Archive for the ‘Politica’ Category

“Nessun rottamato in Fi, lealtà a Meloni”

lunedì, Marzo 27th, 2023

Fabrizio De Feo

"Nessun rottamato in Fi, lealtà a Meloni"

«In politica l’immobilismo fa male, per questo Forza Italia si è sempre e continuamente rinnovata nella sua storia ormai trentennale». A distanza da 48 ore dal suo affondo, il presidente di Forza Italia spiega al Corriere della Sera le ragioni della decisione a sorpresa che lo ha portato a sostituire il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo e alcuni coordinatori regionali. «Non abbiamo rottamato nessuno, abbiamo reso più efficiente la struttura, sostituendo alcuni coordinatori che, avendo assunto altri incarichi o non essendo stati rieletti, non erano più in condizione di svolgere il loro compito con l’impegno di prima». Berlusconi non vede nel cambio al vertice del gruppo il segno di una insoddisfazione o una riscrittura della linea politica. «Nulla di tutto questo: la linea è quella indicata da me. La stragrande maggioranza, direi anzi la totalità dei militanti e degli eletti, mi chiede ogni giorno di continuare a esercitare la leadership e di essere garante di una linea politica che da trent’anni è quella di lavorare per l’unità del centrodestra. Lo spostamento di Alessandro Cattaneo non è una punizione, è una razionalizzazione, utile a rafforzare il Coordinamento nazionale, mentre abbiamo voluto recuperare l’esperienza e la saggezza di Paolo Barelli nel ruolo di capogruppo», spiega il leader azzurro. Una linea politica più fedele e meno in polemica rispetto alla premier Meloni, suggerita dalla sua famiglia, da Marina in primis e da Marta Fascina. È così? «Con mia moglie Marta e con mia figlia Marina c’è un rapporto fatto di amore, stima e totale fiducia: quindi, come è naturale, capita spesso di parlare di politica e i loro consigli sono preziosi. Ma la linea politica e le scelte operative di Forza Italia sono esclusivamente una mia responsabilità. Quanto al rapporto con il presidente Meloni, è improntato alla massima lealtà, alla stima personale, a una amicizia sincera, nella convinzione che stia facendo bene e che Forza Italia debba dare un contributo costruttivo all’azione di governo.

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Dopo tanti proclami. Schlein rimette in pista tutti i dinosauri del Pd

lunedì, Marzo 27th, 2023

Pasquale Napolitano

Elly Schlein «rottama» i cacicchi ma si riprende nel Pd i «dinosauri» dal vecchio Pci. Si riaffacciano al fianco della segretaria gli intellettuali rossi, molti dei quali hanno spadroneggiato a Napoli e in Campania negli anni di Antonio Bassolino.

Dalla città partenopea, ecco che puntuale arriva l’appello dal mondo della cultura per la nuova «eroina» della sinistra.

Un copione già visto con gli ex leader del Pd Zingaretti, Renzi e Letta. È la mossa per ritornare in pista. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca li ha pensionati, tenendoli fuori dalla gestione del potere in Campania. Ora si riaccende la luce della speranza con Schlein. Spulciando i nomi nulla di nuovo sotto il sole di Napoli. Sono i soliti. C’è Maurizio De Giovanni, lo scrittore che appena intravede una lettera-appello si fionda sopra per sottoscriverla. Aveva già firmato l’appello per Roberto Saviano. Tra gli intellettuali spunta Nino Daniele, bassoliniano della prima ora. Ma poi anche vicesindaco dello «scassatore» Luigi de Magistris. Insomma, non proprio una novità. E ancora; Elisabetta Gambardella, più volte candidata e da sempre legata ad Antonio Bassolino. Nel gruppo spicca il nome di Salvatore Vozza, sindaco di Castellammare e deputato del Pds. Poi scrittori e trombati delle ultime tornate elettorali. In comune hanno la radice: hanno gravitato nel mondo del Pci. Tutti reduci dalle stagioni rosse a Napoli come Adriana Buffardi, ex assessore delle giunte Bassolino, pronta a ritornare. La segretaria ringrazia: «Il nuovo corso del Pd si arricchisce ogni giorno di presenze e di testimonianze attive che danno forza a questa comunità. Voglio per questo ringraziare tutte e tutti i 168 intellettuali che hanno sottoscritto l’appello Una speranza e un’opportunità per la sinistra. Vogliamo dare una mano. Perché è esattamente questo quello che desideravamo suscitare: la condivisione, insieme, di un impegno, di una passione, di una visione comune. Solo così, tutte e tutti insieme, ce la faremo a ricostruire fiducia con le persone e dar vita a una vera alternativa a questo governo, che si batta per la giustizia sociale e climatica, per il lavoro di qualità e i diritti».

