Archive for Maggio, 2022

Perché a destra tutto congiura per Meloni

lunedì, Maggio 30th, 2022

Alessandro De Angelis

La situazione, complice l’altrui goffaggine, congiura a suo favore. Anche durante l’intervista a Vespa in masseria, Giorgia Meloni si è limitata a dire (e sta all’opposizione), che se uno vuole andare a Mosca dovrebbe quantomeno avvisare il premier, per non rendere fragile l’immagine dell’Italia. È l’abc ma, di questi tempi, pare una statista in quel circo. L’uno (Salvini) è diventato una sorta di re Mida al rovescio, che produce distacco da tutto quello che tocca (compreso il referendum sulla giustizia), l’altro (Berlusconi) è una caricatura tardo sovietica di sé. Il paradosso di Giorgia è questo: gli alleati sono la sua polizza a vita, perché le assicurano una facile crescita, senza tanti sforzi. Basta un po’ di coerenza, un po’ di pragmatismo femminile (vuoi mettere che combina il testosterone), l’arte dell’attesa. Se, dopo aver fatto dimenticare le braccia alzate di Fidanza, mettesse mano alla classe dirigente, il vero limite, il gioco è fatto. Ma al tempo stesso la polizza di oggi è una zavorra perché, il minuto dopo il voto, la coalizione, già sfasciata oggi, inizierebbe a litigare.

Crescere per crescere o rischiare un’operazione politica? Questo il dilemma. Secondo il sondaggio dell’infallibile Ghisleri, Fdi, in coalizione, è attorno al 22 per cento ma, se andasse da sola, potrebbe arrivare al 24,9. E la suggestione della corsa solitaria gira in quel partito. È però destinata a rimanere lì, visto che nell’altro campo lavorano per l’ammucchiata. Servirebbe una legge elettorale, ma la Meloni non ha alcuna intenzione di affrontare il tema, perché la esporrebbe all’accusa di “inciucio”, e poi si è capito che nessuno la vuole cambiare. Guido Crosetto, tra i suoi più ascoltati collaboratori, le ha consigliato di rompere lo schema. Dentro la Lega, non è un mistero, Giorgetti, Zaia e Fedriga vorrebbero fare una sorta di Lega 2.0 ma, al momento, nessuno ha il fisico per sfidare apertamente Salvini. Quel che resta di Forza Italia è irriformabile. La mossa suggerita è un’Opa ostile: “Rifacciamo una cosa tipo Pdl, nello spirito, per coprire spazi che gli alleati non coprono più”. Consiglio alla base della convention di Milano con Tremonti, Pera, Nordio. Si sa, come sempre accade quando un partito ha il vento in poppa, da quelle parti c’è la fila di gente che vorrebbe entrare. Però lei nicchia, ce l’ha nelle corde ma fino a un certo punto perché depotenzierebbe la sua forza anti-establishment con volti vecchi.

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“Bisogna evitare che la Russia diventi strumento della Cina”

lunedì, Maggio 30th, 2022

Anna Maria Greco

Giornate vorticose di campagna elettorale per le amministrative, dai Comuni in Lombardia a quelli nel Lazio, per Antonio Tajani. Il vicepresidente e coordinatore nazionale di Forza Italia è appena tornato a Roma e pronto a ripartire per Rotterdam, dove parteciperà al Congresso del Partito popolare europeo.

Che aria tira in giro per l’Italia, verso il voto?

«Ho trovato un grande entusiasmo attorno al simbolo di Fi e per il centrodestra. Sono soddisfatto perché vedo la volontà di tornare alle urne di tanti che erano rimasti a casa e ora ritrovano fiducia. I sondaggi sono positivi e ci attribuiscono percentuali superiori alle ultime amministrative, considerando che rispetto alle politiche siamo sempre più bassi per la presenza di liste civiche».

Però i giornali parlano di divisioni interne, di malumori…

«In realtà, divisioni interne sulla linea politica non ne vedo e questo è l’importante. Tutta Fi si ritrova attorno alla linea di Silvio Berlusconi, senza tentennamenti, per quanto riguarda il sostegno al governo Draghi come la condanna della guerra in Ucraina, la posizione legata all’Europa e all’Occidente, l’impegno a perseguire la pace con ogni mezzo della diplomazia. Ci possono essere divergenze di idee su alcuni aspetti, ma non sulla linea politica. E che ci sia unità lo dimostra anche il modo come è stato accolto Berlusconi a Napoli, dopo Roma, tra migliaia di partecipanti che lo applaudivano quando ha annunciato la sua partecipazione attiva alla campagna elettorale e ha ripetuto da che parte stiamo sulla guerra in Ucraina».

Ma il «problema Gelmini», emerso proprio a Napoli, è stato superato?

