Roma, 10 settembre 2018 – “O si cambia o si muore”. Dopo otto anni di crisi, nell’era della globalizzazione neoprotezionistica, Cgil, Cisl e Uil si leccano le ferite. E fanno i conti con il maxi calo di iscritti registrato da Demoskopika: 447mila persone hanno rinunciato a iscriversi ai sindacati dal 2015 al 2017 (285mila in meno per la Cgil, 188mila per la Cisl e 26mila in più per la Uil). Numeri da brivido. Vincenzo Colla, segretario confederale Cgil, non si tira indietro. “Siamo stati in grado di gestire la crisi, con un miliardo di ore di cassa integrazione all’anno. Ma abbiamo perso di vista la catena del lavoro, che è diventata lunghissima e frammentata. Ci siamo concentrati sui primi anelli, quelle delle medie imprese, dimenticando che alle spalle della fabbrica c’erano i giovani a 500 euro al mese e contratti precari, i nuovi poveri. Non siamo riusciti a includere questi lavoratori nel sistema contrattuale”.

E ancora: “Abbiamo vissuto le mediazioni come se fossero tradimenti. Così il dibattito si è concentrato più sulle norme giuslavoristiche che regolano il mercato del lavoro che sul lavoro vero. Aver focalizzato lo scontro sulle riforme istituzionali è stato un errore culturale e politico, mentre nel frattempo sul mercato del lavoro cambiava tutto. Bisognava fare un patto per governare il cambiamento e per ricucire il Paese anche dal punto di vista sociale”. Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, sulla crisi del sindacati, ha scritto un libro dal titolo emblematico: “Abbiamo rovinato l’Italia?”. Domanda retorica. Ma fino a un certo punto. “Fino a quando non avremo certificazione oggettiva della rappresentanza i dati di Demoskopika non hanno fondamento. Al netto del dovere di cambiare, il resto della rappresentanza non è più forte di noi. Ma certo dobbiamo al più presto fare delle scelte. Discernere, ad esempio, fra i diritti e gli abusi dei diritti. Il diritto di sciopero è fondamentale, ma gli scioperi scaricati sui cittadini sono il più grande attacco a questo principio. Così come il diritto alla malattia: se viene utilizzato per alimentare l’assenteismo o al posto dello sciopero diventa abominio”.

Il problema, aggiunge il leader dei metalmeccanici, “è che la parte ideologica e reazionaria del sindacato continua a occuparsi troppo di articolo 18 e pensioni e dimentica che la vera emergenza del Paese sono i giovani e i disoccupati. Non ha ancora smaltito i fondi di bottiglia dell’estremismo ideologico, si è allontanata dai veri problemi del lavoro agevolando la nascita del populismo politico”. Ma Bentivogli respinge le critiche dei grillini sui privilegi dei sindacati: “Vorrei proporre a Di Maio di scambiare la sua pensione con la mia. Basta con questa storia che siamo una casta”. “Ci possono essere stati episodi discutibili”, aggiunge il segretario Uil, Paolo Pirani. “Ma la radice della crisi è un’altra. È con la legge Fornero che si è creata una frattura fra il sindacato e la sua rappresentanza. I partiti hanno pagato il prezzo fino in fondo. Noi siamo stati un po’ protetti dalla nostra rete di delegati”. Il sindacato “è stato poi travolto, così come tutte le altre associazioni, dall’idea liberistica e individualistica dell’auto-rappresentanza e della disintermediazione. C’è stata una perdita di identità e di valori collettivi”. C’è poi un problema di linguaggio. “In Germania il sindacato regala un tablet per ogni iscritto. Un’esagerazione. Noi vogliamo essere sociali e non solo social”.

Ma la sfida è anche un’altra: “Dobbiamo intercettare una generazione che deve ricostruire il passato, non vede il futuro e vive in un presente incerto”. Non getta la spugna neanche Bentivogli: “Se il sindacato vuole restare un soggetto forte, deve raccogliere la sfida delle 3 R. Deve fare scelte radicali, rifondative e rigenerative. Non è più sufficiente l’ordinaria manutenzione”. Soprattutto, aggiunge Vincenzo Colla, “deve essere in grado di governare l’innovazione. Capire che la competizione non si combatte solo in fabbrica ma coinvolge i territori. Un’impresa non ha bisogno solo di sgravi, ma di un sistema dove la scuola è efficiente, i trasporti funzionano, i ponti non crollano, non si discute sulla Tap o sulla Tav o sulle infrastrutture che possono fare la differenza sulla tenuta manifatturiera del Paese”.

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