Annalisa Cuzzocrea
Nel salone immenso della Reggia di Venaria risuona una voce che
arriva da Kiev. Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri del governo
ucraino, si collega con la 132esima sessione del Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa: esordisce con un «Caro amico Luigi», ringrazia
l’Italia, la pronta risposta all’aggressione russa del nostro Paese.
Ricorda la comunanza di valori che unisce il suo popolo a quelli
europei. Incassa il sostegno e gli applausi di tutti i presenti, che qui
non hanno voluto la Russia di Vladimir Putin, sancendo da subito una
cesura inevitabile dopo l’aggressione di Mosca sul territorio ucraino.
Luigi Di Maio passa il testimone di presidente del comitato dei
ministri al capo della diplomazia irlandese Simon Coveney, ringrazia la
regione Piemonte e il comune di Torino per l’organizzazione impeccabile e
si ferma con La Stampa per tracciare un bilancio di quanto l’Italia e
l’Europa hanno fatto fin qui. Partendo da un’ammissione: «Gli sforzi per
la pace vanno moltiplicati. Ma nessuna pace può prescindere da quel che
l’Ucraina desidera per sé».
C’è un pezzo di Parlamento che pensa che l’Italia e l’Europa
non stiano facendo abbastanza per fermare la guerra in Ucraina. È così?
«Fin quando non riusciremo a fermare la guerra sono il primo a dire
che come comunità internazionale dobbiamo fare tutti di più. E lo dico
per prima cosa ai miei colleghi europei, perché siamo noi per primi a
dover sentire questa responsabilità. Adesso la priorità assoluta
dev’essere mettere fine alle ostilità. Nel frattempo, è essenziale
programmare la fase postbellica».
È a questo che serve il piano italiano per la pace?
«Si tratta di un lavoro messo a punto dal corpo diplomatico italiano
in stretto coordinamento con Palazzo Chigi. Lo abbiamo condiviso con gli
sherpa del G7, ne ho parlato con il segretario generale dell’Onu
Antonio Guterres. Come ho già detto in diverse occasioni, ora serve una
controffensiva diplomatica».
Il piano poggia su un approccio binario: riconoscere
l’esigenza del sostegno finanziario e militare a Kiev, «unica vittima
della guerra di aggressione», mantenendo però «la necessità di un canale
di trattativa». È davvero realizzabile?
«Il primo impegno rispetto a documenti di lavoro come questo è
costruire un consenso intorno alle idee di fondo. Il cuore del progetto è
il gruppo internazionale di facilitazione: Nazioni Unite, Unione
europea e Osce sono il gruppo di lavoro principale che può mano a mano
coinvolgerne altri. Tirando dentro, faccio degli esempi, la Turchia,
l’India. A essere diverso è il punto di partenza: finora a provare la
mediazione erano i singoli Stati. Adesso stiamo dicendo che bisogna
prendere tutte le più rilevanti organizzazioni internazionali e metterle
al lavoro su degli obiettivi. Il primo è quello di avere tregue
localizzate. Poi ci sono il cessate il fuoco, il lavoro sulla neutralità
e infine l’accordo di pace. Una cosa che ha detto Mario Draghi in aula,
e che sottoscrivo, è che la pace non si impone. Si parte da quella che
immagina l’Ucraina».
Kiev ha già ripetuto che i suoi confini vanno rispettati.
«Ci mancherebbe e lo ripeto: la pace si costruisce prima di tutto sulla base delle esigenze dell’Ucraina».
Quest’iniziativa sembra rispondere alle polemiche delle
scorse settimane, provenienti soprattutto dal suo partito, con il no
all’invio di nuove armi e la richiesta di un maggiore sforzo
diplomatico.
«È nato su nostra iniziativa settimane fa e messo a punto dai nostri
diplomatici. Prima dell’intensificarsi delle polemiche politiche, dalle
quali prescinde completamente».
Dopo quasi tre mesi di guerra vede più vicina l’apertura di un vero negoziato oppure no?
«Non voglio sembrare disfattista, ma non vedo nessun negoziato su
nessun tavolo. Per questo adesso serve un’iniziativa collegiale a
livello internazionale. Non saranno azioni singole a convincere Vladimir
Putin a trattare».
Ci sono idee diverse su chi in questo momento stia vincendo
sul terreno: l’Ucraina che resiste o la Russia che le ha quasi tolto
ogni sbocco al mare?
«Se penso alle migliaia di vittime di civili ucraini non riesco a
pensare a chi vince e chi perde. Questa guerra può durare oltre un anno e
più dura, più porterà alla morte di civili innocenti ucraini per colpa
della Russia. Si tratta della guerra con più alta densità di morti al
giorno, tra civili e soldati, dalla Seconda guerra mondiale. Se non si
trova al più presto una soluzione di pace a uscirne con le ossa rotte
sarà l’Europa».
Come si risolve la questione della sicurezza alimentare? Crede sia possibile sbloccare le esportazioni di cereali dall’Ucraina?
«A Venaria c’erano diversi colleghi del G7 e dell’Unione europea con i
quali abbiamo parlato a lungo proprio di questo. Tutti gli studi fatti
dimostrano che c’è un solo modo per superare la carenza di grano e
cereali: creare un corridoio protetto per consentire di trasportare il
grano via mare dalle coste ucraine. Via terra è troppo complesso. La
Russia, se continua a bloccare lo sbocco sul mare, sarà responsabile di
nuove guerre. Quello che non sta uscendo dal porto di Odessa può causare
altra instabilità, altro terrore anche a migliaia e migliaia di
chilometri di distanza. La Russia deve dimostrare di voler collaborare
consentendo questo corridoio attraverso il Mar Nero. Sarebbe un segnale
importante. Altrimenti non ci troveremo davanti a una semplice crisi
alimentare, ma a una guerra alimentare dagli effetti incalcolabili».
C’è abbastanza consapevolezza – nelle cancellerie europee – di quel che può significare per l’Africa quanto sta accadendo?
«Le assicuro che tra G7, Unione europea, Nazioni Unite e Nato la
questione della sicurezza alimentare è il punto fondamentale di
discussione. A New York ne ho parlato con Antony Blinken. Per questo l’8
giugno, insieme al direttore generale della Fao a Roma, abbiamo
organizzato la prima iniziativa con i Paesi del Mediterraneo che più
stanno soffrendo: bisogna costruire dei percorsi per calmierare i prezzi
del grano».
In aula al Senato Salvini l’ha attaccata per le parole dure
che ha usato in passato contro Vladimir Putin. Crede di aver sbagliato?
«Penso che Salvini sia un provocatore seriale quindi non gli
rispondo. Sono però contento che anche lui dica di cercare la pace
perché di fronte a una guerra tutte le forze politiche dovrebbero stare
dalla stessa parte. Quindi prima di tutto condannare la Russia per
l’invasione ingiustificata e aiutare gli ucraini, senza dare l’idea che
ora li vogliamo abbandonare».