«Berlusconi rappresenta l’unità del partito, è il leader dal 94 e vuole essere protagonista di una nuova stagione politica. Guarda al futuro con una classe dirigente più giovane che può proseguire il lavoro. Confronti personali ci possono sempre essere, ma non mettono a repentaglio l’unità interna. Non credo siano veri problemi, solo questioni fisiologiche, disaccordi sul cambio di un coordinatore regionale in Lombardia, tutte cose che si superano. Anch’io in passato sono stato sostituito come coordinatore regionale nel Lazio, eppure sono ancora qua. Da noi, c’è sempre spazio per tutti».

Parlava di sondaggi positivi, Fi è data tra l’8 e il 10%, ma il vostro obiettivo qual è?

«È sempre qualcosa in più. Berlusconi ha detto che dobbiamo puntare al 20% per le prossime politiche e con lui alla guida della campagna elettorale possiamo dimostrare che siamo riusciti a difendere le nostre idee nel governo, con risultati positivi sul catasto, garantendo che non ci saranno aumenti di tasse sulla casa, e sul compromesso raggiunto sui balneari».

Il 12 giugno oltre al voto amministrativo ci sarà quello sui referendum per la giustizia e voi siete schierati per il Sì.

«Siamo impegnati anche su questo fronte, ma attenti ad evitare strumentalizzazioni quindi non con simboli di partito. Certo, il fatto che si voti un giorno solo non aiuta e speriamo ci sia partecipazione».

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Spirito italiano

lunedì, Maggio 30th, 2022

Augusto Minzolini

Spirito italiano

Per evitare che qualche bounty killer a caccia di putiniani mi metta nel mirino dico subito che è giusto accettare un compromesso con la Russia solo se convincerà l’Ucraina. Come pure sono convinto che sia stato giusto, e lo sia ancora, fornire Zelensky e i suoi di armi, per non confondere una giusta pace con la resa di Kiev. Ed ancora penso, malgrado le ripercussioni negative che il nostro Paese sta pagando, che siano opportune le sanzioni economiche contro Mosca e che le divisioni e i disimpegni (vedi Orbán) facciano molto male all’Unione. Detto questo: e poi?

Ecco, è sul «poi» che dovremmo concentrarci tutti, a cominciare dagli alleati dell’Ucraina, evitando di appassionarci solo all’elenco quotidiano degli strumenti bellici che vengono spediti al fronte e della loro gittata. Anche perché, al di là di possibili rovesci molto remoti di uno dei due eserciti, se si vuole essere realisti, ormai la linea di confine tra l’Ucraina legittima e quel pezzo di Ucraina che i russi hanno rubato con la forza è abbastanza chiara: difficilmente Putin si ritirerà da lì, come pure è molto complicato che Zelensky riesca a riconquistare i territori perduti sul piano militare. Quindi, pur sperando sempre nella capacità di reazione degli ucraini, è probabile che nelle prossime settimane – o mesi – di guerra si rischino nuovi lutti, nuove tragedie da entrambe le parti senza risultati.

Ed è proprio in questa situazione di impotenza e di dramma che bisognerebbe tornare con la mente a venti anni fa, allo «spirito» di Pratica di Mare che portò, grazie all’iniziativa di Silvio Berlusconi, i leader di Stati Uniti e Russia, George W. Bush e Vladimir Putin, a stringersi la mano. Si parla di «spirito» di Pratica di Mare, ma di fatto è lo spirito italiano, visto che l’iniziativa di allora del Cav si inserisce a buon diritto nel solco di un filone di grandi leader del Belpaese che, da convinti «atlantisti», si sono sempre spesi per la pace nelle crisi internazionali dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi. Parlo di Giorgio La Pira come di Aldo Moro, di Giulio Andreotti come di Bettino Craxi. È un approccio convinto e leale alle nostre alleanze internazionali, alla Nato, sempre memore della riconoscenza che dobbiamo nutrire nei confronti degli Stati Uniti, ma che, nel contempo, non rinuncia – appunto sempre rispettando la lealtà che dobbiamo avere verso chi condivide i nostri stessi valori democratici – ad espletare ogni tentativo per salvaguardare o ritrovare la pace.

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La solitudine di Salvini

lunedì, Maggio 30th, 2022

Francesco Olivo

Le critiche se le aspettava. Tutti quei silenzi forse no. E allora il viaggio a Mosca viene congelato, in attesa che qualcuno ne capisca il senso. Matteo Salvini è a Roma e tutti gli indizi portano a credere che fosse ieri la data prevista per la spedizione spericolata in Russia, uno in particolare saltava agli occhi già nei giorni scorsi: il solitamente iperattivo segretario della Lega, nella penultima domenica prima delle elezioni amministrative e dei referendum sulla giustizia, non aveva in agenda alcun appuntamento, e così nemmeno per oggi. Solo un tweet in tarda serata, per ringraziare i militanti nei gazebo per la campagna referendaria. Tutto era pronto per partire, insomma. Ma sull’aereo per la Turchia e poi su quello diretto a Mosca, il segretario della Lega non c’era.

