Caso Eni e sentenze pilotate al Consiglio di Stato, in manette i due imprenditori che corrompevano i giudici


Ancora una volta sono state le dichiarazioni degli avvocati Amara e Calafiore, registi di questo sistema di corruttela che proprio qualche giorno fa hanno patteggiato la condanna nel filone d’inchiesta romano, a consentire il nuovo passo avanti nell’indagine coordinata dalla Procura di Messina che, a febbraio dell’anno scorso, ha portato all’arresto di 13 persone componenti di un “comitato di affari” che, con radici a Siracusa, ha esteso la sua influenza a livello nazionale fino ai piani più alti del Consiglio di Stato ma anche interferendo in delicatissime indagini penali come quella sulle tangenti Eni a Milano.



Grazie alla collaborazione di un altro elemento fondamentale del cerchio magico, l’ormai ex pm di Siracusa Giancarlo Longo (arrestato un anno fa), l’avvocato Amara, che era anche legale dell’Eni, sarebbe riuscito ad ostacolare l’attività  di indagine della Procura di Milano sui vertici dell’Eni avviando un filone parallelo di inchiesta che, utilizzando come pedina il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi, arrivò a montare un presunto complotto ai danni dei vertici dell’Eni sotto accusa per una maxitangente in Nigeria. Ora le indagini della Procura di Messina hanno fatto piena luce sulla vicenda.

Ancora l’ex pm di Siracusa Longo, nominando una serie di consulenti amici, avrebbe consentito ad Amara di ottenere una serie di verdetti favorevoli per uno dei suoi clienti più importanti,  l’imprenditore Bigotti,  impegnato in consistenti contenziosi con diverse imprese aggiudicatarie di appalti pubblici banditi da Consip ma anche in sede tributaria dopo una richiesta di voluntary disclosure avanzata da una società del gruppo Bigotti coinvolta in accertamenti da parte dell’Agenzia delle entrate.

REP.IT

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