L’arte prostituta dei politici, intanto l’Italia va a pezzi

Crolla la Reggia di Caserta? Non è grave

Non la facciamo troppo lunga: è crollato solo un soffitto nella Reggia di Caserta. In fondo poteva andare peggio: poteva crollare la Cappella Sistina, e invece è ancora in piedi; poteva crollare il Colosseo, e invece è ancora lì; poteva crollare la sala del Botticelli agli Uffizi, e invece c’è ancora; poteva crollare la Torre di Pisa, e invece è ancora lì che pende.

Non facciamo i soliti gufi che ammorbano le pagine dei giornali scrivendo che il patrimonio d’arte cade a pezzi. Non cade a pezzi. È solo caduta a pezzi la Reggia di Caserta. Cosa vuoi che sia? Se chiedi agli italiani dov’è Caserta, ti rispondono tra il Molise e l’Abruzzo. Se chiedi agli italiani quante volte sono andati a Caserta, ti dicono che devono ancora andarci. Se chiedi agli italiani chi abbia fatto la Reggia di Caserta, ti rispondono chissenefrega. Dunque, se cade un soffitto, che cosa vuoi che sia? Non rompere i coglioni con queste inutili notizie da becchino.

450 milioni per gli sfigati

Beato sia Leonardo da Vinci. Il quadro, a lui attribuito, Salvator Mundi, è stato venduto all’asta per 450 milioni di dollari. Due cose sono chiarissime. Il mito nell’antichità veniva consacrato dal tempio. Oggi dai soldi. Nella modernità diventi mito quando il mercato ti mitizza. Fuori dal mercato non esiste mito, ma solo autorevolezza. I 450 milioni di dollari per un quadro, però, sono un toccasana per la nostra Italietta, per il nostro provincialismo, per le piccole città imbevute fino al collo di primitivismo culturale. Sapete perché? Perché da noi si pensa che l’arte sia per gli sfigati, per i volontari, per i precari, per i pensionati. Sono più importanti le strade, le scuole, i cimiteri, gli ospedali, i viali, i marciapiedi. Poi, da ultimo, nelle varie ed eventuali, tra le briciole del discorso, arriva l’arte, affidata ai volontari e ai disoccupati, perché non c’è una lira: tanto, si sa, l’arte non costa nulla, la fanno i volontari. La cifra mostruosa pagata per il Leonardo da Vinci è una pedata nei denti a chi, qui da noi, vuole trasformare l’Italia dell’arte nell’Italia dei fessi.

I tombaroli hanno lavoro. Gli archeologi no

Se vendi cocaina, rischi la galera. Se vendi armi illegali, rischi una pallottola in bocca o infilata nella schiena. Se smisti rifiuti tossici, rischi metastasi e cellule tumorali su tutti i polmoni. Un solo mercato nero, in Italia, è a rischio zero: quello che saccheggia le rovine e le vestigia della nostra civiltà per immettere le antichità razziate dai tombaroli nel commercio internazionale di opere d’arte. Non rischi nulla, al massimo una multa. Per questo, anche in questi giorni, i tombaroli hanno saccheggiato indisturbati (finché non hanno commesso l’ingenuità di farsi intercettare) il sito archeologico più importante e visitato al mondo: Pompei. È quasi incredibile che il paese con la legislazione di tutela più stratificata e consapevole del mondo, con il servizio di sorveglianza dei beni culturali (il Nucleo dei carabinieri, in sinergia con l’Interpol, l’Antifrode, la Finanza) più corposo che possegga uno Stato moderno, con una tradizione secolare di spoliazioni, razzie, scavi clandestini, asportazioni di souvenir dalle maggiori rovine del Paese (Anzio, Cerveteri, Ascoli Satriano, Morgantina, Noto, l’intera Tuscia, l’intero retroterra tra Roma e Ostia ecc), si possa trovare ancora nelle condizioni di vedersi saccheggiare la città riesumata di Pompei. Da quanto si apprende dalle pochissime notizie circolate, i nuovi tombaroli sono stati beccati nella zona nord del sito, oltre la Porta di Nola. Avevano trovato un calco intero di un cavallo ed erano pronti a immetterlo nel mercato internazionale del contrabbando di antichità. Lo hanno trovato i tombaroli, non gli archeologi. Perché? Perché i tombaroli rischiano una multa e poi tornano al lavoro. Gli archeologi seri non rischiano multe e non hanno lavoro.

L’arte, miglior prostituta dei politici

È un meccanismo chiarissimo e collaudato: se davanti a Palazzo Vecchio a Firenze metti una Madonna del Trecento, nessuno se ne accorge. Se metti una cagata di 10 metri, tutti ne parlano. Giornali, radio, televisioni, social moltiplicano le visualizzazioni. L’arte contemporanea in luoghi pubblici fa notizia solo se è apertamente dissacrante o burlesca rispetto al contesto attorno. I politici ne vanno pazzi, perché riducono l’arte negli spazi pubblici a semplice e innocua produttrice di notizia, che è quello che un politico vuole. Jeff Koons mette una statua dorata luminosa accanto alla copia del David di Michelangelo, in piazza della Signoria? La notizia finisce dappertutto e il sindaco di Firenze stappa lo spumante. Jan Fabre ci mette una tartaruga gigante al galoppo? Il sindaco beve un altro spumante. Urs Fischer mette una statuona con la lontana sembianza di essere una grossa defecazione di dinosauro? Apriti cielo. A parte gli alieni, ne parlano tutti. E il sindaco brinda con un altro spumante. Avete capito: i politici hanno bisogno degli artisti da notizia e viceversa. Sono magneti che si attraggono. Da sempre l’arte può essere la miglior prostituta dei politici.

IL GIORNALE

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