Dietro alla missione, che prevedeva forse anche una sosta “politica” ad Ankara, c’è l’idea che la diplomazia non stia facendo il suo mestiere fino in fondo e che quindi serve uno scossone con un piano da consegnare al governo russo, «sono gli aggressori che vanno convinti», è il discorso che Salvini ha ripetuto per difendersi dalle accuse di filo putinismo. L’idea di Salvini, poi, era di arrivare in Russia con una sorta di benedizione, sebbene ovviamente non formale, della Santa Sede. In questo senso andava inquadrata l’udienza ottenuta venerdì scorso con monsignor Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, a ridosso quindi della trasferta moscovita. Anche in questo campo però sono arrivati segnali negativi per Salvini, basti ascoltare le parole del neo presidente dei vescovi italiani, Matteo Zuppi: «Credo che il più possibile bisogna accordarsi nelle iniziative, perché altrimenti rischiano di essere retoriche, rischiano di essere fatte solo per far vedere che si fa qualcosa, cosa che non è molto intelligente. L’unione di tanti sforzi, soprattutto a livello europeo e non solo, credo che sia l’indicazione indispensabile».

Uno degli aspetti più inquietanti per Matteo Salvini non sono le accuse degli avversari politici e i mugugni degli alleati, quanto piuttosto che nel suo partito nessuno si sia preso lo scrupolo di mandare due righe alle agenzie per mostrare sostegno al segretario. Un gesto di ordinaria amministrazione dentro ai partiti, specie quando il leader è sotto attacco da più fronti (da dentro la maggioranza e da dentro il governo), stavolta però nessuno lo ha fatto. Segno di isolamento, anche dentro a un partito che fino a oggi non ha mai davvero messo in discussione la leadership ma che ora si trova davanti a un dilemma: fino a quando seguire le mosse del segretario. Uno dei problemi peraltro, sottolineano le poche voci disposte a parlare, in forma discreta, è che queste mosse non vengono condivise, nemmeno con i vertici del partito, con i responsabili dei vari settori, a cominciare da quello degli Esteri, Lorenzo Fontana, né con i ministri, che, Giancarlo Giorgetti in testa, preferiscono evitare commenti.

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Mariupol, quei corpi nel supermercato sono la morte della civiltà

lunedì, Maggio 30th, 2022

Domenico Quirico

I supermercati raccolgono sotto il loro tetto molte persone come un tempo facevano solo le chiese. Occupano, se volete, il centro della vita collettiva contemporanea. Per secoli la chiesa ha occupato questo posto. Non a caso li si definisce i templi del consumo. Sarà per questo che i russi, come ha denunciato Petro Andriushenko, consigliere del sindaco di Mariupol, hanno gettato i cadaveri degli ucraini raccolti in città o esumati dalle tombe improvvisate in un supermercato abbandonato e semidistrutto. Ci crocifigge una immagine: corpi in decomposizione ammucchiati come un pavimento in mezzo agli scaffali devastati e vuoti, alle casse desolate, alle immondizie delle cose saccheggiate.

In questa guerra abbiamo visto una quantità di scene orribili, stragi con i missili, e civili eliminati frettolosamente per strada come inciampi umani. La guerra in sé come crimine. Ogni guerra non inventa il mistero del male, ne rende ogni volta il suo linguaggio più lancinante. Ma la barbarie sui cadaveri mina le condizioni stesse della esistenza umana. La civiltà, ciò che siamo, corre lungo una cresta esigua di cui uno dei versanti è proprio una uscita come questa fuori dalla umanità.

Il culto dei morti, il rispetto dei morti è un segno di umanità, dice un luogo comune filosofico. La tomba è un punto di partenza della umanità. Tutto in fondo inizia dalla fine. La morte e il suo culto rendono immortali. La morte, se rispettata, coperta degnamente, celebrata anche con il più umile ritorno alla terra, rende immortali. Oggi, nel terzo millennio, assistiamo con angoscia alla profanazione della morte, celebrata in un osceno funerale al contrario, in un rito blasfemo, sui cadaveri di Mariupol, atrocemente abbandonati, in vista, in un supermercato come se fossero merce guasta di cui non si sa cosa fare perché la guerra, vincere è una occupazione più importate. Non è purtroppo una eccezione. Intravedo la stessa empietà disinvolta in altre terribili storie, come l’assalto alla bara durante il funerale della giornalista uccisa in Palestina.

La negazione della tomba significa negare che ciò che si trova nel seno della terra, sotto un tumulo, una semplice lastra di pietra o al centro della fastosa piramide di un re, sia degno di rimanere. Anche se a poco a poco non ne resteranno che ossa e cenere e polvere. Una dignità è concessa anche ai resti materiali dal momento che non sono cose, scarti, ma resti umani. Il rifiuto dell’autocrate Creonte di concedere questa distinzione a uno dei suoi fratelli è la ragione della rivolta politica di Antigone. Nella Città una certezza deve accomunare tutti, obbedienti e ribelli, la mancanza di rispetto per i resti dei mortali porta direttamente allo stato di natura, spalanca al Male le porte per l’invasione del mondo.

