Archive for Maggio, 2022

Orlando: “Subito nuovi contratti e stipendi più alti, enorme questione sociale da affrontare”

martedì, Maggio 31st, 2022

Annalisa Cuzzocrea

Sostiene Andrea Orlando che quel che ha detto il commissario europeo Nicolas Schmit a La Stampa sia sacrosanto: «Bisogna adeguare i salari italiani all’inflazione». «È questa – spiega il ministro del Lavoro – una delle condizioni per evitare la recessione e fa specie che da noi si alzino strali proprio dal mondo delle imprese, che in quel caso sarebbero le prime a pagare il prezzo più alto».

Com’è possibile che dal 1990 a oggi l’Italia sia l’unico Paese Ue che ha visto decrescere la media degli stipendi del 2,90%? In Irlanda sono aumentati dell’85, in Germania del 33,70, in Francia del 31,10, in Grecia del 30,50.
«Il nostro Paese sconta una perdita di competitività cui si è pensato di far fronte con una flessibilizzazione del costo del lavoro, ma questa strategia non ha funzionato. Le politiche industriali dovrebbero mirare di più a una crescita dimensionale delle imprese e a una migliore collocazione nella catena del valore a livello globale. E poi il problema è l’aumento del dumping salariale, la crisi del meccanismo della contrattazione, la crescita dei contratti pirata. Queste tre cose vanno tenute insieme. C’è un tema di pressione fiscale che va affrontato, ma anche Paesi con tasse uguali o più alte delle nostre hanno visto crescere i salari. Dire solo “tagliare il cuneo”, com’è giusto, non risolve tutta la questione».

Come si risolve?
«Con la tempestività del rinnovo dei contratti e la loro effettiva applicazione. Con la scomparsa dei contratti pirata. Siamo il Paese che più di altri ha una presenza di lavoro nero, di elusione e di mancata applicazione delle regole».

Il presidente di Confindustria dice che sulla cassa integrazione lei ha trattato le imprese come bancomat. E frena su un salario minimo garantito per legge.
«Presumo non gli sia piaciuto che abbia posto il tema del rinnovo dei contratti e dei salari, posto anche dal commissario Schmit, che ringrazio. Devo pensare che Bonomi voglia fare di me un bersaglio polemico o che non sia bene informato. Dice cose che non corrispondono alla realtà. Come il fatto che io voglia dare 5 miliardi di euro ai centri per l’impiego. Fino alla leggenda che sarei io a far pagare la cassa integrazione a Confindustria, quando per la prima volta la riforma degli ammortizzatori chiede in modo commisurato un contributo a settori che non l’avevano mai dato. Addirittura mi mette tra coloro che vorrebbero minare il famoso patto, risolvendo per via normativa quel che va risolto per via negoziale».

Tutto falso?
«Totalmente. Ho fatto una proposta sul salario minimo spiegando bene che anche se si arrivasse a una legge dovrebbe avere a monte un accordo con imprese e sindacati. Non basta evocarli, i patti, bisogna farli. Il ministro li può promuovere, ma non si può sostituire alle parti sociali. Certo se si evocano e non si fanno la politica ha il dovere di assumere l’iniziativa».

Qual è la proposta?
«Estendere l’applicazione del trattamento economico complessivo dei contratti più rappresentativi di un settore a tutti i lavoratori di quel settore. Questo non risolverebbe il tema dell’adeguamento all’inflazione, ma comincerebbe ad affrontare la questione del lavoro povero».

Intravede un accordo?
«C’è la disponibilità di tutte le forze sindacali, Confindustria è perplessa. Bisogna continuare a discutere tenendo conto delle posizioni».

Il ministro per la Transizione digitale Colao ha lanciato un appello agli imprenditori: «Assumete di più, pagate di più, soprattutto giovani e neolaureati».
«Sto facendo lo stesso da mesi per una considerazione molto semplice: siamo di fronte all’impatto sul mondo del lavoro della curva demografica. In Italia entrano meno lavoratori di quelli che ne escono. E succede anche perché altrove i salari sono più alti».

