Paolo Russo
ROMA. La crescita dei contagi non vuol saperne di rallentare e
ora anche i ricoveri sembrano aver imboccato una salita più ripida.
Così con questo quadro epidemiologico difficilmente il 1° luglio nei
luoghi di lavoro privati vedremo i lavoratori riporre in tasca
l’amata-odiata mascherina. Anzi, quasi sicuramente non saranno nemmeno
più liberi di scegliere se indossare le meno ostiche chirurgiche, perché
l’obbligo dovrebbe restare e riguardare le più protettive Ffp2, che con
il caldo diventano però più dure da indossare per un intero turno di
lavoro. Anche se a doverle tenere davanti a naso e bocca non saranno
indistintamente tutti i lavoratori e gli esercenti di negozi, bar e
ristoranti, ma soltanto coloro che nello svolgere la loro attività non
riescano a mantenere la distanza di sicurezza. Oggi fissata a un metro,
ma che con il ritorno di sempre più lavoratori all’attività in presenza
potrebbe essere portata a due metri. Questo perché Omicron contagia non
solo con il droplet, le goccioline che emettiamo da naso e bocca
tossendo, starnutendo o magari solo parlando, ma anche attraverso
l’aerosol, ossia le minuscole particelle che restano per molto tempo
nell’aria con il semplice respirare. L’obbligo resterebbe anche per
coloro che lavorano a diretto contatto con il pubblico, come baristi,
camerieri, sportellisti senza protezione in vetro o plexiglas, ma anche i
cuochi o chi comunque maneggi cibo e quant’altro entri poi a diretto
contatto con clienti e utenti.
La decisione dovrebbe essere presa già oggi, quando i rappresentanti
di imprese, sindacati e governo torneranno a riunirsi per decidere come
aggiornare i protocolli di sicurezza nei luoghi di lavoro privati, in
scadenza il prossimo 30 giugno. Mentre nel settore pubblico fa sempre
fede la circolare Brunetta di due mesi fa, che per i travet ha già
trasformato l’obbligo in raccomandazione. Anche se da quel che risulta
in molti ministeri, enti locali e aziende pubbliche i capi ufficio hanno
continuato a chiedere agli impiegati di indossare gli strumenti di
protezione. Un modo anche per proteggersi da sgradite ed esose richieste
di risarcimento, visto che l’Inail già da tempo ha equiparato il
contagio da Covid a infortunio sul lavoro. E lo stesso spauracchio
induce alla prudenza i datori di lavoro privati, mentre i sindacati
all’ultimo incontro della scorsa settimana sono apparsi divisi, con la
Cgil favorevole alla linea dell’auto-responsabilizzazione e le altre
sigle per mantenere invece un atteggiamento di maggior prudenza. Certo,
anche senza obbligo i datori di lavoro potrebbe chiedere ai propri
dipendenti di indossarla, ma senza il «cappello» del protocollo
sottoscritto con il governo poco potrebbero davanti a un rifiuto. Anche
perché la multa da 400 a mille euro è andata in pensione dal 1° maggio,
allo scadere del precedente decreto sulle misure anti-Covid.
Che si vada verso una conferma delle Ffp2 nei luoghi di lavoro del
settore privato lo confermano poi i numeri di ieri, con 48.456 contagi
contro i 56.386 di sabato, ma rilevati con molti meno tamponi, tanto che
il tasso di positività si è impennato di un nuovo 3,4% portandosi così
al 25,3%, che è come dire un positivo ogni 4 test eseguiti. E che la
curva dei contagi continui a salire lo conferma il confronto con i
numeri di una settimana fa, quando di casi se ne erano contati ben
18mila in meno.
A decidere che estate passeremo è però soprattutto la curva dei
ricoveri. Che sale in particolare nei reparti di medicina, dove in 10
giorni hanno finito per essere occupati da pazienti Covid 1.229 letti in
più. Un aumento del 28,5% che al momento non desta preoccupazione,
visto che ieri il tasso di occupazione dei letti era all’8,6%, ben
distante dalla prima soglia d’allarme che è del 15%. Già superata però
da tre Regioni: Calabria (con il 16,5%), Sicilia (19,5) e Umbria (19,3).