In questi oltre novanta giorni dall’aggressione russa, talora anche con fatica, ho evitato di usare parole come genocidio, olocausto e sono convinto che coloro che l’hanno fatto hanno sbagliato. Ma di fronte alla umiliazione dei morti, allo sfregio dei cadaveri uso per coloro che lo hanno compiuto questo sacrilegio, che hanno portato quei poveri resti nel supermercato e li hanno gettati lì, non la parola uomini ma contro uomini. Il silenzio dei morti ci appartiene come le grida d’aiuto delle vittime squartate dalle guerre e dei profughi, in quel silenzio riconosciamo la nostra voce.

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Le cinque anime della Nato. Gli Usa ora aprono a una tregua

lunedì, Maggio 30th, 2022

Lucio Caracciolo

C’era una volta una Nato. Oggi ne contiamo almeno cinque, più il capogruppo americano con il pallido vicino canadese. Sommerse ma identificabili ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Emerse e a tutti visibili al quarto mese di guerra. In ordine di avversione a Mosca e vicinanza a Kiev.

Ecco l’avanguardia antirussa, estesa lungo l’asse dei Tre Mari: Artico, Baltico e Nero. Perno centrale la Polonia. Ali nordiche Estonia, Lettonia, Lituania, con la Scandinavia allargata – Svezia e Finlandia sono in procinto di aggiungersi a Norvegia e Danimarca. Ali balcanico-eusine, Bulgaria e Romania. Obiettivo minimo finale, ridurre la Russia a Stato paria. Espulso per sempre dall’equazione di potenza paneuropea. Ma c’è chi spera di più, perché ama talmente la Russia da volerne una dozzina. Frutto di micidiale sequenza: caduta di Putin, crollo del regime, disintegrazione della Federazione Russa.

C’è poi il Regno Unito (finché tale resta), non brillantissimo secondo dell’ex colonia statunitense cui presume di dover spiegare il mondo. E che quando vede russo vede rosso. Però Londra è sufficientemente pragmatica da potersi esibire nelle più ardite piroette, sapendo che alla fine si ritroverà abbracciata a Washington: giusto o sbagliato, il mio faro. In questa fase si offre esperta guida ai baltici scatenati. Per gli ucraini, l’esercito britannico è generoso fornitore di armi ed eccellente addestratore di truppe.

Giriamo pagina, perché gli altri tre attori – una quasi squadra e due solisti – coltivano diversa priorità: salvare l’Ucraina senza rompere con la Russia. Anche per timore che la Russia si rompa in frammenti potenzialmente incendiari, di cui alcuni nucleari. O un minuto prima scateni rappresaglia atomica.

Qui spicca l’asimmetrico allineamento Francia-Germania-Italia, in via di allargamento alla Spagna. A disegnare un quadrilatero euroccidentale espandibile a soci affini, pronti a chiudere la partita il prima possibile. Pattuglia diplomaticamente acrobatica, perché tenere insieme i diritti dell’aggredito e i propri interessi, non solo energetici, impone qualche contorsione. In gergo: Euroquad, omaggio al Quad indo-pacifico. Il cui approccio di base è assimilabile al progetto di pace italiano che tratteggia il percorso dalla guerra alla tregua, culminante in un futuro ordine paneuropeo. Russia inclusa. Entusiasticamente sostenuto da Macron. Decisiva la Germania, per almeno due motivi: è potenza di mezzo, storicamente oscillante fra Occidente e Oriente, legata alla Russia soprattutto per via energetica; ed è a sua volta divisa fra Bundesrepublik originaria, avversa a Putin e abbastanza esplicita nel sostegno a Zelensky, ed ex DDR, ovvero gli avanzi di Prussia e Sassonia da sempre vicini alla Russia in tutte le sue forme.

Ancora, la Turchia. Potenza autocentrata. Impero in ambiziosa ricostruzione, con direttrici tous azimuts: dai Balcani alla Siria, dall’Asia centro-occidentale all’Africa, con perno sulla Tripolitania. Parola d’ordine, non puntare tutto su un solo schieramento, ma solo sui propri interessi. Per ora, unico paese ad aver seriamente azzardato un negoziato d’approccio fra Mosca e Kiev. E ad aver posto un provvisorio veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Per dare via libera, attende adeguate remunerazioni, soprattutto in armi americane di punta (F-35 o almeno F-16). A Washington Erdoğan non accende passioni, ma impone rispetto. Gli Stati Uniti, dopo aver tentato di rovesciarlo, hanno stabilito che conviene trattarci. Stile suk.

