Lettera a Salvini su pensioni, Fisco e giustizia

Caro Matteo Salvini, ci permettiamo di scriverle a proposito del programma di governo che lei si accinge a presentare al Presidente della Repubblica come socio di minoranza del governo a guida Cinque Stelle.

Inutile ricordarle che i suoi elettori – compresi quelli di Forza Italia e di Fratelli d’Italia che hanno contribuito in maniera determinante al suo successo – l’hanno votata (anche) in base al programma presentato insieme agli alleati di centrodestra. Visto come sono andate le elezioni, e preso atto della sua scelta di stringere un’alleanza con Di Maio, non si può pretendere che quel programma elettorale diventi automaticamente programma di governo. Ma sarebbe sbagliato pure l’inverso, cioè che nel programma di governo ci fossero misure contrarie, o comunque in palese contrasto, con quanto promesso agli elettori. A prima vista, immagino nonostante i suoi sforzi e per quello che valgono i programmi (che le ricordo non sono contratti come tra privati ma accordi politici, cioè ben altra cosa) firmati dai politici pur di andare al governo, le incongruenze in materia di fisco, pensioni, giustizia e liberismo (tanto per citare i temi più sensibili) tra gli impegni elettorali e quelli di governo appaiono evidenti, come dimostriamo nelle tabelle a pagina 2 e 3. Prendiamo le pensioni.

La sola ipotesi di mettere le mani nelle tasche dei pensionati pensofaccia rabbrividire un elettore leghista, e non ci venga anche lei a parlare di «pensioni d’oro». Le pensioni non sono d’oro né d’argento o di bronzo, sono il frutto del lavoro di una vita e di un patto – oggi diremmo un contratto – fatto con lo Stato. Lei parteciperà a un governo che non vorrà abolire l’odiosa tassa sulle eredità e non tutelerà le case dagli attacchi delfisco; lei non si batterà per processi più brevi ma, al contrario, allungando la prescrizione per «processi a vita»; lei dovrà votare che lo Stato allunghi le sue mani ancora di più su banche e grandi aziende. L’elenco sarebbe lungo, ma mi fermo qui. Mi fa piacere che (forse) vedremo una stretta sui campi rom, problema importante ma non essenziale per lo sviluppo del Paese. Non sufficiente, comunque, a dare il suo via libera a Luigi Di Maio premier, uno schiaffo oltre che a lei a tutti i suoi elettori. Perché lei, glielo ricordo, è il leader del più forte e importante schieramento politico italiano, tra i primi in Europa. Ci pensi, se ancora è in tempo, almeno a togliere dal programma – pardon, dal contratto – tutto ciò che va contro gli interessi e la visione di chi l’ha portata fino a qui.

IL GIORNALE

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