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Mossa di Berlusconi: rivoluzione Forza Italia

sabato, Marzo 25th, 2023

Fabrizio De Feo

Le fibrillazioni e le tensioni che da alcuni giorni covavano sotto la cenere ed erano ormai venute alla luce, almeno a livello giornalistico nelle ultime ore, fanno scattare la reazione di Silvio Berlusconi. Sono passate da poco le 20 quando un comunicato sancisce un «rimpasto» della squadra di governo del partito con la sostituzione di Alessandro Cattaneo come capogruppo alla Camera e l’arrivo al suo posto di Paolo Barelli, uomo vicino ad Antonio Tajani, già presidente dei deputati nella scorsa legislatura. In Lombardia, invece, Alessandro Sorte va a sostituire Licia Ronzulli.

«Al fine di arrivare pronti alle prossime elezioni europee – si legge – con una squadra coesa e radicata su tutto il territorio nazionale, ho ritenuto di nominare al fianco del ministro Anna Maria Bernini, Alessandro Cattaneo quale vice coordinatore nazionale di Forza Italia con la delega alla organizzazione territoriale del partito». Diverse indiscrezioni avevano messo nel mirino i due capigruppo, Licia Ronzulli al Senato e Cattaneo alla Camera. In sostanza emergeva l’inasprirsi di uno scontro tra l’ala più battagliera e l’ala più governista, con quest’ultima decisa a provare a convincere Silvio Berlusconi a procedere a un cambio di almeno uno dei vertici dei gruppi, per riequilibrare la bilancia del potere interno. Paola Di Caro sul Corriere ieri aveva a scritto che alla Camera era partita una raccolta firme con l’obiettivo di chiedere la sostituzione di Cattaneo a Montecitorio. Voci smentite da chi è più vicino ai due presidenti e da diversi parlamentari, anche se nessuno aveva nascosto le difficoltà di rapporto tra le diverse anime degli azzurri in questa fase. Cattaneo inoltre aveva dovuto governare richieste impossibili da accontentare, visto che a disposizione di Forza Italia ci sono tra i 2 e 3 posti da presidente di Bicamerale e 3-4 da vicepresidente. Numeri insufficienti a soddisfare le richieste dei tanti pretendenti. Così come qualche strascico avevano lasciato le nomine nella giunte della Lombardia e Lazio, considerate strategiche per la gestione del potere in chiave futura. Dichiarazioni ufficiali comunque non ce n’erano sono state, se non quella di Flavio Tosi che a Un giorno da Pecora aveva chiarito che non c’è alcuna raccolta firme. «In Forza Italia in questo momento c’è solo una normale dialettica interna. Non è vero che c’è una raccolta firme. Ci affidiamo alle decisioni di Berlusconi». Il restyling del partito va a toccare anche la mappa del potere sui territori, Lombardia in primis. «Congiuntamente, per dare pieno supporto al lavoro che dovrà svolgere, ho nominato sette nuovi coordinatori regionali. Per la Basilicata Maria Elisabetta Casellati; per l’Emilia Romagna Rosaria Tassinari; per la Lombardia Alessandro Sorte; per il Molise Claudio Lotito; per la Sicilia Marcello Caruso; per la Toscana Marco Stella; per il Veneto Flavio Tosi.

