La punizione come riscatto

Molto opportunamente il discorso del nuovo premier Giuseppe Conte, nelle prime battute (pagina 4), scomoda Dostoyevsky e Pushkin, evocando una definizione del populismo come “attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente”. Si tratta di un celebre discorso fatto nel 1880 per l’inaugurazione del monumento a Pushkin a Mosca in cui Fyodor Dostoyevsky, dice dello scrittore (per altro, un sanguemisto di pelle scura e capelli ricci) “prima o dopo di lui nessun scrittore russo si è mai unito, così intimamente e fraternamente, con il suo popolo”.

Opportunamente, dicevo, perché c’è molta Russia in questo discorso di 24 pagine con cui si inaugura la nuova legislatura.

E non parlo della ovvia simpatia per la Russia attuale, nazione cui va l’unico vero, affettuoso, riconoscimento della nostra azione di politica estera. Sotto il capitolo Scenari Internazionali, a pagina 9, dopo il paio di righe iniziale in cui si ribadisce “la convinta appartenenza del nostro paese all’Alleanza Atlantica e agli Usa come alleato privilegiato” è proprio nei confronti del paese di Putin che si delinea la priorità della nostra politica estera: “Saremo fautori di una apertura alla Russia, che ha consolidato negli anni il suo ruolo nelle varie crisi geopolitiche. Ci faremo promotori di una revisione del sistema delle sanzioni a partire da quelle che rischiano di mortificare la società civile russa” .

C’è molta Russia in questo discorso, dicevo, soprattutto come struttura intellettuale di lettura del potere e del suo cambiamento. Una visione pessimista e trionfante insieme, nella definizione dell’umiltà del cambiamento che arriva come “la fine dei vecchi privilegi e incrostazioni di potere” (pagina 5), nella sua rottura con le prassi dei Satrapi del passato, e l’umiltà del presente potere che nasce: “Abbiamo apportato un cambiamento radicale rispetto a prassi che prevedevano valutazioni scambiate nel chiuso di conciliaboli tra leader politici, per lo più incentrate sulla ripartizione dei ruoli personali, noi inauguriamo una stagione nuova, non nascondendo le difficoltà e le rinunce reciproche nel segno della trasparenza e della chiarezza nei confronti degli elettori” (pagina 3).

È una lettura consapevole, quella del premier, della rottura con gli schemi passata (destra e sinistra che siano, dice) per mettere al centro il cittadino, “il riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali della persona” .

Le soluzioni per questi torti subiti sono, nel discorso, un lungo elenco di cose a venire: redditi di cittadinanza, pensioni minime, e tutto il repertorio delle promesse. Ma dal momento che le coperture di tutto questo sono incerte, o, forse, non è il caso di parlare di economica in dettaglio in un discorso di investitura, alla fine l’unico strumento effettivo, l’unica azione, l’unico grimaldello che viene offerto alla realizzazione del cambiamento è l’applicazione di un vigoroso uso della giustizia.

E qui si c’è molta Russia – nell’idea che una nuova era (o anche questa di ora, se dobbiamo guardare all’attuale Mosca) nasce sotto l’egida della retorica della punizione come trionfo del diritto degli umili.

La parte sulla giustizia è in effetti la più articolata delle 24 pagine, definita in una lunga lista di interventi la cui drasticità, tipo il Daspo ai corrotti, la chiusura del business della solidarietà (sic!), gli agenti sotto copertura, sono lo strumento della mano dello Stato (e forse di Dio) non solo per riequilibrare i torti (come giustizia vuole) ma anche per infliggere punizioni finali a chi ha sbagliato.

Il cambiamento, si legge a pagina 6, è “una giustizia rapida ed efficiente e dalla parte dei cittadini, con nuovi strumenti come la class action, l’equo indennizzo per le vittime di reati violenti, il potenziamento della legittima difesa. Metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà, combatteremo la corruzione con metodi innovativi come il “Daspo” ai corrotti e l’introduzione dell’agente sotto copertura”.

Continua il premier in merito agli strumenti con cui saranno risarciti i torti ai cittadini: “la semplificazione e la riduzione dei processi, l’abbassamento dei costi di accesso alla giustizia, il rafforzamento delle garanzie di tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini. Inaspriremo le pene per il reato di violenza sessuale. Assicureremo la certezza della pena onde evitare che i cittadini onesti perdano fiducia nella giustizia. Aumenteremo il numero degli istituti penitenziari. Riformeremo anche la prescrizione che deve essere restituita alla sua funzione originaria, non più ridotta a espediente per sottrarsi al processo” (pagina 12).