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La guerra del grano nel Terzo mondo riapre la competizione fra due blocchi

martedì, Maggio 31st, 2022

Domenico Quirico

Un fantasma si aggira nel (terzo) mondo: è antico come è antico il grano, immobilizzato nei silos ucraini dove ogni giorno che passa rischia di marcire inutilmente; rinchiuso nelle stive di mercantili che non possono salpare perché i porti sono in guerra; biondeggia inutilmente nei campi del Donbass, quelli non devastati dalle bombe e dai cingoli dei carri armati, dove forse non c’è nessuno che possa mieterlo in pace come ogni anno. Oppure il grano in altri luoghi c’è, è pronto per essere venduto. Ma chi lo ha immagazzinato, lo commercia, ne fissa ogni anno i prezzi aspetta ben lontano dal fragore della guerra. Aspetta che la carestia ne faccia crescere ancor più il prezzo, fino a trasformarlo in oro. Gli speculatori non hanno bandiere.

È il fantasma della Grande Fame. In fila davanti ai forni i poveri del pianeta, dall’Africa alla Asia meridionale, osservano, finora con disperata rassegnazione, i prezzi che salgono ogni giorno come noi guardiamo quella dei carburanti alla pompa di benzina. Possiamo definirla la globalizzazione della fame.

È l’eterno flagello dei conflitti dai tempi in cui gli eserciti quando a primavera (marzo è sempre stato un mese crudele) invadevano il territorio del nemico subito tagliavano il grano ancora in erba o lasciavano che i cavalli pascolassero liberamente nei campi. La fame, ahimè, è sempre stata un’arma efficacissima. Dura nel tempo, appassisce le solidarietà, scatena rivolte.

Si dirà: se ne parla, si organizzano soccorsi, i capi di governo studiano rimedi, promettono «ristori» universali. Nella infinita galleria delle ipocrisie del Terzo millennio occidentale l’allarme per il Terzo Mondo affamato dovremo collocarlo ai primi posti. Certo, ci sono gli encomiabili della misericordia, i volontari e i professionisti della carità internazionale, eterne cassandre che levano la voce contro l’effetto collaterale della guerra europea ai danni degli umiliati e offesi degli altri continenti. Ma siamo sinceri: l’improvvisa attenzione delle cancellerie per il Terzo Mondo puzza di zolfo e di bugia, il timore che le muove, lasciato cadere con noncuranza, è che le inevitabili rivolte della fame determinino un nuovo 2011 con fughe in massa dai Paesi travolti dalla carestia verso le coste europee. Dopo dieci anni fruttuosamente impiegati per nascondere i migranti sotto il tappeto dei «campi di accoglienza» africani ecco che si ripresenta la peste dei barconi stracarichi, delle invasioni, delle rotte della disperazione da bloccare e presidiare.

Ma nel Sud del mondo, che in larghissima parte si è rifiutato di allinearsi con gli Stati Uniti, l’Europa e i loro più stretti alleati nella condanna e nelle sanzioni alla Russia, la guerra e la possibile catastrofe incombente vengono letti in modo diverso. La contrapposizione tra democrazie e tirannidi, che costituisce il pensiero unico occidentale per spiegare la guerra ucraina, non seduce e convince presidenti-padroni, raiss e Colonnelli supremi di regimi, quasi tutti autoritari, di questa parte del pianeta. I più audaci la interpretano come un esempio di prepotenza ai danni di un Paese confinante per arraffare territori e cambiare con la forza le frontiere: un tema che costituisce una regola intoccabile in una parte del mondo dove i confini non sono certo storici o naturali, ma tracciati con la matita e il compasso dai vecchi colonialisti (europei). Accettare il principio della loro modificabilità significherebbe l’apocalisse.

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Giustizia, Bongiorno: “Csm, riforma da migliorare. Referendum flop? Sarà colpa dei media. Solo critiche per Salvini in Russia”

martedì, Maggio 31st, 2022

di Liana Milella

ROMA – La Lega sotto traccia sui referendum? “Bugia, è la stampa che non ci dà spazio”. E Salvini in Russia? “Noto una contraddizione, prima lo si critica perché troppo amico dei russi, adesso si dice che non è in grado di vedere esponenti di primo piano…mah”. Affonderà la riforma Cartabia sul Csm? “Migliorarla non vuol dire affondarla, e poi l’abbiamo già votata”. Dice cosi Giulia Bongiorno, la responsabile Giustizia della Lega, nonché avvocato di Salvini.