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Maternità surrogata, il 65% è contro: ma c’è il sì al riconoscimento dei figli

sabato, Marzo 25th, 2023

di Nando Pagnoncelli

Il sondaggio di Pagnoncelli: il 47% degli italiani è per le adozioni da parte di coppie gay

Maternità surrogata, il 65% è contro: ma c’è il sì al riconoscimento dei figli

Nelle ultime settimane il tema dell’omogenitorialità ha fatto irruzione nel dibattito radicalizzando le posizioni di leader e partiti. Si tratta di un tema che investe la sfera etica rispetto alla quale le opinioni dei cittadini sono solitamente meno influenzate dall’orientamento politico. Basti pensare alle prese di posizione sul divorzio, sull’aborto, sulla procreazione assistita, sul fine vita: ebbene, su questi e su altri temi i risultati dei referendum e le ricerche sociali hanno dimostrato che una quota rilevante di cittadini si esprime diversamente dalle prese di posizione del partito a cui si sentono più vicini.

La maternità surrogata, vietata in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi, suscita reazioni diverse a seconda che avvenga a fronte di un corrispettivo in denaro o meno. Nel primo caso, infatti, prevale nettamente la contrarietà (due italiani su tre, il 65,4%), i favorevoli sono il 19,7%, gli altri non rispondono. Nel secondo i contrari, pur prevalendo, diminuiscono al 40,3%, i favorevoli salgono al 34,6, mentre il 25,1% non si pronuncia.

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I giudizi

Il sondaggio odierno evidenzia che il 45% degli italiani si dichiara favorevole al fatto che i figli nati a seguito di maternità surrogata nei Paesi in cui questa pratica è consentita, vengano registrati nei comuni di residenza della coppia dopo il loro rientro in Italia, perché ritengono che sia un dovere dello Stato concedere anche a questi figli gli stessi diritti di tutti gli altri. Viceversa, uno su quattro (26%) è contrario perché registrarli significherebbe dare il via libera alla maternità surrogata anche in Italia e il 29% non prende posizione. La contrarietà prevale solo tra gli elettori di FdI (49%) e della Lega (41%), tra i quali però si registra una minoranza numericamente molto rilevante di favorevoli, rispettivamente il 28% e il 37%. Dunque, pur in presenza di una prevalente riprovazione per la maternità surrogata, la maggioranza relativa ritiene opportuno riconoscere i diritti dei bambini nati altrove ricorrendo a questa pratica.

Anche la possibilità di adottare un figlio da parte delle coppie omosessuali vede prevalere i favorevoli (47%) sui contrari (32%). Peraltro, gli atteggiamenti di apertura sono in aumento di 5 punti rispetto al 2021. Si conferma un atteggiamento di maggiore contrarietà tra gli elettori di FdI (58%) e Lega (48%), pur in presenza di una quota pari al 30% e al 39% di favorevoli.

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Pd, nodo capigruppo: Bonaccini lancia l’ultimatum a Schlein

sabato, Marzo 25th, 2023

Carlo Bertini

ROMA. «Cari amici e compagni, se la proposta sui nuovi capigruppo sarà un prendere o lasciare, credo non ci siano le condizioni per un nostro ingresso nella segreteria del partito». È in questi termini che oggi Stefano Bonaccini, nel summit via zoom dei parlamentari che lo sostengono, parlerà ai suoi «perché nuora intenda», come si usa dire. Ovvero, a meno che Elly Schlein non gli telefoni prima per cercare un’intesa, il governatore le lancerà una sorta di ultimatum: o si segue un metodo condiviso nelle scelte cruciali, attribuendo a chi ha vinto il congresso tra gli iscritti del Pd uno dei due capigruppo, oppure si rompe il meccanismo, ricercato dopo le primarie dalla neo leader, di una gestione comune del Pd per evitare traumi e scissioni.

Ma non basta: l’area che fa capo al governatore sconfitto minaccia di andare ad una conta sui capigruppo a voto segreto. Che potrebbe finire male (dati i numeri in equilibrio tra le due truppe), con conseguenze disastrose per la segretaria al suo esordio. Intenzionata malgrado tutto a indicare come nuovi capigruppo Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera: figure di primo piano del suo giro stretto. Una delle quali, Braga, vicinissima a Dario Franceschini, il più influente tra i big che hanno sponsorizzato il nuovo corso. Motivo questo di scontento della sinistra che fa capo a Orlando e Provenzano, che rischia di restare senza rappresentanza nei due rami del Parlamento pur avendo sostenuto Schlein. «Non voglio essere coinvolto in nulla», va ripetendo Provenzano nei capannelli alla Camera, pur essendo tra i papabili al ruolo. Mentre l’ex ministro del Lavoro dice che sarebbe più giusto lasciare alla minoranza di Bonaccini uno dei capigruppo e che la soluzione più semplice sarebbe confermare Debora Serracchiani. La capogruppo attuale, se davvero si arrivasse ad una conta potrebbe rimettere il suo nome nell’urna del gruppo alla Camera, mentre al Senato potrebbero concorrere Graziano Delrio, Enrico Borghi o Alessandro Alfieri.

