Bombe in Siria e sfida all’Eni. Erdogan ha perso il controllo

A un mese esatto dall’avvio dell’operazione Ramo d’ulivo, con cui la Turchia è tornata a colpire nel nord della Siria, in un’operazione di contrasto alle milizie curde che controllano il cantone di Afrin dal 2012, lo scenario sembra farsi sempre più critico e complesso, con i caccia di Erdogan che tornano in azione per colpire la strada che porta alla città tenuta dalle milizie Ypg/Ypj.

È una chiara risposta a un tentativo di intesa tra i lealisti di Assad e i curdi quello di Erdogan, che nell’alleato degli Stati Uniti vede un pericolo alla sicurezza nazionale da sconfiggere, per evitare che uno pseudo-stato ideologicamente vicino alle posizioni del Pkk possa formarsi appena oltre la frontiera turco-sirana.

Proprio sulla via per Afrin transitano le unità militari di Damsco, pronte a sostenere la resistenza curda sotto la minaccia dei soldati di Ankara e delle forze ribelli che li sostengono nell’avanzata.

L’assertività di Erdogan, che oggi ha messo in chiaro che intende assediare Afrin per impedire che i lealisti di Assad possano giungere in aiuto dei curdi, è soltanto uno degli scenari preoccupanti al centro dei quali si è messo il presidente turco, che da giorni tiene bloccata nelle acque di Cipro la Saipem 1200, nave affittata dall’italiana Eni per esplorazioni nella zona economica cipriota, che ad Ankara ritengono parte della piattaforma continentale turca.

Oggi l’annuncio che le operazioni militari nell’Egeo proseguiranno ancora, fino al prossimo 10 marzo, non consentendo alla nave bloccata da giorni di muoversi e segnalando che il Sultano di Ankara non ha ancora ottenuto quello che voleva in negoziati che vanno avanti da giorni e che continueranno sottotraccia fino a che non si sbloccherà la situazione.

IL GIORNALE

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