Dica la verità: sui referendum un anno fa avete raccolto le firme con i Radicali, ma ora il rischio flop per il quorum e la coincidenza con la riforma del Csm vi rendono assai prudenti nella propaganda…
“C’è un errore di fondo: dare la parola ai cittadini sulla giustizia è già un successo. Ogni sì che arriverà sarà una presa di posizione netta contro chi frena i cambiamenti. E comunque basterebbe menzionare le numerose iniziative della Lega in giro per l’Italia per misurare l’intensità del nostro impegno”.    

È bugia che non ci state mettendo la faccia?
“Questa è una mistificazione che offende tutti coloro che si stanno spendendo come, solo a titolo di esempio, Calderoli, Ostellari, Morrone. La Lega ha organizzato convegni, incontri, gazebi nelle piazze. La gente fino a oggi non è stata adeguatamente informata a causa del silenzio dei media”.

Quindi sarebbe colpa dei giornali…Però ai tempi delle firme il capo della Lega parlava tutti i gioirni di giustizia. Oggi non è così.
“Veramente è un tema che Salvini affronta tutti i giorni. Il referendum è uno straordinario strumento di partecipazione popolare e la giustizia è materia di interesse comune e trasversale”.

Adesso, in verità, la passione di Salvini sembra la Russia. Molti lo stanno criticando per la sua intenzione di vedere Putin, dicendo che sarebbe un inutile spot perché riuscirebbe al massimo a incontrare le quarte file del governo russo. 
“Non ho dettagli su questo viaggio, perché la materia di cui sono responsabile è la giustizia. Non posso però fare a meno di constatare che nei mesi scorsi Salvini è stato aspramente criticato perché troppo vicino ai russi e a Putin, mentre adesso lo si critica per ragioni opposte, e cioè che in questo viaggio non riuscirebbe a incontrare esponenti di primo piano”.  

È credibile Salvini contro le toghe, proprio lui che è un imputato?
“Chi vota sì è contro il correntismo esasperato, non contro le toghe. La maggior parte dei magistrati, che lavora in silenzio e non ha fatto carriera perché fuori dai giochi di potere, sarebbe felice se il sistema cambiasse in senso meritocratico. Salvini ha sperimentato sulla propria pelle a cosa può portare il correntismo quando ha appreso dalle famose chat di Palamara di essere un bersaglio di una parte della magistratura da colpire, a prescindere dalla correttezza del suo operato”.

Ammetterà che perdere i referendum significa contare di meno nella maggioranza e pure rispetto al boom di FdI.
“Con FdI e Fi sulla giustizia abbiamo una sensibilità comune. Più cresce il centrodestra, più aumentano le possibilità di attuare una riforma per una giustizia liberale ed efficiente. Onestamente, questa legislatura dimostra quante resistenze al cambiamento provengono dal Pd e dai 5 Stelle”.

Se il centrodestra vince alle prossime elezioni buttate giù tutto e fate un’altra riforma draconiana contro i magistrati?
“Nessuno ha in mente riforme contro i magistrati. Anzi, credo che i magistrati debbano essere tutelati dalla degenerazione del correntismo. È stato appena celebrato il trentennale della morte di Falcone, ma non vengono citate mai le sue idee, all’epoca all’avanguardia, per rendere il sistema più funzionale ed efficiente. Per esempio, si era espresso a favore della separazione delle carriere. Proprio uno degli obiettivi del referendum del 12 giugno”.

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Il dopo Salvini? E’ già iniziato