Ma Schlein, sulla base del principio che Bonaccini ha preferito il ruolo superpartes di presidente del partito a quello più organico di vicesegretario, ritiene giusto assegnare a due figure della maggioranza a suo favore entrambe le cariche apicali in Parlamento. Tanto che giorni fa ha chiesto a Bonaccini di sondare il terreno tra i suoi. E il responso consegnatole dopo una rapida verifica degli sherpa nei gruppi è stato che «il sondaggio ha dato esito negativo, non sui due nomi proposti, ma sul metodo del prendere o lasciare». Tradotto, se decidi da sola, noi non ci sentiamo più vincolati a nulla. Tradotto ancora più chiaro da uno del suo staff, «avere Stefano capo dell’opposizione con le mani libere dovrebbe preoccuparla, quindi da qui a martedì magari tratterà…».

Del resto l’appello a soluzioni non imposte lo fa anche Lorenzo Guerini, leader della corrente riformista e cattolica del Pd, convinto che «sarebbe utile arrivare a scelte condivise sui capigruppo, perché il risultato congressuale è complesso e va interpretato bene, quindi meglio per tutti lavorare in una direzione unitaria». Un modo diplomatico per dire che se al primo giro di boa, Schlein procederà con forzature a senso unico, allora sarà difficile parlare di gestione condivisa di tutte le scelte future.

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Pd senza tregua, martedì i capigruppo ma è tensione

venerdì, Marzo 24th, 2023

Alessandro Di Matteo

ROMA. C’è un clima teso nel Pd, nonostante i sondaggi che danno il partito in ripresa, di nuovo intorno al 20%. La neosegretaria Elly Schlein è riuscita a imprimere una ventata di novità sul piano della comunicazione, ha dato un’impronta molto più “movimentista” e aggressiva al Pd, ma almeno per ora non è riuscita a sedare la tradizionale irrequietezza del partito. Schlein vuole cambiare i capigruppo in Parlamento, lunedì incontrerà i senatori e deputati per fare il punto politico e martedì i due gruppi si riuniranno separatamente per eleggere i nuovi presidenti, che per la segretaria dovranno essere Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga, di area Franceschini, alla Camera. Una scelta che la segretaria difende con determinazione, ma che sta facendo saltare per aria la minoranza e crea qualche perplessità persino tra chi l’ha sostenuta alle primarie.

Parte dei sostenitori di Bonaccini minacciano la conta se non ci sarà «una scelta condivisa», e il presidente Pd ha dovuto convocare per domani una riunione dei parlamentari della sua area, per evitare che partisse addirittura un’iniziativa solitaria dell’ala più battagliera. L’idea che la “gestione unitaria” si esaurisca nella presidenza affidata a Bonaccini e in qualche posto in segreteria non piace a nessuno. E sotto accusa rischia di finire lo stesso governatore dell’Emilia-Romagna. Due parlamentari campani, giovedì scorso, si sfogavano alla buvette: «Lui si è venduto i capigruppo per avere la presidenza», sbottava uno ad un certo punto. Questa, del resto, è anche la versione che raccontano i fedelissimi della Schlein, secondo cui c’era l’accordo. Se lui avesse fatto il vice-segretario – è il loro ragionamento – sarebbe stato un altro discorso, ma avendo scelto di fare il presidente dell’Assemblea, avendo cioè optato per un ruolo di garanzia, si è giocato la possibilità di nominare un capogruppo. Una ricostruzione che però i parlamentari più vicini a Bonaccini smentiscono, convinti che sui capigruppo si sarebbe dovuto ragionare dopo, insieme. Domani, alla riunione dei suoi parlamentari, Bonaccini insisterà nel dire che un capogruppo debba andare alla minoranza, cercando di frenare i più intransigenti che chiedono di andare alla conta: «Noi siamo pronti – dice un parlamentare di “Base riformista”, l’area di Lorenzo Guerini – se non c’è condivisione, chiediamo a Serracchiani di candidarsi alla Camera e a Delrio di fare lo stesso al Senato».

