Il non-premier Di Maio porta in scena la realtà virtuale dei non-ministri

mattia feltri
roma

Che bello: siamo qui ad assistere a una cosa che non esiste. C’è un candidato premier che non è candidato premier che presenta un governo che non è un governo. Non è candidato premier (esattamente come ogni altro candidato premier, da Matteo Salvini a Matteo Renzi) poiché la legge elettorale non prevede candidati premier, e tantomeno col proporzionale. Così Luigi Di Maio non sarà premier, a meno che il Movimento non oltrepassi il 40 per cento dei voti, evento piuttosto improbabile, e il suo governo non sarà mai il governo. Però Di Maio ha già mandato via e-mail la lista dei ministri che non saranno ministri al presidente della Repubblica, che non l’ha letta. Anche perché i ministri non li nomina il premier soprattutto se non è un premier, e a maggior ragione prima delle elezioni, ma li nomina il presidente della Repubblica soprattutto se è effettivamente un presidente della Repubblica, ed è il caso di Sergio Mattarella, unico protagonista della vicenda che riveste una carica e non un’aspirazione.

 Ma non è un grosso problema, è soltanto l’epilogo esoterico di una campagna elettorale da realtà aumentata, durante la quale non si è discusso di altro che di cose che non esistono. Ecco, non è un’esclusiva di Di Maio. Si è discusso di coperture che non esistono su promesse che non esistono, dal momento che tutti (i sani di mente) sanno che non saranno mantenute.

Si è discusso di aliquote fiscali che non esistono, abolizioni di tasse che non esistono, deportazioni di migranti che non esistono, mondi palingenetici che non esisteranno almeno per un paio di secoli. E dunque perché no? Perché non venire qui a scrivere questo non articolo su questo non premier e il suo governo? In fondo è stata una bella scampagnata, fino all’Eur, la location preferita del berlusconismo champagne degli anni passati, e nel Salone delle Fontane dove nel 2014 si organizzò una cena di autofinanziamento del Pd con Matteo Renzi. Del resto è un altro Movimento, questo. Ha il leader, il capo politico, persino premier e governo. Si è ritagliato un pomeriggio molto istituzionale, senza bandiere grilline, soltanto tricolori e uno sfondo blu di Prussia, un abbondante gruppo di sostenitori o iscritti o scherani, tutti molto gentili, che hanno tradotto la metamorfosi in una mise molto dimaiana, vestito blu Savoia e cravatta tinta unita, preferibilmente blu Tenebra.

 

Ecco la perfezione della democrazia dal basso molto elevata, almeno nelle ambizioni, in democrazia dal capo: tutti i ministri scelti da lui, in una commovente e apprezzabile esibizione di competenze. Addio all’intronizzazione della casalinga di Voghera. Docenti di stratigrafia e cronologia (Mauro Coltorti, Infrastrutture), dirigenti dell’Associazione italiana qualità della vita (Filomena Maggino, Sviluppo sostenibile), membri del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Giuseppe Conte, Pubblica amministrazione), vicedirettori e coordinatori di master di intelligence (Elisabetta Trenta, Difesa), recordman di pubblicazioni economiche (Andrea Roventini, Ecomomia e finanze). Lo si scrive senza nessunissima ironia, specialmente perché i non ministri appena elencati posseggono titoli più numerosi di quelli qui elencati, e vale per ognuno dei non ministri. Tranne l’olimpionico Domenico Fioravanti, sono ignoti, il che non significa che siano scarsi. Lo si sottolinea con buona volontà nonostante qualcuno di loro venga da università marginali, oltreché suscettibili, se le si definisce tali.

 

Per assegnare alla vicenda tutto il rilievo che merita, si ometterà il primo parodistico impatto di Di Maio con un «qualora», seguito da un tempo verbale inadeguato. Si segnalerà, giusto per diritto di critica, che il non ministro alla Giustizia, Alfonso Bonafede (ecco, qui i titoli sono già più fragili: ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto privato), ha promesso di ridurre i tempi della giustizia bloccando la prescrizione al momento del rinvio a giudizio, e giurando contro le leggi della fisica che così si farà prima. Ma per il resto era anche difficile valutare la portata del rivolgimento, siccome i non ministri avevano a disposizione solo qualche minuto per illustrare i progetti rivoluzionari. Così ne sono usciti molti slogan carezzevoli, la giustizia è uguale per tutti, meno finanza più economia reale, più energia pulita, una svolta per il turismo, lotta alla metastasi del sistema sanitario, sicurezza partecipata (questo già più indecifrabile, del non ministro dell’Interno Paola Giannetakis), riscrivere la Buona scuola (capolavoro di Salvatore Giuliano, dirigente scolastico che la Buona scuola ha collaborato a scriverla coi precedenti governi, e alla fine gridò a Renzi: «Presidente, la scuola è con lei»). Ma, davvero, non si vuole infrangere l’idillio. Là dietro, sullo sfondo alle spalle dei non ministri, c’era scritto Italia 2018-2023. Il governo che non esiste ci crede e sa che durerà per l’intera legislatura. In fondo è il giorno dell’impossibile che Di Maio aveva inaugurato così: «Presentiamo il nostro governo, una cosa che non è mai stata fatta nella storia della Repubblica». Ecco, infatti.

 

 

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LA STAMPA

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