martedì, Maggio 31st, 2022

di Stefano Folli

Fino a qualche giorno fa era opinione comune che Matteo Salvini fosse un personaggio politico in declino, sì, ma in grado di arrivare alle elezioni del 2023 e lì giocarsi le sue residue possibilità. I sondaggi lo fotografavano intorno al 15 per cento, ossia meno della metà dei voti ottenuti nelle Europee del 2019, ma pur sempre più di quel che raccoglieva la Lega prima dell’avvento del cosiddetto “capitano”. Peraltro il partito nordista è ben strutturato al suo interno, costruito intorno a un’idea gerarchica che riconduce tutti o quasi i fili del potere al leader. In questo non assomiglia ai 5S, l’altro movimento populista a cui viene spesso e in modo improprio accostato, anche per le memorie del governo giallo-verde del ’18. Ora le certezze sembrano sul punto di sgretolarsi. Come spesso avviene nella Storia, un evento figlio del caso o di un grossolano errore finisce per scoperchiare la pentola in cui l’acqua già stava bollendo, benché si facesse finta di non vedere. L’evento è naturalmente la mancata missione in Russia, su cui è già stato detto tutto. Quel che colpisce è che Salvini abbia preferito imbarcarsi in una simile, imprudente avventura invece di dedicarsi alla campagna per i referendum sulla giustizia del 12 giugno. È come se il capo leghista, uno dei maggiori promotori della consultazione, non avesse alcuna fiducia nella possibilità di raggiungere il quorum. Ma allora perché ha lavorato alla raccolta delle firme? Perché ha teorizzato l’urgenza di chiamare gli italiani a pronunciarsi sulle anomalie del sistema giudiziario? Evidentemente non era un impegno strategico per la Lega, ma solo un diversivo. La vicenda russa, su cui era stato fatto un investimento politico esclusivo, si è invece risolta in un doppio disastro. Da un lato ha danneggiato l’immagine del governo, perché si è visto che un partito importante della maggioranza ha tentato di giocare una sua partita senza raccordarsi con Palazzo Chigi e la Farnesina. Ma soprattutto il danno è per la Lega. Il dilettantismo è una colpa che in politica non si perdona, benché la maggioranza relativa in Parlamento sia tuttora appannaggio di un movimento, i Cinque Stelle, che quattro anni fa trionfò proprio in nome del dilettantismo e dell’incompetenza.

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Il mito rovesciato di Mosca

martedì, Maggio 31st, 2022

di Ezio Mauro

Il mito rovesciato della Russia, come i palazzi di San Pietroburgo che si specchiano al contrario nelle acque della Neva, torna ad agire sull’Europa ipnotizzandola, scompaginandola e – ciò che più conta – dividendola. È un ribaltamento della storia, perché dopo aver insediato al Cremlino la rivoluzione bolscevica, spargendo i semi leggendari del comunismo realizzato in tutto il mondo, oggi Mosca è diventata la capitale dell’autoritarismo conservatore, del nazionalismo reazionario e soprattutto del dispotismo autocratico: l’unico elemento fisso sulla scena russa del potere, nei tre secoli di regno dello Zar, nei sette decenni sovietici governati dal Politbjuro del Pcus e nei 22 anni di dominio dell’ultimo principe, Vladimir Putin.

L’irradiazione propagandistica continuativa che parte dalla piazza Rossa, e che secondo il premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov è potente come la radiazija della centrale di Chernobyl, usa la piattaforma universale della guerra come una moderna ideologia, la prima che torna ad affacciarsi nel secolo da cui ogni eredità ideologica pareva bandita. Sembrava impossibile che dopo il collasso del gigante sovietico il Cremlino riuscisse in così breve tempo a ricostruire una tecnica del potere capace di riconquistare il rango perduto.

E soprattutto a riarmare una struttura teorica, una vera e propria dottrina, in grado di concepire e legittimare il restauro di un’autorità iper-nazionale, anche sotto forma di arbitrio e sopruso. Infine, che tornasse in campo, pretendendo di scrivere la sua quota di storia, e non semplicemente di leggerla.

Invece, sta accadendo. Rinasce la frontiera orientale, la linea di separazione, il punto di distinzione, il meridiano zero, e ritorna a segnare la nostra vita, contendendoci lo spazio e il tempo in una disputa infinita che si rinnova. Poiché per tutta l’epoca della Guerra fredda sembrava costruito con la pietra stessa del Muro di Berlino, il concetto geopolitico di Est pareva incapace di sopravvivere alla caduta di quella barriera armata e alla distruzione di quel punto simbolico da cui cominciava la divisione del mondo.

Devitalizzato politicamente, svuotato di una soggettività sovrana, neutralizzato nella sua dimensione imperiale, ciò che restava della raffigurazione storica dell’Est veniva ridotto alla funzione tecnica di semplice punto cardinale, orizzonte dove sorge la luce del sole, per illuminare avanzando l’Occidente egemone: il cui sistema di credenze – la democrazia – aveva infine vinto, o almeno così credevamo.

Quell’interpretazione politica della storia e della geografia d’Europa orientale riemerge invece violentemente, insopprimibile, rivendicando nella sua ribellione un ruolo per l’Est e riportandolo al centro della scena. E l’incarnazione dell’altra parte del mondo ancora una volta è la Russia, il “nemico ereditario” dell’Europa di cui è parte, il principio antagonista che porta in sé la sfida perpetua di una maestà concorrente, il pretendente imperiale che riemerge.

