Dalle lacrime alla grande solidarietà

L’editoriale del direttore Alberto Faustini

Le mani del marito di Michela nel fango. In una lotta impossibile. Contro una frana che si porta via mezza montagna. Contro il destino. Contro una cosa che è troppo grande anche se a tentare d’arginarla c’è l’amore, c’è lo strazio, c’è tutta la forza di cui è capace un uomo quando tenta di strappare alla morte la sua donna, la madre della sua cucciola, il disegno del suo futuro. E l’improvviso, lungo e disperato grido della loro bimba è un coltello piantato nel cuore attonito di un’intera comunità. Le lacrime di Dimaro si confondono in questa pioggia che non dà tregua. Le mani di Giovanni a disposizione di tutti: per aiutare, per salvare. Perché i vigili del fuoco sono davvero angeli. Non è retorica del giorno dopo. È racconto di realtà quotidiana. La natura che lo travolge. Che lo piega: ramo dell’albero della generosità spezzato in una Val Badia di colpo muta. Travolta da quest’acqua che non smette di uccidere, di impaurire, di spazzare via ogni cosa che incontra. In quelle mani, in quegli sguardi, in quella lotta generosa e vana, c’è il dramma della nostra regione e di un’Italia che ha visto morire in poche ore, insieme a Michela e Giovanni, altre nove persone.

Trentino e Alto Adige sono tramortiti. Valli spezzate. Strade cancellate. Zone isolate. La corrente elettrica che in più di un paese manca da ormai troppe ore. Centinaia di persone costrette a lasciare la loro casa. I tetti sbriciolati e volati via come gabbiani in preda al terrore non si possono nemmeno contare. E fra pochi giorni, in molti di quei pezzi di territorio che la furia del maltempo ha ingoiato con cinica fretta, sarebbero arrivati i turisti. E la tragedia avrebbe assunto proporzioni difficili anche solo da immaginare. Un colpevole non c’è. Anche se qualche domanda sull’uso che facciamo del mondo – sempre più simile a un torsolo di mela avidamente sbocconcellato – dobbiamo pur porcela. La natura imbizzarrita non si ferma a mani nude. E in fondo – come dimostrano i solchi disegnati da tante antiche sciagure che ancora scorgiamo guardando dalle vette verso valle – non s’è fermata mai. Ma oggi è diverso: ora sappiamo infatti prevedere, sappiamo immaginare, sappiamo (possiamo e dobbiamo) programmare e fare i conti con una realtà che in anni lontani aveva solo il nome di fato. S’è fatto molto per tutelare il territorio, per imbrigliarlo, per calmarlo, arginarlo e placarlo. Ma si può – si deve – fare sempre di più. Perché proteggere e curare la fragile terra sulla quale viviamo significa proteggere noi, il nostro futuro, anche la nostra economia. Oggi siamo tutti più poveri e più tristi: perché Michela Ramponi e Giovanni Costa non risponderanno all’appello. Resteranno nei cuori di chi li ha amati, però i loro volti sorridenti non riempiranno più le nostre giornate. Dentro la tragedia, ancora una volta, questo territorio ha però mostrato di che materiale è fatto: di solidarietà, di volontariato, di impegno, di caparbietà, di organizzazione perfetta, di migliaia di braccia che scavano, che spostano, che lavorano, che accudiscono, che proteggono. Dentro lo sconfinato dolore, c’è ancora una volta la faccia più bella della nostra autonomia: che è autogoverno continuo, attenzione perpetua, quotidiano sostegno. Persone che aiutano altre persone. Che le ospitano. Che dividono in due anche quel poco che resta quando la vita si fa in poche ore salita senza appigli. Ciò che la natura distrugge in pochi attimi, con impensabile impeto, l’uomo ricostruisce dalle fondamenta dell’anima con tempi e modi molto diversi: i giorni e le settimane che servono per lenire ogni ferita e per rammendare le cicatrici delle persone e quelle della terra. Il tempo bello degli abbracci contro il maltempo di questi giorni senza luce. Accanto alle tante immagini tristi, in queste ore d’angoscia svettano quelle intrise di solidarietà. Ce ne sono davvero molte. Piene di sudore. Di coraggio. Di efficienza. Di vicinanza. Fra queste, una resta negli occhi più di altre per mille ragioni: Ugo Rossi, presidente della Provincia di ieri (e di oggi, perché in Trentino non c’è stata ancora la proclamazione dei nuovi eletti), che cammina nel fango insieme al presidente di domani, Maurizio Fugatti. Si parlano. Si guardano. Si cercano. Confortano chi ha il cuore straziato dall’angoscia. Lo scontro politico che si fa incontro. La parola ricostruzione che si fa orizzonte unico e condiviso. Il conforto che non ha alcun colore politico, ma che dà un senso di completezza a una comunità, piena di valori e di dignità, che ha già voglia di ripartire. Come sempre.

TRENTINO

 

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