Meloni congela il Mes e lo rinvia a settembre. Poi difende Santanché e sui migranti spera nel Consiglio europeo

Adalberto Signore

Dopo otto mesi esatti di navigazione tutto sommato tranquilla, Giorgia Meloni inizia a temere l’effetto-imbuto. Con un’estate che per il governo rischia di essere più calda del previsto se davvero dovessero incastrarsi nel modo peggiore alcuni dei principali dossier all’orizzonte. Due, ben noti, sono la questione migranti e il Mes. Sul primo fronte, Palazzo Chigi ripone grandi speranze in vista del Consiglio Ue in programma a Bruxelles giovedì e venerdì (che come quarto punto in agenda ha proprio il capitolo «migrazione»). Ma anche con la consapevolezza che a ieri – dato del Viminale – gli sbarchi in Italia sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (tra il 1 gennaio e il 23 giugno sono stati 59.767, contro i 25.795 del 2022) e che statisticamente i mesi di picco degli arrivi sono luglio, agosto e settembre. Sul secondo fronte, invece, Meloni deve gestire l’accelerazione imposta dalla lettera del Mef e dalla pdl in discussione alla Camera. Ma sopratutto il sotterraneo braccio di ferro con Bruxelles, dove i vertici dell’Ue – francesi e tedeschi in particolare – sono stanchi del continuo tergiversare italiano su un via libera che non può non arrivare. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità è stata infatti ratificata da tutti i venti Paesi dell’eurozona tranne l’Italia (che sta paralizzando gli altri). Rinvii che sono dovuti a due ragioni. La prima è che Meloni è sempre stata contraria ed è naturale che per lei non sia facile cedere pubblicamente all’ineluttabile. La seconda è che Matteo Salvini – contrario anche lui – non vede l’ora di poter scaricare sulla premier l’inevitabile dietrofront. Tutte questioni che a Palazzo Berlaymont interessano meno che zero. E dove non gradiscono che il Mes sia usato come merce di scambio nella trattativa sulla riforma del Patto di stabilità. Non è un caso che ad oggi l’Italia non abbia ancora visto la terza rata del Pnrr, 19 miliardi che aspettiamo dal 30 aprile.

A queste due partite, però, da qualche giorno se ne è sovrapposta una terza, con la bufera che ha colpito la ministra del Turismo Daniela Santanché. Un fronte interno delicatissimo, perché dovesse arrivare un atto formale della magistratura la situazione diventerebbe di difficile gestione per un partito come Fdi, che sulla legalità ha sempre avuto un approccio di grande rigore. Un quadro complessivo, insomma, che rischia di farsi complicato. Non è un caso, forse, che la premier – ieri in Austria per l’Europa Forum Wachau – scelga di puntare il dito contro «alcune ricostruzioni un po’ surreali all’indomani della scomparsa di Silvio Berlusconi» che ipotizzavano scenari di «governi tecnici». Un messaggio che ha più destinatari e tra questi anche Salvini. E il cui senso è chiaro: dopo questo esecutivo c’è solo il ritorno alle urne. Un punto su cui Meloni ha la forza dei numeri in Parlamento, dove senza i voti di Fdi non c’è governo che tenga.

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