Così la scuola sforna studenti sempre più analfabeti

La scuola italiana produce analfabeti. Persone che non sanno comprendere un breve testo letterario e non sanno fare semplici operazioni matematiche.

Soprattutto nelle scuole del Sud la situazione è drammatica, al limite dell’emergenza vera e propria: gli studenti liceali delle scuole del Mezzogiorno hanno competenze matematiche inferiori rispetto agli immigrati di seconda generazione che studiano nelle scuole del nord. Con queste premesse è ovvio che, finiti i 5 anni delle superiori, pochissimi riescono a laurearsi.

Per numero di laureati siamo, tra i Paesi Ocse, quartultimi prima solo di Turchia, Indonesia e Austria: appena il 23,56% degli uomini e delle donne tra i 25 e i 34 anni ha una laurea in mano rispetto ad una media Ocse del 41,46% (dati 2014). In Europa (dati 2016) siamo penultimi prima solo della Romania.

Se si guardano con attenzione i numeri pubblicati dal sito Truenumbers.it sullo stato dell’educazione in Italia si resta annichiliti dallo sconforto e, soprattutto, si resta impressionati di come il problema della preparazione scolastica sia uno dei grandi tabù dell’informazione e del dibattito politico. Ma proprio questi dati, spietati, fanno capire il motivo per il quale la stragrande maggioranza del mondo della scuola (studenti ma soprattutto insegnanti) non vogliano attribuire ai test Invalsi nessuna autorevolezza e si sia arrivati addirittura al loro boicottaggio. Il motivo è che i test Invalsi dimostrano il crack del sistema scolastico nazionale del quale nessuno ha interesse a parlare. Anche perché bisognerebbe rispondere alla semplice domanda: come mai siamo il quarto Paese più ignorante tra i Paesi Ocse dopo Indonesia, Cile e Turchia? Come mai il 38,03% degli italiani adulti non riescono a comprendere il significato di un breve testo o compiere elementari operazioni matematiche? Esclusa l’ipotesi dell’inferiorità genetica, resta solo una spiegazione: la scuola produce analfabeti.

E li produce soprattutto nel Mezzogiorno. Vediamo perché. I test Invalsi del 2017 sulla capacità di comprensione di un testo da parte di ragazzi che frequentano la seconda superiore, hanno fissato in 200 la media dei risultati delle scuole italiane, ma con differenze regionali spaventose. In pratica le scuole delle Regioni del Nord hanno punteggi superiori alla media mentre le scuole delle Regioni del Sud hanno punteggi inferiori alla media.

Essendo test che non prevedono alcun giudizio discrezionale, ma solo la verifica delle risposte (sì/no, giusto/sbagliato) è chiaro che il fattore umano non c’entra e che i test dimostrano il drammatico ritardo delle scuole delle Regioni del Mezzogiorno. Ritardo che è confermato se si confrontano i risultati raggiunti dai ragazzi che frequentano la seconda classe delle scuole superiori settentrionali (pubbliche e private, licei e istituti tecnici) i cui padri sono immigrati con quelli dei ragazzi nativi italiani del Sud. Risultato: sono più bravi i figli degli immigrati.

Di fronte a un dramma educativo di queste dimensioni, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli continua a dare segnali profondamente contraddittori: da una parte intende sperimentare «il liceo in 4 anni», dall’altra si è detta favorevole a porre l’età della scuola dell’obbligo a 18 anni. I titoli sui giornali sono assicurati, ma il problema del disastro scolastico è molto antecedente al liceo. Se si confrontano i dati dei test Invalsi realizzati sui ragazzi di terza media nel 2016 con quelli realizzati nel 2015 si scopre che i ragazzi che frequentano la terza media nel 2015 hanno prodotto risultati migliori di quelli che l’hanno frequentata l’anno successivo, sia in italiano che in matematica.

Tenendo anche conto di possibili errori statistici o di rilevazione, è impressionante che i ragazzi toscani del 2016 abbiano, in matematica, un punteggio inferiore di 12,04 punti rispetto ai ragazzi dell’anno prima. O che nel 2016 i ragazzi delle «terze medie» calabresi siano il 16,45% meno competenti in matematica e il 10,41% meno competenti in italiano, rispetto ai loro colleghi che erano in terza media nel 2015. Il miglioramento più significativo, tra i pochissimi che i test hanno rilevato, c’è quello dei ragazzi che hanno frequentato la terza media in Molise nel 2016: in italiano sono più bravi del 7% rispetto ai loro predecessori. Per il resto il disastro è scritto nei numeri.

IL GIORNALE

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