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Manca la capacità di parlare chiaro

lunedì, Maggio 30th, 2022

di Angelo Panebianco

È del tutto comprensibile, che tante persone ignorino la relazione che c’è fra gli assetti del mondo e la loro personale esistenza. Ed è normale voltare la testa dall’altra parte. Spetta ai leader dire la verità , preparare le persone a ciò che li attende

Q uando esplode una crisi così grave da segnare una cesura radicale con il passato, è una comprensibile forma di autoinganno raccontarsi che, non appena la temperie attuale sarà superata, tutto ricomincerà come prima, si potrà tornare alla «normalità». Intendendo per normalità la vita che si conduceva prima che la crisi si manifestasse. Le divisioni alimentate in Italia, e comunque in Italia con particolare intensità, dalla invasione russa dell’Ucraina non sono soltanto una dimostrazione della forza del partito anti- americano e dell’elevato numero di coloro c he detestano istituzioni e simboli della democrazia occidentale.

Forza e numeri la cui consistenza può stupire solo coloro che ignorano la storia di questo Paese, la sua antica, faticosa coabitazione fra opposte visioni del mondo. C’è anche, a malapena celato dalle divisioni ideologiche, qualcosa d’altro: una sorta di rimozione, di negazione della realtà che nasce da un diffuso desiderio di rassicurazione collettiva. Quale persona ragionevole può diss entire quando sente invocare la cessazione delle ostilità? Però alcuni, e forse non pochi, fra coloro che chiedono la fine della guerra hanno l’aria di sottintendere anche altro. Hanno l’aria di credere, o di fingere di credere, che, una volta che le armi tacciano, il mondo (il nostro mondo) possa tornare ad essere quello di prima. Chi sottintende ciò pensa, o finge di pensare, una cosa manifestamente falsa.

Quando in Ucraina taceranno le armi (ma non finiranno certo le ostilità: nella migliore delle ipotesi, ci potrà essere, prima o poi, solo una tregua armata), tanti che oggi rifiutano l’idea, dovranno riconoscere che sono definitivamente cambiate le condizioni internazionali e che ciò avrà rilevanti conseguenze per le loro stesse vite.

In Europa la guerra ucraina ha definitivamente certificato la fine dell’assetto e degli equilibri sorti con la disgregazione dell’Unione Sovietica nel 1991 e successivamente indeboliti, una picconata alla volta, dall’aggressione russa in Georgia (2008) e poi in Crimea e Donbass (2014). Forse un giorno si affermerà un nuovo sistema di sicurezza europeo condiviso e garantito dalle grandi potenze. Ma ci vorrà tempo e, probabilmente, anche un cambiamento, al momento non ipotizzabile, poco plausibile, nel sistema di potere vigente in Russia. Fino ad allora si dovrà convivere in Europa con lo spettro e il rischio di nuovi e più allargati conflitti.

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Il tetto al prezzo del gas al vertice Ue. Ma resta la spaccatura sul petrolio

lunedì, Maggio 30th, 2022

di Francesca Basso

Berlino vuole estendere l’esenzione per l’Ungheria all’oleodotto che serve Germania e Polonia. L’ipotesi di approvare il pacchetto in due fasi

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DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE BRUXELLES L’Italia segna un punto nella sua battaglia per introdurre un tetto al prezzo del gas a livello internazionale: Roma ha ottenuto un’apertura sul tema dopo l’opposizione durata mesi da parte dei Paesi nordici, Germania e Olanda in testa. Nelle conclusioni del summit straordinario dei leader Ue, che si tiene oggi e domani a Bruxelles, si legge che «il Consiglio europeo invita la Commissione a esplorare con i partner internazionali le modalità per frenare l’aumento dei prezzi dell’energia, compresa la fattibilità dell’introduzione di tetti ai prezzi temporanei». Fondamentale è stata l’azione del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani su Berlino venerdì scorso al G7 Energia. Mentre la richiesta di inserire «prospettive di pace» nella parte dedicata al sostegno dell’Ucraina, caldeggiata anche da Grecia e Cipro, non sembra concretizzarsi.

E ancora niente accordo tra i Paesi Ue sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina. L’embargo sul petrolio russo continua a dividere, così come in queste ore sta dividendo la telefonata al presidente russo Vladimir Putin fatta dal presidente francese Emmanuel Macron e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz sabato scorso e precedentemente dal premier Mario Draghi, nel tentativo di arrivare a dei negoziati e sbloccare le esportazioni del grano e dei cereali ucraini per scongiurare una crisi alimentare mondiale. I Paesi Baltici e dell’Europa orientale non hanno apprezzato la mossa diplomatica. Oggi sarà il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a chiamare Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky nel tentativo di aprire un dialogo tra Mosca e Kiev.

Intanto è stallo sull’embargo. La riunione di quattro ore degli ambasciatori presso la Ue ieri non ha permesso di sbloccare la situazione, si rivedranno questa mattina. Resta il veto dell’Ungheria ma ieri pomeriggio anche altri Paesi, tra cui l’Olanda, hanno sollevato perplessità per la soluzione proposta che prevede delle esenzioni. Il Consiglio europeo straordinario inizierà solo nel pomeriggio e il tentativo è trovare una sintesi nelle prossime ore.