Dunque non era solo la sovrastruttura bolscevica e leninista il fondamento dell’alterità di Mosca rispetto all’Ovest, ma anche l’autocoscienza della Russia affondata nei secoli, il suo carattere nazionale e popolare perpetuamente dilatato oltre i suoi confini, avvilito e renitente quando il nuovo disegno del mondo lo spingeva a rientrarvi.

Putin si appoggia in modo palese a questa rappresentazione missionaria che la Russia ha di sé, quasi una condanna eroica a un destino che era in sonno, sommerso nella neutralità grigia del post-sovietismo declinante, e che il Cremlino ha risvegliato. Ed esattamente qui avviene lo scambio di riconoscimento reciproco tra il potere e i sudditi, che è la base ambigua del consenso popolare “all’operazione speciale” in Ucraina.


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Kuleba: “Sul grano accordo possibile entro 15 giorni se Mosca garantirà all’Onu di non attaccare Odessa”

martedì, Maggio 31st, 2022

dal nostro inviato Fabio Tonacci

Ministro Dmytro Kuleba, qual è per voi la soluzione migliore per sbloccare l’esportazione del grano ucraino?

“Lanciare un’operazione internazionale nel Mar Nero con l’aiuto di Paesi amici disponibili a inviare le loro navi per sminare le acque e scortare il passaggio dei cargo commerciali, a cominciare da quelli di Odessa. Si può fare solo con un impegno formale della Russia a non usare il corridoio per attaccarci”.

E’ l’ipotesi di cui hanno parlato al telefono Scholz, Macron e Putin. Vi fidate dei russi?

“No, nessuno si può fidare dei russi. Bisogna stare molto attenti, per questo non ci basta la garanzia unilaterale del Cremlino. Servono Paesi terzi che si prendano la responsabilità di far rispettare l’accordo. Ci va bene anche l’intervento delle Nazioni Unite. Il nostro primo interesse è che il nostro frumento arrivi alle nazioni che ne hanno bisogno”.

A che punto è la trattativa su questo?

“In fase avanzata. Siamo in contatto sia con l’Onu sia con gli Stati garante”.

Quando vedremo i cargo salpare da Odessa?

“E’ una corsa contro il tempo. Per evitare conseguenze disastrose, lo sblocco dei porti deve avvenire entro due settimane al massimo. Naturalmente, la migliore opzione sarebbe la fine della guerra, ma Putin non vuole”.

A quali condizioni ripartirà il negoziato di pace?

“Noi non poniamo condizioni specifiche e non abbiamo nulla in contrario a ritornare al tavolo, vogliamo solo che i delegati russi dimostrino di avere reale intenzione di trattare. Putin, invece, sa solo dare ultimatum. Guardate quel che sta accadendo: l’invasione del Donbass è brutale, nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia portano avanti l’annessione dei territori occupati e sparano missili sulle città. Se vuoi negoziare veramente non ti comporti così”.

Secondo alcune indiscrezioni, il presidente Zelensky è pronto a un colloquio con Putin alla presenza del presidente turco Erdogan. Conferma?

“Al momento non c’è questa possibilità. Quel che è vero è che Erdogan sta giocando un ruolo importante nei negoziati di pace e farà un altro giro di conversazioni con Zelensky e con Putin, separatamente”.

Perché la Turchia ha assunto il ruolo di playmaker?

“Dal 24 febbraio l’Ucraina accoglie con favore ogni iniziativa di mediazione avanzata da Paesi esteri. Tra tutti, la Turchia ha ottenuto di più organizzando il vertice delle due delegazioni a Instanbul. Molti hanno provato, Erdogan c’è riuscito. Puntiamo molto su di lui”

La proposta italiana è stata rigettata da Mosca e da Kiev. Cosa non andava?

“Tutte le proposte sono benvenute, ma a una condizione: l’integrità territoriale dell’Ucraina deve essere il presupposto base. Oltretutto, il clamore mediatico attorno al Piano italiano non ha aiutato, ma questa è una mia opinione personale. In ogni caso, l’Italia è sincera. Ci sono invece Paesi che fingono di essere interessati alla mediazione solo per trovare una scusa per mantenere relazioni dirette e amichevoli con Putin. Ecco, le loro proposte non sono benvenute”.

