E ai “naufraghi” italiani di Amatrice resta solo la solidarietà di serie B

Tony Damascelli

L a neve copre quello che resta di Accumoli e Amatrice. Macerie nascoste, dimenticate, tendopoli e Sae, un avvilente acronimo che sta per soluzioni abitative di emergenza.

Case di carta nel vento ghiacciato di questo inverno così uguale a tutti gli altri. Non ne parla più nessuno, cartoline stracciate, quasi un’assuefazione al terremoto, un’abitudine alla scossa, la terra si muove, ma meglio è dirottare altrove la polvere delle parole. Qualche sfilata di repertorio mentre il presepe è immutato.

Più giù, più in là, in mezzo al mare, dove basta cambiare la posizione delle vocali e Sae diventa Sea, Sea watch, allora i migranti, quelli sì, fanno notizia e compassione molto più degli stanziali d’Abruzzo, lo strazio di donne e bambini alla deriva merita il soccorso, mentre le donne e i bambini, avvolti dal freddo e dalla paura, fanno ormai parte del passato, nemmeno prossimo. Non più pastori dannunziani che lasciano gli stazzi per andare verso il mare, ma un gregge che esiste e resiste sul luogo della tragedia, rassegnato alla disperazione. Tre anni non sono nulla, fanno parte dell’ordinaria amministrazione, c’è addirittura Messina che si porta appresso dal millenovecentootto la vergogna delle baracche dopo il sisma maledetto, un secolo e più di governi, regimi, monarchie, repubbliche per lasciare le cose come stavano e come debbono essere. Accade, invece, che su quella magica isola siciliana, rotoli la lava di figure rivoluzionarie e ribelli contro le istituzioni contemporanee, dopo aver convissuto, da complici, con gli attori del degrado sociale e morale.

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