Il reato si espande, sotto questo anelito di giustizia. Ad esempio sul conflitto di interessi: “È un tarlo che mina il nostro sistema economico e sociale fin nelle sue radici, e impedisce che il suo sviluppo avvenga nel rispetto della legalità e secondo le regole della libera competizione. Soggetti che sono istituzionalmente investiti dall’obiettivo di perseguire interessi collettivi e che dovrebbero improntare le loro iniziative a una logica imparziale, in realtà vengono sovente sorpresi a perseguire il proprio tornaconto personale. Rafforzeremo la normativa attuale in modo da estendere le ipotesi di conflitto fino a ricomprendervi qualsiasi utilità, anche indiretta, che l’agente possa ricavare dalla propria posizione o dalla propria iniziativa. Occorre rafforzare inoltre le garanzie e i presidi utili a prevenire l’insorgenza di potenziali conflitti di interessi”. Insomma, mi pare si possa dire che la definizione di interesse personale è talmente ampia e vaga che ognuno di noi ne sarà portatore (e dunque denunciabile) anche senza saperlo. All’elenco manca solo “the Walk of shame”. La punizione pubblica dei peccatori.

Persino la flat tax viene inquadrata in una questione di peccato e punizione. “Le grandi società che operano nello spazio transazionale riescono a nascondere le loro ricchezze nei paradisi artificiali (sic), mentre le piccole aziende e i piccoli contribuenti rimangono schiacciati da un’elevata pressione fiscale” (pagina 16). E la stessa flat tax diviene il modo per evitare il reato: “Solo così si potrà pervenire a una drastica riduzione dell’elusione e dell’evasione fiscale”…mentre per i grandi evasori occorre inasprire l’esistente quadro sanzionatorio amministrativo e penale al fine di assicurare il carcere vero per I grandi evasori”, (pagina 16).

Di tutto il discorso, questa parte è la più rilevante. Costa niente e sembra fatta apposta per lanciare nelle fauci degli scontenti lo spettacolo delle esemplari punizioni.

La parte che più lascia perplessi è una delle proposte buttate lì: la riproposizione di quella che non si può definire altrimenti che “delazione”. Il mezzo più antico, ma anche il più efficace, e il più pericoloso: “Saranno maggiormente tutelati coloro che dal proprio luogo di lavoro, sia esso pubblico o privato, denunceranno comportamenti criminosi compiuti all’interno dei propri uffici”(pagina 12).

Come altro chiamarla se non delazione, un atto di disgustosa incitazione alla divisione proprio fra quei cittadini della cui integrità ci si vuole occupare. La delazione è nella storia del Novecento (per non andare troppo lontano) la pietra angolare della costruzione di tutti i regimi autoritari. In Russia, appunto, ma anche in Germania, e in Italia tanto per limitarci agli esempi peggiori. Posso qui fare una citazione visto che il nostro premier non vi si sottrae: in merito al rapporto fra autoritarismo e regimi violenti andrebbero riletti i romanzi dello sfortunato scrittore Tedesco Hans Fallada in cui si racconta spesso come la povera vita dei tedeschi venisse sventrata da odi e invidie private che diventavano nella delazione un modo per sopravvivere ma anche per accettare un sistema di controllo.

È troppo scomodare la Russia, la delazione, la punizione, la Giustizia con la maiuscola? È questa citazione un altro dei già ampiamente denunciati bizantinismi in cui si sta rifugiando la sinistra (alla cui sfera culturale appartengo)?

Ma si pensi quello che si vuole, rimane importante capire l’ispirazione culturale del nuovo governo, che si vanta di essere appunto così nuovo da non avere precedenti.

Conte racconta un paese totalmente spaccato in una maggioranza destituita di diritti, rovinata negli anni da abusi e privilegi dei poteri dei pochi contro i molti. Un paese di ingiustizia e oppressione. Ed è questa una fotografia di chi siamo su cui è difficile essere in disaccordo. Una narrazione che ha chiaramente portato a un consenso di voti e di emozioni forte come poche volte nella storia della Repubblica. Un voto che bisogna assolutamente rispettare. E esigenze cui bisogna assolutamente rispondere.

Ma lo strumento di una vigorosa giustizia, contiene il forte rischio di un vigoroso esercizio del controllo e della pena: la punizione come trionfo finale della rettitudine. Che poi spesso nella storia abbiamo visto trasmutarsi in un sistema di controllo e di paura, che in nome dei Molti ha dato il potere supremo di nuovo ai Pochi.

La storia non nasce oggi, con Conte o con M5s o con la Lega. Quel che rimane nelle nostre memorie costituisce la differenza, almeno per quel che mi riguarda, con questo nuovo potere che nasce. Differenza non negoziabile.

L’HUFFPOST
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