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Schlein tira dritto sui capigruppo, esplodono i malumori: “Così manco Renzi”

venerdì, Marzo 24th, 2023

Elly Schlein, da Bruxelles, prova a buttare acqua sul fuoco, ma con l’avvicinarsi del momento in cui la nuova dirigenza Pd, dopo giorni di contatti e strategie, traccerà una linea e stabilirà i nuovi assetti interni, il clima all’interno del partito torna subito incandescente. “Ci prendiamo questi giorni per proseguire un confronto assolutamente sereno e faremo assieme le valutazioni”, ribadisce la segretaria a chi le chiede se anche Brando Benifei, che guida la delegazione dem al Parlamento europeo, dovrà passare il testimone. Alla fine, in realtà, il capogruppo in Europa – pur avendo sostenuto Stefano Bonaccini alle primarie – dovrebbe essere l’unico a restare.

Schlein, infatti, è pronta a varare il nuovo corso. Lunedì la segretaria riunirà (“finalmente”, commentano dalla minoranza) deputati e senatori e avrà un primo momento di confronto con i gruppi parlamentari. All’odg della riunione, convocata nella sala Berlinguer del palazzo dei gruppi di Montecitorio, c’è una generica “discussione sulla nuova fase politica”, ma l’incontro servirà alla leader dem per tracciare la rotta: non solo poltrone e organigrammi, è la linea, ma battaglie “chiare” in Parlamento e, soprattutto, nelle piazze.

“Staremo in mezzo alla gente fino alle Europee, sarà una nuova era”, assicura chi è vicino alla segretaria. In ogni caso, il giorno dopo è atteso il momento delle dimissioni formali di Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che all’indomani dell’elezione di Schlein hanno rimesso idealmente il mandato nelle mani della segretaria e che ora si preparano ai saluti. E’ qui che montano i malumori. L’accordo sul futuro della guida dei gruppi “è decisamente in salita”, assicurano dalle parti di Bonaccini.

La leader dem, infatti, non avrebbe intenzione di fare passi indietro rispetto alla volontà di indicare due persone provenienti dall’area che l’ha sostenuta alle primarie. I nomi sul tavolo restano quelli di Chiara Braga per la Camera e di Francesco Boccia per il Senato e i bonacciniani, fin qui cauti con le critiche, non nascondono perplessità per la gestione della vicenda. “Speravamo di poter fare insieme una valutazione sugli assetti. Che la segretaria abbia una sua linea ci sta, ma così manco Renzi – è il duro atto d’accusa – Letta ha chiesto le dimissioni dei capigruppo ma ha detto ‘sceglieteveli voi, purché siano donne”.

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Meloni-Macron, il faccia a faccia disgelo dura oltre un’ora e mezza. La premier: dalla Tunisia rischiamo 900 mila arrivi

venerdì, Marzo 24th, 2023

di Marco Galluzzo

L’incontro ieri sera a Bruxelles. Al termine del Consiglio europeo Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si sono incontrati faccia a faccia per il primo bilaterale “vero” dopo gli incontri informali a Roma

Meloni-Macron, il faccia a faccia disgelo dura oltre un’ora e mezza. La premier: dalla Tunisia rischiamo 900 mila arrivi
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DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES Entrano in albergo allo stesso orario, poco prima delle 23. Scelgono una sala privata. Al bar dell’hotel Amigò è già seduto il Cancelliere tedesco con il suo staff. Macron e Meloni invece dicono arrivederci ai loro collaboratori e fanno insieme la scalinata che conduce al primo piano. Le porte si chiudono e a vigilare sulla riservatezza dell’incontro restano le scorte. Se in un primo tempo la notizia era il confronto del disgelo, con il passare dei minuti la prospettiva diventa un’altra: la presidente del Consiglio e il presidente della Francia hanno deciso di parlarsi a tu per tu, da soli . E quando il confronto finisce sono passati 100 minuti, oltre un’ora e mezza. Dopo cinque mesi di gelo i due presidenti avevano tante cose da dirsi.

