E ai “naufraghi” italiani di Amatrice resta solo la solidarietà di serie B

È la cronaca miserabile di questi giorni, è il buio che non appartiene soltanto alle notti in mare o sotto una tenda al gelo, è la differenza di emozioni, è la serie A e la serie B delle commozioni, è Saviano scrittore che si sente autorizzato a dare del pagliaccio a un ministro, dimenticando le giullarate di partiti e governanti, suoi sodali o fiancheggiatori, che dei terremotati non hanno più ricordo, se non elettorale. La gente d’Abruzzo si appresta a festeggiare un santo, Antonio Abate, lo farà, come sempre e per sempre, dando fuoco, in piazza, ai torcioni, si sfamerà di granturco cotto, i cicerocchi, non chiederà elemosine governative o statali, avendo capito di non essere ormai più utile a nulla, se non alla propria sopravvivenza.

È un popolo dimenticato dalla prostituzione dei politici e degli intellettuali a gettone. Non ci sono porti per il loro approdo, sono naufraghi sulla terra, zatteranti senza bandiera, guardano la tivvù e scoprono che esistono sofferenze degne di maggiore, anzi di migliore attenzione. Hanno perso le loro dimore, ma non hanno smarrito la loro storia, la loro dignità. Altri, semmai, hanno perduto il pudore del silenzio. Sono macerie di vita.

IL GIORNALE

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