Concorrenza e leggi bloccate da veti e inerzia

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

La trattativa in corso tra il governo e la Commissione europea è surreale. Sembra quasi che i problemi di un Paese che da vent’anni non cresce dipendano dalla decisione di riallocare due o tre miliardi di euro in un bilancio, quello delle Amministrazioni pubbliche, in cui le spese superano gli ottocento miliardi. Qualcuno pensa davvero che da qui passi la ripresa della nostra economia?

Cerchiamo di mantenere il senso delle priorità. Scriveva lunedì sul Corriere Paolo Mieli: «Se si desidera che la legislatura duri fino all’inizio del 2018, le si devono dare traguardi realistici, credibili e ambiziosi in campi diversi da quello delle tecniche di voto». Eccone uno molto importante e dimenticato.

La legge numero 99 del 23 luglio 2009 prevede che ogni anno il governo proponga al Parlamento misure volte a promuovere la concorrenza, accogliendo le segnalazioni dell’Autorità antitrust. Questa legge è stata rispettata solo una volta: dal governo Renzi che inviò al Parlamento un disegno di legge sulla concorrenza nel febbraio 2015. Sono trascorsi due anni, durante i quali la legge è rimbalzata dalla Camera al Senato, da una commissione a un’altra, e via via è stata annacquata con grande soddisfazione di tutti coloro cui quelle norme toglierebbero qualche privilegio. Al momento è ferma in Senato da agosto e la discussione dovrebbe riprendere nell’ultima settimana di febbraio.

L’articolo 72 delle modifiche alla Costituzione bocciate dai cittadini prevedeva: «Il Governo può chiedere alla Camera di deliberare che un disegno di legge, indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo, sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso il termine, il testo proposto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo». Con questa norma la legge sulla concorrenza non si sarebbe arenata.

«Dobbiamo andare veloci» disse il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda (responsabile dei temi legati alla concorrenza) il 19 maggio dello scorso anno. Nulla sinora è accaduto. Il ministro invece pare occupatissimo da «una difesa più assertiva degli asset economici nazionali strategici» (immaginiamo si riferisca a Mediaset e a Generali) senza spiegare perché siano strategici e se lo Stato abbia i mezzi per «difenderli». Meglio sarebbe se il ministro Calenda preparasse un emendamento alla legge sulla concorrenza per includervi norme volte a liberalizzare i servizi pubblici locali, aprendo quel mercato a imprenditori privati — ovviamente con contratti ben scritti e strumenti per farli osservare. Una norma che cancellerebbe automaticamente le poltrone di migliaia di politici che oggi siedono nei Consigli di amministrazione delle aziende municipali.

Gli interventi sulla concorrenza non sono gli unici ad essere fermi. La riforma della Pubblica amministrazione è stata mutilata in punti importanti dalla Corte costituzionale: un po’ per la sprovvedutezza della ministra Madia, che si è scordata di consultare le Regioni, ma in realtà perché la casta dei funzionari pubblici è riuscita a bloccare un provvedimento che avrebbe cancellato alcuni loro privilegi. Speriamo che la ministra Madia si stia adoperando per correggere i suoi errori e riproporre la legge. Analoga la sorte di alcune norme che consentono la trasformazione delle banche popolari in società per azioni, anch’esse bloccate dal Consiglio di Stato per una questione procedurale. Dovrebbe essere materia per il ministro Padoan oltre che discutere febbrilmente con Bruxelles dei tre miliardi.

Riformare è difficile ovunque, soprattutto in Italia. Ci vuole tempo, tenacia, pazienza e la determinazione a non arrendersi al primo ostacolo. Forse i ministri del governo Renzi si erano illusi che tutto fosse facile vista la «miracolosa» approvazione della riforma del mercato del lavoro. Ma facile non è. Il governo Gentiloni invece di moltiplicare gli sforzi pare essersi arenato in una tranquilla siesta. Tutto sembra troppo difficile e quindi si sopravvive, discutendo del nulla con Bruxelles. Matteo Renzi avrà fatto molti errori, ma almeno durante il suo mandato si percepiva una determinazione riformista che ora pare spenta e sepolta.

CORRIERE.IT

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