Di quali Paesi sta parlando?

“Preferisco essere diplomatico, almeno su questo…”

Siete in contatto con i combattenti dell’Azovstal detenuti nella Repubblica separatista di Donetsk?

“Siamo in contatto coi russi, lavoriamo per far tornare i nostri soldati a casa. Ci risulta che siano trattati adeguatamente”.

I filo-russi del Donbass vorrebbero un processo stile Norimberga. Se lo faranno, sarà l’ostacolo definitivo al negoziato di pace?

“Ogni guerra finisce con la pace. Da un punto di vista ideale, niente deve rovinare il negoziato e bisogna lasciare sempre uno spazio per trattare. Quel processo, se decideranno di farlo, complicherebbe tutto”.

C’è chi ritiene che Gran Bretagna e Stati Uniti non siano realmente interessati al cessate il fuoco e che preferiscano un conflitto lungo termine che indebolisca il più possibile la Federazione Russa.

“In Occidente ci sarà sempre chi ritiene che per stare tranquilli bisogna abbracciare e baciare Putin, concedendogli tutto ciò che pretende. Qualcuno, per pensarlo, è pagato dal Cremlino. Altri invece sono intellettualmente dipendenti dalla Russia e non riescono ad ammettere che, oggi, non stiamo trattando con Pushkin, Tchaikovsky o Dostoevskij ma con chi uccide i nostri bambini e stupra le nostre donne. Non credo affatto che Usa e Gran Bretagna preferiscano la guerra, anzi, apprezziamo tanto il loro aiuto”.

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La lentezza pericolosa dell’Europa

martedì, Maggio 31st, 2022

di Danilo Taino

Il premier lettone ha detto che bloccare il greggio costerà all’Unione, «ma è solo denaro, gli ucraini pagano con la vita»

«Non ci siamo ancora», aveva detto Ursula von der Leyen prima del Consiglio europeo di ieri a Bruxelles. Un compromesso è stato in realtà raggiunto ma la fatica dei leader nel sostenere l’Ucraina è risultata evidente. Il vertice era stato convocato per approvare, tra l’altro, il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca. Finalmente, l’accordo è stato trovato ma era il 4 maggio quando la presidente della Commissione di Bruxelles aveva proposto una nuova serie di misure, la più importante delle quali è il blocco delle importazioni di petrolio e derivati. Da allora, sono passati 27 giorni, mentre la guerra ha corso, durante i quali i capi di Stato e di governo hanno dovuto registrare divisioni e mancanza di senso dell’urgenza. Il blocco ci sarà ma entro fine anno, quando la guerra sarà probabilmente finita. Nonostante il via libera di stanotte, a Kiev e in alcune capitali europee il timore è che la determinazione di certi governi a sostenere l’Ucraina sia in recessione.

L’invasione lanciata da Putin è entrata in una fase decisiva che potrebbe determinare gli esiti della guerra. Sul terreno, l’Armata russa sta compiendo passi avanti e l’esercito di Kiev al momento è in difficoltà.

Il Cremlino spinge per ottenere successi, per conquistare porzioni di Ucraina (che spesso ha devastato) e per verificare fino a dove può arrivare prima di proporre un cessate il fuoco che potrebbe nominalmente chiamare vittoria. Di fronte all’evolvere delle operazioni militari, i movimenti lenti delle diplomazie e della politica europee sono palesemente fuori tempo. Per evitare una vittoria del Cremlino, occorre, oltre alla resistenza degli ucraini, che la Russia esaurisca materiale bellico e denaro: questo è il senso delle sanzioni sul petrolio (e, in prospettiva ancora più difficile da raggiungere, sul gas). Il fatto che arrivino lentamente alza una serie di interrogativi e indebolisce il fronte che non vuole vedere l’esercito di Putin tornare a casa con un pezzo di Ucraina, premio per l’aggressione.