Si sta consolidando a livello tecnico l’opzione di «procedere in due fasi», spiegava ieri una fonte diplomatica al termine dell’incontro, ma prima è necessario verificare che tutti i 27 Paesi Ue siano d’accordo. Il sesto pacchetto verrebbe adottato subito con l’eccezione temporanea delle importazioni di petrolio tramite l’oleodotto Druzhba, che dovrebbero essere coperte da nuove misure e in una seconda fase, nel giro di qualche settimana, per lasciare un po’ più di tempo per trovare una soluzione ai Paesi fortemente dipendenti dall’oleodotto: Ungheria, Slovacchia e Cechia. Alla fine, l’intero pacchetto iniziale verrebbe ricostituito, incluse le importazioni di greggio via oleodotto.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Lavrov: «Putin malato? Solo voci». Zelensky licenzia il capo della sicurezza di Kharkiv

lunedì, Maggio 30th, 2022

di Francesco Battistini, Marta Serafini, Andrea Marinelli, Guido Olimpio

Le notizie di lunedì 30 maggio sulla guerra, in diretta. Le forze russe avanzano nel centro della città di Severdonetsk. Potente esplosione a Melitopol. Forti perdite tra i giovani ufficiali del Cremlino

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Una soldatessa e un soldato ucraini nell’oblast di Donetsk (Epa)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 96esimo giorno: la Russia continua la sua avanzata, lenta ma devastante, nel Donbass. La città di Severodonetsk, ha detto il leader ucraino, «è praticamente distrutta».
• Nella giornata di domenica, Zelensky ha fatto visita al fronte, vicino alla città di Kharkiv, nell’est del Paese: è la prima volta dall’inizio dell’invasione che il presidente ucraino ha lasciato la zona della capitale.
• Oggi il presidente turco Erdogan dovrebbe sentire al telefono Putin e Zelensky. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov: «Putin non dice mai di no di fronte alla richiesta di colloqui di altri leader. La nostra priorità è la liberazione del Donbass».
• Gli hacker filorussi di Killnet tornano a minacciare l’Italia: lunedì «faremo un colpo irreparabile», il loro messaggio.
• L’Ue non ha ancora trovato un’intesa sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Slitta un accordo sull’embargo del petrolio russo; sul tavolo l’ipotesi di un tetto al prezzo degli idrocarburi.
• Il consigliere del sindaco di Mariupol ha postato su Telegram una foto, raccapricciante, di corpi ammassati dai russi in un supermercato. «A Mariupol i russi buttano cadaveri di civili ucraini in un supermercato. Li ammassano come in una discarica», ha detto.

Ore 08:36 – Kiev, forze russe avanzano nel centro di Severodonetsk

Le forze russe sono avanzate verso il centro di Severodonetsk. Lo scrive su Telegram Sergei Gaidai, capo della regione di Lugansk. «I russi stanno avanzando verso il centro della città. I combattimenti continuano, la situazione è molto difficile». Aggiungendo che i «soldati russi uccisi non vengono portati via e l’odore di decomposizione ha riempito la zona».

Ore 08:25 – Potente esplosione nel centro di Melitopol

Una grande esplosione si è verificata questa mattina nel centro di Melitopol. Secondo quanto fonti ucraine è avvenuta non lontano dal quartier generale delle forze russe quindi — riporta Ria Melitopol — e non è escluso che si possa trattarsi di un’azione messa in campo dalla resistenza ucraina.

Ore 08:20 – Borrell: embargo sul petrolio? Accordo entro il pomeriggio

«Raggiungeremo un accordo sul prossimo pacchetto di sanzioni entro lunedì pomeriggio». Lo ha annunciato alla radio France Info l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, in vista del Consiglio europeo che dovrà decidere sul nuovo round di sanzioni contro la Russia. «Nel prossimo pacchetto di sanzioni contro la Russia non falliremo sull’embargo petrolifero», ha confermato Borrell, ribadendo che «alla fine ci sarà un accordo», malgrado la resistenza dell’Ungheria.

Ore 08:05 – La Nato: «Non abbiamo più vincoli che ci impediscano di mettere truppe nell’Est europa

Mircea Geoana, il vice segretario generale della Nato, ha spiegato che l’Alleanza atlantica non è più vincolata a intese del passato che le impedivano di schierare truppe nell’Est dell’Europa, perché Mosca ha «svuotato di senso» il patto tra Nato e Russia attaccando l’Ucraina.

«Mosca», ha detto, «ha aggredito un Paese vicino e interrotto il dialogo con la Nato. Credo che il patto» del 1997 «sia ormai svuotato di significato. Ora non abbiamo vincoli che ci impediscano di irrobustire adeguatamente il fianco est della Nato», con una presenza «robusta, flessibile e sostenibile».

