La verità su Giulio Regeni resta affare di Stato

 MARIO CALABRESI

Esattamente due anni fa alle 19.41, era la sera di lunedì 25 gennaio 2016, Giulio Regeni inviò l’ultimo sms della sua vita. Poi sarebbe entrato nella metropolitana del Cairo per scomparire. Il suo corpo torturato è stato trovato ai margini dell’autostrada solo nove giorni dopo, il 3 febbraio.

L’indagine sul rapimento e l’omicidio di Regeni non ha precedenti nella storia italiana: si tratta di accertare la verità su un delitto commesso al Cairo. Un delitto che coinvolge gli apparati dello Stato egiziano: sicuramente hanno sorvegliato Giulio e hanno depistato le indagini sulla sua morte, con la macabra messinscena degli oggetti personali fatti ritrovare dopo l’uccisione di alcuni piccoli criminali. Esistono gravi indizi anche sulla loro responsabilità nella scomparsa, nelle torture e nell’uccisione. Ma non ha precedenti neppure la mobilitazione nazionale per dare verità e giustizia a questo ragazzo, alla sua famiglia e al nostro Paese, un impegno che Repubblica si onora di portare avanti ogni giorno.

Le indagini della nostra magistratura proseguono a singhiozzo, tra mille difficoltà. Ma dei punti fermi — come sottolinea oggi il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone — ora li abbiamo: sono stati respinti i depistaggi e le calunnie, sono stati individuati i traditori, è emerso il movente e insieme a questo le chiare responsabilità degli apparati di sicurezza egiziani. In questo contesto non possiamo dimenticare che la situazione politica egiziana è straordinaria. Il presidente Al Sisi è stato insediato da un golpe militare e il quadro delle prossime elezioni non sembra promettere un ritorno alla democrazia (si pensi soltanto che l’unico sfidante di rilievo del generale è stato arrestato due giorni fa).

Proprio per questo la ricerca della verità è un affare di Stato: solo la pressione continua e costante del governo italiano sul Cairo può permettere di arrivare a punire i responsabili. Non ci sono alternative.
Noi restiamo scettici sulla decisione ferragostana di rimandare l’ambasciatore. I tempi della giustizia sono lunghi in tutto il Mediterraneo, ma non ci sembra che la scelta di Gentiloni e Alfano abbia garantito la minima accelerazione. E restiamo scettici sul mancato coinvolgimento dell’Unione europea, che ancora una volta si mostra incapace di coordinare le linee di azione diplomatiche: Giulio era un figlio dell’Europa, esponente di quella generazione senza confini nata con l’Erasmus.

E in questa campagna elettorale è importante che l’Italia mantenga un’azione compatta sull’Egitto, con l’impegno dei leader dei principali schieramenti a portare avanti la ricerca della verità senza distinzioni, furbizie o cedimenti alla ragione di Stato. Mettendo da parte iniziative ambigue, strumentalizzazioni politiche o imbarazzanti silenzi. Di qualunque colore sarà il prossimo governo dovrà impegnarsi per tenere la luce accesa, ottenere giustizia e tutelare la dignità non solo di Giulio, ma dell’Italia. Gli occhi di una famiglia, di tanti cittadini e di questo giornale non si abbasseranno finché non vedremo la verità.

REP.IT

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