L’incontro l’ha chiesto lui. Dopo un lungo periodo di incomprensioni, accuse reciproche, parole piccate. All’una di notte sono ognuno nella rispettiva camera, non dicono una parola alle proprie delegazioni. Macron si è lasciato alle spalle un Paese spaccato, con centinaia di migliaia di manifestanti in piazza contro la sua riforma delle pensioni. Eppure ha scelto di esserci, sia al vertice europeo che con la presidente del Consiglio. Per Giorgia Meloni invece è un faccia a faccia che diventa immediatamente, dal punto di vista mediatico, il momento simbolo della sua prima giornata a Bruxelles.
Bastano questi pochi dati di cronaca per definire l’evento comunque eccezionale. Nell’unico altro incontro ufficiale lei non aveva ancora ottenuto la fiducia del Parlamento, e furono le sale dell’hotel Melia, a Roma, ad ospitare una conversazione privata. Non andò benissimo, e le scorie di quel primo confronto si videro poche settimane dopo, con uno scontro diplomatico senza precedenti fra i due apparati istituzionali, sulle responsabilità del porto di approdo di una nave delle Ong.
Da allora le due diplomazie hanno lavorato in silenzio cercando un riavvicinamento. Il Quirinale è intervenuto con una telefonata di Sergio Mattarella al capo dell’Eliseo e con un lavoro fuori dai riflettori che non si è mai interrotto. Alla fine i due leader hanno ripreso a messaggiarsi. Un ulteriore picco negativo nelle relazioni si è avuto, nonostante tutto, quando Macron decise di invitare Zelensky a Parigi, insieme al cancelliere Scholz, escludendo l’Italia.

Eppure, subito dopo, complice un incrocio massiccio di interessi fra i due sistemi economici e politici, che si dispiega in obiettivi paralleli su dossier strategici, dalla difesa all’aerospazio, dall’integrazione delle due economie ad interessi geopolitici convergenti, i due leader hanno ripreso a parlarsi.
Sul piatto dell’incontro c’è di sicuro anche una richiesta francese, quella bollinatura delle tecnologie nucleari fra quelle compatibili alla transizione energetica che per Parigi è essenziale. L’Italia può dare una mano. E certamente, in cambio, può dare Parigi una mano a Roma, in primo luogo sull’esplosiva situazione della Tunisia, ma più in generale su tutto il dossier migranti.

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Elly Schlein a Bruxelles: «Qui per fare rete». Applausi, complimenti (e le tensioni nel Pd)

venerdì, Marzo 24th, 2023

di Francesca Basso

Bonaccini convoca domani la minoranza per decidere come comportarsi nella partita per la scelta dei nuovi capigruppo parlamentari

Elly Schlein a Bruxelles: «Qui per fare rete». Applausi, complimenti (e le tensioni nel Pd)

BRUXELLES — «Energica» e con una «visione». Sono le due caratteristiche che ritornano nelle descrizioni di chi ha ascoltato il discorso di Elly Schlein , «federalista convinta», al suo debutto a Bruxelles da segretaria del Pd al pre-vertice dell’S&D, che riunisce i premier e i leader europei della famiglia socialista prima di ogni Consiglio europeo. Un incontro che non va derubricato a routine perché è stata l’occasione per lanciare il gruppo di lavoro per l’individuazione dello spitzenkandidat e del programma per le elezioni europee del 2024.

Schlein ha fatto il controcanto alla premier Meloni su tutti i temi caldi in discussione al Consiglio europeo, dall’immigrazione alla transizione verde. Unico punto di contatto «il supporto convinto all’Ucraina contro l’invasione criminale della Russia». Sull’immigrazione, per la leader del Pd l’Italia sta sbagliando strategia: «Serve una Mare Nostrum europea, una missione comune di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo che abbia mandato operativo di salvare le vite». Inoltre per Schlein bisogna chiedere fondi per finanziare l’accoglienza ed estendere la protezione temporanea accordata agli ucraini in fuga dalla guerra anche ai migranti che scappano da altre situazioni come le vittime del naufragio di Cutro. Sui dossier green «l’ambizione delle proposte della Commissione continuerà ad avere il nostro pieno supporto — ha detto Schlein (Roma invece le sta contestando) — affinché si creino le competenze per riprofessionalizzare lavoratrici e lavoratori, vi siano risorse in più, anche da parte dell’Ue per accompagnare imprese, famiglie e lavoratori».