Ore 07:56 – L’ex consigliere di Putin e l’ipotesi del viaggio di Salvini: «Ben venga, è leader di un partito amico»

(Marco Imarisio) «Se non ci riusciamo con le auto di lusso, va bene anche una bicicletta».

Sergey Markov è un uomo spiritoso. Questo non toglie che l’ex consigliere di Vladimir Putin dal 2011 al 2018, ex deputato della Duma dal 2007 al 2012, attuale direttore dell’Istituto di Ricerche politiche a Mosca, sempre sotto l’egida dell’attuale «verticale del potere» russa, rimane un uomo molto di parte.

Markov, cosa intende con la similitudine iniziale?
«Credo che la usiate anche voi in Italia… Semplice. Certe mosse negoziali spettano ai governi in carica. Ai Draghi, ai Macron. Ma se loro non ce la fanno a recepire le ragioni del nostro Paese , ben vengano i leader di partiti amici come Salvini. E se falliscono anche loro, toccherà poi agli scrittori, agli attori, ai cantanti, ai poeti. Il problema va risolto».

(L’intervista integrale a Markov è qui)

Ore 07:43 – Le «perdite devastanti» della Russia tra i suoi giovani ufficiali

«La Russia ha probabilmente subito perdite devastanti tra i suoi ufficiali di grado medio e inferiore nel conflitto».

A riportarlo — nel suo bollettino quotidiano — è il ministero della Difesa britannico, che fa riferimento in particolare ai «comandanti di brigata e battaglione» ma anche ai «giovani ufficiali».

«La perdita di gran parte della generazione più giovane di ufficiali professionisti aggraverà probabilmente gli attuali problemi nella modernizzazione del suo approccio al comando e al controllo», afferma il bollettino, ed è «probabile che i gruppi tattici di battaglione che vengono ricostituiti in Ucraina dai sopravvissuti di più unità siano meno efficaci a causa della mancanza di leader giovani».

L’intelligence londinese ha poi fatto riferimento a «molteplici rapporti credibili di ammutinamenti» tra le file dell’esercito russo, indicando come «probabile che la mancanza di comandanti di plotone e di compagnia esperti e credibili provochi un’ulteriore diminuzione del morale e una continua scarsa disciplina».

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Ore 07:27 – I russi sono entrati a Severodonetsk, dice l’Ucraina

Le forze russe sono entrate a Severodonetsk, la città del Donbass che da giorni è colpita da una pioggia, senza fine, di colpi di artiglieria pesante («fino a 200 all’ora»).

Secondo quanto riferito dal governatore ucraino della regione di Luhansk, «l’esercito russo è entrato in città. Non ci sono né gas né acqua corrente, in città, e non c’è modo di ripristinare quei servizi. Oltre un milione di persone sono senza acqua».

Il presidente ucraino Zelensky ha spiegato che «il fuoco è così intenso che i soccorritori non hanno potuto verificare la consistenza dei danni e il numero delle vittime, l’intera rete infrastrutturale cruciale della città è già stata distrutta, il 90% delle case sono state danneggiate».

«La cattura di Severdonetsk è un obiettivo fondamentale» per i russi, ha aggiunto il presidente ucraino, assicurando che le forze ucraine stanno «facendo di tutto per respingere questa offensiva».

Ore 07:19 – Le esecuzioni in piazza e le torture, nelle città occupate dai russi

(Marta Serafini) «Il modello è sempre lo stesso. Prima cambiano la rete e le tv per diffondere la loro propaganda. Poi prendono gli amministratori locali e li portano in piazza per torturarli e ucciderli davanti alla popolazione in modo che non si ribelli».

Alexander Dunets è stato sindaco prima di Scastja, nella regione di Lugansk, poi di Kreminna nella regione di Donetsk e ha fatto parte dell’esercito di Kiev. Entrambe le cittadine sono state occupate dai russi. E da entrambe arrivano racconti terribili.

«Chi è dentro mi manda messaggi disperati. Tutti stanno rintanati in cantina per paura delle rappresaglie. Ma la moglie di un mio collega del consiglio comunale mi ha detto che hanno preso suo marito di forza, lo hanno trascinato davanti al comune e gli hanno sparato davanti a quei pochi cittadini che si erano azzardati a uscire per cercare un po’ di cibo».

Non riesce a risvegliarsi dall’incubo anche Mariupol, dove ieri, secondo quanto denunciato anche dal consigliere del sindaco Petro Andryushchenko su Telegram, i russi hanno ammassato in un supermercato di Svybody Avenue una ventina di corpi emersi durante un tentativo di aggiustare delle tubature dell’acqua danneggiate. «È una discarica di cadaveri. I russi li stanno portando e li stipano come se fossero spazzatura», ha scritto Andryushchenko.

