Caso Consip, i giudici: «Nessun complotto per colpire Renzi»

Tre giudici del tribunale del Riesame sconfessano la Procura di Roma e il giudice dell’indagine preliminare che avevano sospeso dal servizio l’ex capitano del Noe dei carabinieri Gianpaolo Scafarto, inquisito per falso, depistaggio e violazione di segreto nell’inchiesta sugli appalti Consip. Non c’è alcuna prova che l’ufficiale dell’Arma (nel frattempo promosso maggiore per un automatismo di carriera) abbia manipolato l’informativa indirizzata ai magistrati per danneggiare Tiziano Renzi e di conseguenza suo figlio Matteo; ha commesso degli errori, come tante volte accade, senza la volontà di nuocere all’ex premier. Né è dimostrato che abbia voluto eliminare le tracce del proprio comportamento con la manomissione del telefonino del suo superiore.

Un ribaltamento delle tesi dell’accusa pressoché totale, che riscrive un pezzo importante della storia dell’indagine Consip; almeno per il momento, giacché la Procura farà ricorso in Cassazione e c’è da ritenere che non sarà l’ordinanza del Riesame a modificare le convinzioni dei pubblici ministeri. Tuttavia Scafarto ha vinto una battaglia importante, per se stesso e per rintuzzare i sospetti di «indirizzo politico» che gravano sul lavoro svolto quando il fascicolo era gestito dalla Procura di Napoli.

Il giudice romano Gaspare Sturzo che aveva ordinato l’interdizione per un anno accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del sostituto Mario Palazzi, parlò di «volontario travisamento della verità» e «mistificazione delle evidenze» da parte del carabiniere; e i pm — riferisce il tribunale — hanno «esplicitamente espresso la convinzione che Scafarto abbia avuto la finalità di dimostrare il coinvolgimento di Tiziano Renzi e l’interesse a interferire nelle indagini da parte del figlio Matteo, allora presidente del Consiglio». Ma questo, secondo i magistrati che hanno accolto l’appello degli avvocati difensori Giovanni Annunziata e Attilio Soriano, non è dimostrato. Non c’è stato alcun complotto contro Renzi, padre o figlio che sia .

Uno degli elementi d’accusa è l’attribuzione all’imprenditore Alfredo Romeo della famosa frase «l’ultima volta che ho incontrato Renzi», nonostante altri investigatori del Noe avessero chiarito a Scafarto che a pronunciarla fu l’ex parlamentare Italo Bocchino. Ma per il Riesame quell’intercettazione è «un dato oggettivo di tale evidenza che non avrebbe avuto alcuna possibilità di passare inosservato, come in effetti è accaduto», e dunque «le evidenze istruttorie consegnano una realtà diversa, che induce a propendere per l’errore involontario». Anche perché, in ogni caso, l’interpretazione di Scafarto «poco avrebbe apportato al suo intento di “inchiodare Tiziano Renzi alle sue responsabilità”», come scrisse nell’informativa.

Esaminando uno ad uno gli indizi accumulati dai pm, senza la lettura unitaria suggerita dall’accusa, i giudici smontano anche la storia del presunto interesse dei servizi segreti all’indagine Consip; nelle conclusioni di Scafarto era la dimostrazione che l’ex premier Renzi aveva «messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia», tacendo di aver accertato che le persone sospette non erano 007, bensì ignari cittadini. Per il tribunale, invece, sarebbe «singolare» che un pubblico ufficiale dichiarasse per iscritto la propria «finalità perseguita attraverso la commissione di un falso». Dunque «è certamente verosimile che l’indagato abbia deciso di eliminare dall’informativa alcuni dati che, in quanto non utili alle indagini, risultavano irrilevanti».

Ma c’è di più. Il Riesame sottolinea che in un altra circostanza fu proprio Scafarto a correggere l’interpretazione di una frase intercettata evitando di tirare in ballo Marco Carrai, stretto amico di Renzi: «La vicenda è decisamente rilevante, perché smentisce la tesi dell’accusa in ordine alla volontà dell’indagato di coinvolgere nella vicenda Consip l’allora presidente del Consiglio».

Il depistaggio sarebbe insussistente poiché la presunta manomissione di un telefonino per cancellare le tracce di vecchie comunicazioni avvenne alla presenza di altri carabinieri, e «il buon senso induce a ritenere» che ciò sia «altamente improbabile». E pure l’invio di atti d’indagine ad alcuni ufficiali transitati dal Noe ai servizi segreti (fra cui l’ex capitano Ultimo) perde valore «attesa la qualità dei soggetti ai quali sono stati trasmessi i files riservati».

CORRIERE.IT

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