La concretezza necessaria quando si parla di conti

di Federico Fubini

Va bene, non si dovrebbe mai farlo. Non va paragonata la gestione di uno Stato, complessa e piena di obiettivi diversi, a quella di una famiglia. Ma immaginiamo per un momento che noi contribuenti che finanziamo fossimo un solo nucleo, che abita pacificamente sotto lo stesso tetto chiamato Repubblica italiana. Immaginiamo che nella nostra famiglia entrino in tutto 100 mila euro all’anno, mentre abbiamo un mutuo di 130 mila euro. Sarebbe un po’ come la situazione del governo, con il debito pubblico attorno al 130% del prodotto interno lordo. Non è la fine del mondo, a prima vista. Il reddito della famiglia non cala, ma aumenta giusto di mille euro l’anno: l’equivalente di una crescita dell’1%, quella dell’Italia se si calcola anche l’inflazione. Intanto il tasso d’interesse sul mutuo è del 3%, più o meno uguale il costo medio del debito pubblico oggi.

Cosa succede dopo un anno? I guadagni della famiglia sono saliti a 101 mila euro, il debito è salito a 133.900 euro solo per effetto degli interessi. L’anno dopo gli affari della famiglia vanno meglio (la «ripresa»), quindi il reddito ora aumenta di un altro 2% e arriva a 103.020 euro. Il debito invece esige il solito interesse del 3% e questa volta dunque sale a 137.917 perché la famiglia, non potendolo rimborsare, si limita a spostarlo in avanti rinnovandolo. Il risultato è che nel primo anno la famiglia aveva debiti per 30 mila euro in più rispetto a quanto guadagnasse. Nel terzo anno, automaticamente, la distanza è salita a 34.897 euro. È aumentata del 16%. In soli tre anni la forbice si è aperta sempre di più in un’accelerazione pericolosa, di questo passo. È la situazione dell’Italia negli ultimi nove mesi e nel futuro prevedibile, perché il ritmo della crescita (inclusa l’inflazione) è sceso parecchio sotto al livello degli interessi sul debito.

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