(Qui il reportage integrale)

Ore 07:14 – Il saccheggio (segreto) dell’Azovstal

(Federico Fubini) Il grande furto del tesoro di Mariupol è iniziato. E rischia di portare con sé una cascata di complicazioni, che potrebbero spingere molti Paesi anche lontani dalla Russia e dall’Ucraina a decidere una volta per tutte con chi stare: con la nazione aggredita e derubata dei suoi prodotti o dalla parte dell’aggressore, che presto potrebbe mettere in vendita quei beni.

Nella notte fra sabato e domenica — come anticipato ieri dal Corriere — sono emersi i primi dettagli di quella che sembra un’operazione di saccheggio del metallo prodotto a Mariupol. Da giorni la città è ormai in mano all’esercito di Mosca e almeno una nave è già entrata in porto per prelevare — secondo la parte ucraina — 2.700 tonnellate di prodotti in metallo da trasportare 160 chilometri più a oriente nel porto russo di Rostov.

L’agenzia di Mosca Tass ha confermato l’arrivo del mercantile a Mariupol, mentre un portavoce del porto ha detto a Reuters che il carico sarebbe destinato alla città russa sul Mare di Azov.

La reazione di Kiev non si è fatta attendere. «Il saccheggio dei territori occupati continua — ha denunciato via Telegram la responsabile per i diritti umani dell’Ucraina Lyudmila Denisova —. Dopo il grano, gli occupanti si stanno dando a esportare prodotti in metallo».

Ma perché quel materiale è così importante? E come impatta la produzione di chip?

L’articolo integrale qui

Ore 07:10 – Mosca si prepara a riallargare l’offensiva, dopo i successi nel Donbass?

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Sciopero della scuola, manifestazioni e sit-in di prof in tutta Italia | I presidi contrari: “Protesta populista, noi vogliamo insegnanti più preparati”

lunedì, Maggio 30th, 2022

Previsto l’arrivo di un centinaio di pullman da tutta Italia per la manifestazione in piazza Santi Apostoli a Roma. La protesta, a pochi giorni dalla conclusione dell’anno scolastico, è stata proclamata dai sindacati contro le novità in tema di formazione, reclutamento, salario e carriera varate dal governo con il Decreto Legge 36/22. “Misure inaccettabili” le avevano definite le organizzazioni sindacali. Contrari i presidi: “E’ una manifestazione populista”. Molte scuole sono chiuse e solo alcune apriranno per poche ore vista l’assenza di docenti e personale Ata.


La protesta è stata indetta da FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal e GILDA Unams, che hanno anche organizzato un sit-in a Roma a Piazza SS. Apostoli (con qualche polemica preventiva, non essendo stata concessa dalla Questura Piazza Montecitorio, tradizionale luogo di protesta di fronte al Parlamento). Quattro le richieste principali dei sindacati al governo: stralciare dal decreto tutte le disposizioni che invadono il campo della contrattazione, dalla formazione agli aspetti economici e normativi che riguardano il rapporto di lavoro; rivalutare nel nuovo contratto le retribuzioni: più risorse nella legge di Bilancio e no a un sistema a premi per pochi; dare stabilità al lavoro e rafforzare gli organici invece che tagliarli, con un sistema di reclutamento che assicuri la copertura dei posti vacanti e preveda opportunità di stabilizzazione per i precari; riconoscere la professionalità di chi lavora nella scuola come risorsa fondamentale: mettere in sicurezza le scuole, ridurre gli alunni per classe.

Per i sindacati il Dl 36/22 “invade i campi della contrattazione in materia di reclutamento e formazione: capitoli che dovrebbero essere, appunto, regolati tra le parti. Quella disegnata dal decreto è una formazione tra l`altro finanziata con un cospicuo taglio di personale (10mila unità), mentre le nuove modalità di reclutamento – oltre a dare un nuovo impulso al mercato dei crediti – non lasciano nessuna possibilità di stabilizzazione per i precari, quelli che da anni hanno permesso alle scuole di andare avanti. Il tutto, tradendo lo spirito del Patto per la scuola, siglato un anno fa, che invece “prometteva” scelte condivise. Infine sul contratto – concludono i sindacati – le cifre stanziate sono assolutamente insufficienti per dare una risposta dignitosa all`impegno del personale della scuola”.

“Lo sciopero avrà una alta adesione perché le ragioni della protesta sono motivate: il governo sceglie di costruire una formazione per pochi, finanzata con il taglio degli organici. In più si umiliano i precari con un nuovo sistema di reclutamento e gli si nega l’abilitazione. Un intervento da respingere, che io non chiamo nemmeno la riforma. Viene tradito il Patto per la scuola. Il contratto poi è scaduto da tre anni e ci aspettiamo un investimento serio per il rinnovo contrattuale: le risorse stanziate non bastano anche dato l’impegno della scuola tutta negli anni della pandemia. Evidenziamo l’inadeguatezza del governo rispetto alle esigenze della scuola”, dice Francesco Sinopoli che guida la Flc Cgil.

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