo avanti che il futuro prossimo è nella mani di dio, senza che nessuno dei commedianti in causa abbia un soprassalto di onestà e dica per primo “basta, io non ci sto più”. Sia esso il ministro dell’Economia, o quello degli Esteri, o lo stesso presidente del Consiglio, costretto com’è a mediare ciò che mediabile non è più, e forse non lo è mai stato.

Sui leader dei rispettivi schieramenti, e corti annesse, inutile fare affidamento. Luigi Di Maio teme che la spirale al peggio del suo Movimento lo inghiottisca in caso di ritorno alle urne e quindi, pur di evitarle, si consegna, e consegna il proprio patrimonio di valori, all’acerrimo alleato. Matteo Salvini, che invece dalle urne uscirebbe trionfatore, gioca in proprio una partita dove l’unica vera incognita sono le mine vaganti ordite da qualche procura impertinente (su Moscopoli, sui 49 milioni scomparsi dalle casse del partito, sugli eventuali 65 trattati nelle opache sale dell’Hotel Metropol). Ma a lui, visto il consenso di cui gode, basta mentire a ripetizione (Savoini chi?) o dispiegare la forza atomica della sua propaganda per sviare l’attenzione su temi ad alta intensità emotiva ( il dramma degli affidi controversi dei bambini di Bibbiano, Comune rosso, guarda caso) o anche provocatoriamente popolari (la campagna per dare una casa ai poveri cani rimasti vagabondi dopo lo sgombero forzuto del Centro di Cara di Mineo, sgombero che è costato tragedie immaginabili a centinaia di “invisibili” che però, essendo umani di serie B, si arrangino).

La strategia della bugia e quella della distrazione di massa: per ora pagano, e anche bene. L’uomo forte per un’Italia debole. Il paradosso, piuttosto sconveniente per le sorti nazionali, è che l’ulteriore rafforzamento del primo passa per l’aggravarsi della debolezza della seconda. Forse il peggior difetto di un governo nato difettoso è l’incoscienza. Solo ai bambini è concessa. Per gli adulti è un vizio pericoloso. Per chi ha ottenuto i voti per comandare un Paese, l’incoscienza è il peccato più grave, che non si emenda fingendo di baciare crocifissi o barattando i propri ideali con le convenienze del potere.

Salvini e Di Maio hanno scambiato la vittoria in due turni elettorali, sia pure con esiti capovolti (le Politiche del 2018 ai 5Stelle, le Europee del 2019 alla Lega) per una cambiale in bianco da esibire in nome e per conto del popolo italiano. Col risultato, a poco più di un anno dal loro insediamento, che il marchio Italia ha perso credibilità, e di conseguenza rilevanza. Per responsabilità diretta dei partiti vincitori, e con la complicità di un’opposizione incapace di ritrovare un’anima e un’unità d’azione, aggiungerei anche un linguaggio, capaci di contrastare con efficacia il racconto dominante di chi, insieme al governo del Paese, si è preso le postazioni strategiche per creare e mantenere il consenso, compresa la Rai e le piazze ormai rilevantissime del mondo parallelo più influente, quello dei social network, il nuovo impero dei sentimenti e dei risentimenti.

Promesse sbandierate e poi rinnegate, senza mai passare per un accenno di mea culpa. Risultati economici catastrofici, pure in una contingenza difficile, senza che l’altalena tra recessione e stagnazione inducesse a un minimo di revisione dei programmi. Strappi continui con l’Europa, fino all’isolamento di cui patiamo ora tutte le conseguenze. Spericolate manovre di avvicinamento con le grandi potenze lontane, dalla Russia di Putin all’America di Trump fino allo sfioramento con la Cina di Xi Jinping, accendendo debiti di sudditanza di cui pagheremo i conti per molti anni a venire.

Sono alcuni, soltanto alcuni, dei frutti velenosi prodotti da un sistema partorito da due forze nate come anti-sistema, che invece di lavorare per cambiare l’Italia nel senso disegnato dai rispettivi impegni annunciati ai propri sostenitori, hanno invece scelto di continuare in una specie di campagna elettorale permanente, dove il dichiarare vale infinitamente più del fare, finendo per fare poco (e quel poco, specie in materia di diritti civili, in maniera barbara) e annunciare molto (e quel molto, giudicato troppo anche dagli osservatori internazionali, in crescente e insanabile contrasto tra improbabili alleati).Solo l’incoscienza dei contraenti di questo patto di legislatura vieta di ammettere che il sessantacinquesimo governo della Repubblica italiana, nato il primo giugno 2018, è politicamente e clinicamente morto.

Tra i vantaggi collaterali di questa sopravvivenza fasulla, gli onorevoli fantasmi potranno fingere di non vedere, o addirittura vantarsi, di una breve in cronaca: naufragio al largo della Libia, oltre 100 persone disperse, cioè annegate, in salvo 140, ricomincia un altro balletto acchiappavoti sui porti chiusi. Nel suo piccolo, la Lega non ha votato la riforma del Trattato di Dublino e continua a disertare i vertici europei sull’immigrazione. Un problema di coscienza, per chi ancora ne conserva una.

REP.IT

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