Prime due scimmie clonate con la stessa tecnica usata per Dolly

Le due scimmiette clonate (Qiang Sun and Mu-ming Poo, Chinese Academy of Sciences ) Le due scimmiette clonate (Qiang Sun and Mu-ming Poo, Chinese Academy of Sciences )

Si chiamano Zhong Zhong e Hua Hua, le prime due scimmie al mondo clonate con la tecnica della pecora Dolly. La loro nascita è annunciata sulla rivista Cell dall’Istituto di neuroscienze dell’Accademia cinese delle scienze a Shanghai e apre alla possibilità di ridurre il numero di primati usati nella sperimentazione animale. La svolta arriva 19 anni dopo la prima clonazione di un primate, la femmina di macaco Tetra, ottenuta negli Stati Uniti con la scissione dell’embrione, una tecnica che imita il processo naturale all’origine dei gemelli identici.

Zhong Zhong e Hua Hua sono invece gli unici primati clonati con la tecnica di Dolly, cioè il trasferimento del nucleo di una cellula dell’individuo «da copiare» in un ovulo non fecondato e privato del suo nucleo. Finora ogni tentativo sulle scimmie era fallito perché i nuclei delle loro cellule differenziate contengono geni che impediscono lo sviluppo dell’embrione.

I ricercatori cinesi li hanno riattivati con interruttori molecolari ad hoc. «Questa tecnica consente per la prima volta di generare numerosi esemplari di primati geneticamente omogenei fra loro», ha spiega all’agenzia Ansa Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e segretario generale di Research4life. «Ciò — rileva — permetterà di ottenere risultati sperimentali più affidabili e facilmente riproducibili: riducendo la variabilità e l’errore statistico si ridurrà anche il numero di campioni necessari per fare le misure e, di conseguenza, il numero di animali sacrificati per ogni singolo esperimento».

«Sono d’accordo con il collega del Mario Negri» aggiunge Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di Pavia e Accademico dei Lincei. «Sarà importante per la ricerca avere a disposizione animali geneticamente identici più vicini all’uomo, come ora accade per esempio con i topi. Ciò permetterà di eliminare variabili inevitabili negli animali riprodotti naturalmente». «È anche una buona notizia in prospettiva per la preservazione di razze animali in via di estinzione» continua Redi, che però precisa: «Ma la cosa più importante a mio avviso è un’altra ancora, e cioè il fatto che se i ricercatori cinesi sono riusciti a ottenere questo risultato significa che sono riusciti a identificare i meccanismi che consentono di “accendere” o “spegnere” determinati geni per fare in modo che una cellula somatica, come i fibroblasti che hanno utilizzato loro, possa essere messa in condizione di “tornare” a uno stato tale da potere essere indirizzata a uno sviluppo diverso». «L’importanza di questo aspetto è straordinario» continua l’esperto, «perché l‘epigenetica, cioè quanto interviene sul Dna per condizionarne il comportamento è qualcosa che riguarda tutti noi, e condiziona lo sviluppo di molte malattie. Capire in che modo l’ambiente interviene sul Dna e come lo modifica in modo tale da farci ammalare, è quanto ci interessa di più oggi. Così agiscono il fumo per i tumori, o gli zuccheri eccessivi eccetera» «Unico limite che mi sembra di ravvisare da quanto è stato comunicato finora è che il risultato è stato ottenuto su fibroblasti fetale, quindi con una differenziazione probabilmente non ancora completa, ma ciò non toglie che sia un risultato importante»

Preoccupazioni

Preoccupazioni sono state espresso dal cardinale Elio Sgreccia, teologo e storico portavoce del Vaticano sui temi della bioetica: «Una minaccia per il futuro dell’uomo — ha commentato il presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita all’agenzia Adnkronos in riferimento alla notizia della clonazione di due scimmie in Cina. «Al contrario della ipotesi di clonazione umana, sulla quale la Chiesa non può che esprimere la sua condanna più forte e totale, sulla clonazione animale il magistero ecclesiastico non ha finora espresso una condanna esplicita, ufficiale, lasciando il tema alla valutazione responsabile degli scienziati», ha precisato il cardinale. «Non c’è dubbio che il passaggio dalla prima pecora Dolly ad altri animali e ora persino alla scimmia, ovvero a un primate così vicino all’uomo, rappresenta un autentico attentato al futuro dell’intera umanità. C’è il fortissimo rischio che la clonazione della scimmia possa essere considerato come il penultimo passo, prima di arrivare alla clonazione dell’uomo, evento che la Chiesa non potrà mai approvare». «La vita umana non è stata programmata per essere attivata con sistemi di tipo artificiale ma dall’incontro di due gameti, uno dell’uomo e l’altro della donna» ha detto dal canto suo il genetista e direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, Bruno Dallapiccola, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, commentando la clonazione di due scimmie, Zhong Zhong e Hua Hua, con la tecnica della pecora Dolly. «La notizia è attendibile – ha aggiunto Dallapiccola – perché lo dice l’autorevolezza di una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo. Siamo sicuri che non è un falso allarme. La clonazione di una scimmia significa aver clonato un animale che è il più vicino all’uomo. Tutto questo apre ad una strada completamente nuova». «L’aver ripreso questo tipo di ricerca – ha proseguito Dallapiccola – è una notizia importante anche per le ricadute pratiche, avere due animali identici con lo stesso profilo genetico può servire alla sperimentazione farmacologica. È chiaro che tutto questo riaccende drammaticamente il problema del dibattito etico perché siamo alla vigilia di una possibilità teorica di clonare anche l’uomo, con tutte le ricadute che ne derivano». «Il dibattito che è stato attivato alla fine degli anni 90 – ha concluso Dallapiccola – rimane acceso perché è difficile capire fino a che punto il ricercatore è capace di mettere un limite alla propria ricerca. Ricordiamo che la pecora Dolly è morta di malattia quindi il soggetto clonato potrebbe avere qualcosa che ancora oggi non sappiamo ben definire».

CORRIERE.IT

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