Basta una foto: come funziona la truffa dell’assegno su Whatsapp

A quel punto il truffatore stampa in alta definizione l’assegno e, in molti casi, riesce a incassarlo. La vittima non riesce più a raggiungerlo al telefono, fin quando non scopre che gli sono spariti molti soldi dal conto. Guarda caso, la stessa cifra scritta su quell’assegno che, da virtuale, è diventato reale e tangibile.

La responsabilità delle banche. Come è facile immaginare gli impiegati di banca che trattano un pezzo di carta come se fosse un vero assegno svolgono un ruolo fondamentale per la riuscita della truffa. In alcuni casi sono compiacenti, ma la maggior parte delle volte sono negligenti. Eppure per verificare ci vorrebbe pochissimo. Le tecniche anti-contraffazione sono diverse.

Come spiega Aldo Bissi, avvocato del comitato scientifico di Ridare, portale di informazione legale di Giuffrè Editore, nel 2010 l’Abi ha fornito alle banche italiane le istruzioni “per limitare le alterazioni e le falsificazioni” di assegni bancari e circolari. Ad esempio la carta non è certo quella normale: dev’essere non fluorescente, filigranata e cambiare colore se qualcuno tenta di alterarla con sostanze chimiche. E ancora: deve presentare stelline, coriandoli o altri elementi che cambiano colore o luminosità a seconda dell’inclinazione.

Ma se anche il bancario non notasse a occhio l’assenza di filigrana basterebbe mettere l’assegno sotto alla cosiddetta “lampada di Wood”. Cos’è? Semplice: “Una lampada a ultravioletti, come quelle che vengono utilizzate in molti negozi verificare l’autenticità delle banconote” continua Bissi. Questione di pochi secondi.

Ma c’è un altro motivo per il quale le banche svolgono un ruolo importante per la diffusione della truffa. È la tecnica del check image truncation, una procedura in cui le due banche si scambiano le informazioni relative all’assegno in forma esclusivamente elettronica. Nel momento in cui lo si porta in banca “l’operatore genera un’immagine dell’assegno; il che comporta che il supporto cartaceo perde valore, e verrà conservato dalla banca solamente per sei mesi (ovviamente viene conservata l’immagine)” spiega ancora Bissi.

Vittime colpevoli al 50%. Il problema non è la dematerializzazione degli assegni: anche il check image truncation prevede che, prima di generare l’immagine, l’impiegato allo sportello verifichi che l’assegno sia autentico. Una verifica diligente che il Codice civile accosta a quella “del buon padre di famiglia”. Ma a quanto pare non tutti i padri di famiglia sono così affidabili, visto che molti assegni sono stati versati al buio, senza la minima verifica, neanche la più elementare.

Il problema è che fino ad oggi per casi del genere sia l’Abi che la Cassazione hanno diviso le responsabilità al 50% tra la banca emittente (condannata a restituire metà della cifra alla vittima) e la vittima stessa per non aver preso tutte le precauzioni del caso. Una giurisprudenza che, secondo l’avvocato Barbara Gualtieri, presidente di Mdc Firenze, presenta più di una criticità: “Non vorremo certo paragonare la diligenza del cittadino comune con quella dell’impiegato di banca. Le competenze delle due figure sono completamente differenti, così come le informazioni e la conoscenza dei rischi”. La tecnica del check truncation, secondo Gualtieri, “fa risparmiare tempo ed economie al circuito bancario, ma questo risparmio non può e non deve ricadere sul cittadino che deve comunque restare salvaguardato”.

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