Schlein è stata accolta al pre-vertice con un caloroso applauso. C’era attesa e anche curiosità. Si presentava con un biglietto da visita politicamente interessante per i socialisti che rischiano di perdere terreno alle prossime elezioni dopo lo scandalo del Qatargate: il successo delle primarie e degli ultimi sondaggi che hanno mostrato la sua capacità di rivitalizzare il Pd. «Un bellissimo esordio, con un discorso in perfetto inglese e molto apprezzato», ha commentato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Gli fa eco il vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans: «Un’ottima impressione. La conosco da dieci anni, almeno. Ha parlato benissimo, come sempre». Il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic ha ammesso che ormai «tutti già pensano alle prossime elezioni europee e i valori che porta Schlein possono contribuire al risultato».

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Pd in tilt, fumata nera: non c’è accordo sui capigruppo

giovedì, Marzo 23rd, 2023

William Zanellato

Mentre le opposizioni si dividono in Aula votando quattro risoluzioni diverse sulla guerra in Ucraina, il Partito democratico fa i conti con i mal di pancia interni per l’elezione dei capigruppo. La neo segretaria del Pd, Elly Schlein, senza dubbio a proprio agio nelle piazze italiane e nei salotti tv, sembra trovare più di un ostacolo dalle parti del Nazareno. La trattativa interna al Pd sulla scelta delle presidenze dei gruppi di Camera e Senato è ancora in stand by. Oggi arriva l’ennesima fumata nera sui capigruppo: il nodo dovrà essere sciolto nella prossima settimana.

La partita dei capigruppo

La telefonata di domenica scorsa tra i due ex sfidanti, il neo presidente Stefano Bonaccini e la segretaria Elly Schlein, non è servita a chiudere il cerchio delle nomine. La “piccola grande rivoluzione” di Schlein si scontra con la dura realtà: le divergenze all’interno del Nazareno ci sono, condizionano le sorti del partito e influenzano le spartizioni delle poltrone. I nomi in campo, al momento, rimangono gli stessi. Il senatore dem, Francesco Boccia, come capogruppo al Senato e la deputata Chiara Braga alla Camera.

Due schleiniani convinti che, sicuramente, metterebbero in secondo piano la linea riformista del partito invocata da Bonaccini e i suoi. Resterebbero defilate le attuali capigruppo di Camera e Senato, Debora Serracchiani da una parte e Simona Malpezzi dall’altra. Un esponente parlamentare vicino a Bonaccini, raggiunto dall’Agi, descrive così la situazione: “Siamo rimasti all’ipotesi di due capigruppo di maggioranza e su questo non ci siamo. Aspettiamo segnali”. Lo stallo alla messicana all’interno del Nazareno esaspera il nervosismo e allunga i tempi per le nomine.

L’assenza della Schlein

Se da un lato la minoranza del Pd, capitanata da Bonaccini, chiede segnali concreti alla nuova segretaria, dall’altro Schlein scappa e non risponde. Ieri mattina la giovane segretaria non ha partecipato ai lavori dell’Aula di Montecitorio lasciando il Pd “solo” contro le comunicazioni e le relative risoluzioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il programma di Schlein si è spostato a Bruxelles dove ieri ha incontrato gli eurodeputati del Pd.

Una scelta che potrebbe avere un doppio peso politico. Per un verso, i più ottimisti, potrebbero tradurre la decisione della Schlein come una semplice prassi politica, volta a costruire un dialogo con il Pd europeo. Per altro verso, i più maliziosi, potrebbero vederci un modo per allontanarsi dalle difficoltà romane e prendere altro tempo prima di sciogliere il nodo dei capigruppo. Un deputato dem, incalzato dall’Agi, spinge verso la seconda ipotesi: “È passato un mese, ormai, da quando Schlein è stata eletta alle primarie e, da allora, nessun incontro formale con gli eletti è stato convocato”.

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