Nominalmente, le ragioni dei lunghi contorcimenti per arrivare al sesto pacchetto di sanzioni sono la minaccia di veto del primo ministro ungherese Viktor Orbán e la necessità di trovare un compromesso sull’import di petrolio russo che non favorisca alcuni Paesi europei a scapito di altri. In realtà, l’opposizione di Orbán ha consentito a più di un governo di continuare a comprare per più giorni greggio da Mosca. E le discussioni sulla necessità di garantire la concorrenza nel mercato unico dell’energia sono un dettaglio rispetto al «quadro più ampio» della guerra, ha detto ieri il premier lettone Krišjanis Karinš: bloccare il greggio costerà all’Europa — ha aggiunto — «ma è solo denaro, gli ucraini pagano con la loro vita». Il guaio è che, alla radice delle lentezze, tra i 27 ci sono differenze di valutazione di portata strategica.

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Salvini a Mosca, in campo il Copasir. Draghi cauto per difendere il governo

martedì, Maggio 31st, 2022

di Monica Guerzoni

Riflettori sul ruolo di Antonio Capuano, il consulente diplomatico del segretario leghista. Il fastidio del Vaticano per essere stato chiamato in causa

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Lo stupore della Farnesina, di Palazzo Chigi e del Quirinale per il piano di pace che Salvini vorrebbe portare a Mosca investe il Parlamento e interpella il Copasir. Il Comitato per la sicurezza della Repubblica sta valutando l’apertura di un dossier che avrebbe al centro la figura di Antonio Capuano, il consulente diplomatico del segretario leghista che si è mosso con l’ambasciata russa per organizzare la missione. E così le dichiarazioni dell’avvocato ed ex deputato di Forza Italia potrebbero finire sul tavolo di Franco Gabrielli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti.

Elio Vito, che del Copasir fa parte, ha presentato un’interrogazione a Draghi e a Di Maio per sapere se fossero informati degli incontri di Salvini e Capuano con ambasciate straniere, che per il deputato di Forza Italia «possono compromettere la nostra sicurezza nazionale». Il Copasir, che nel 2019 si era occupato del caso Moscopoli, non acquisirà documenti e informazioni sul segretario della Lega, non avendo titolo per valutare l’attività politica di un parlamentare che non abbia violato un segreto di Stato o messo a rischio la sicurezza del Paese. Ma Capuano parlamentare non lo è più ed è su di lui che potrebbero accendersi le luci del Copasir.

Per il Pd l’idea della visita a Mosca rischia di «gettare un’ombra pesante sull’Italia». Enrico Borghi e Lia Quartapelle chiedono a Salvini di chiarire a Draghi le ragioni di una «iniziativa ambigua e sbagliata sotto il profilo diplomatico, istituzionale e politico». I Radicali italiani vogliono sia il premier a convocare con urgenza Salvini perché la sua iniziativa «rappresenta la prova che l’Italia è il ventre molle della Ue, in cui gli uomini di Putin possono trovare complicità, connivenze, alleanze».

La missione di Salvini è congelata, o forse fallita, eppure continua ad agitare i palazzi della politica. E un certo fastidio per le dichiarazioni di Capuano si coglie anche nelle stanze vaticane. Salvini venerdì ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, il quale non avrebbe benedetto il viaggio, ma si sarebbe limitato ad ascoltare: la Santa Sede non intende entrare nelle altrui mediazioni, dal momento che papa Francesco, come ha detto al Corriere un mese fa, è pronto ad andare a Mosca per parlare di pace con Putin.

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Descalzi (Eni): «Serve una strategia comune dell’Unione europea per l’energia. Sì a un tetto del gas»

martedì, Maggio 31st, 2022

di Daniele Manca

C’è forse un altro periodo che ha visto l’Italia muoversi nel Mediterraneo e in generale nei Paesi fuori dai blocchi geopolitici mondiali con la stessa forza di queste settimane e mesi. Si deve risalire agli anni Sessanta per avere un’idea di che cosa significa tessere le fila di alleanze, muoversi affinché l’evoluzione geopolitica globale sia pacifica e al tempo stesso garanzia di sviluppo per i Paesi e le relazioni economiche. Erano gli anni in cui Paesi come l’Algeria, l’Egitto la stessa Libia che si stavano affrancando dalla dominazione coloniale, cercavano interlocutori nel mondo occidentale. Anni in cui si erigevano muri-simbolo della Guerra fredda. Oggi la guerra è purtroppo reale e vissuta drammaticamente dal popolo ucraino all’indomani dell’invasione russa. Le sue conseguenze economiche sono però diffuse in ogni angolo del mondo e si misurano in termini di bollette elettriche, e in genere energetiche, che aumentano, in prezzi che corrono alimentando l’inflazione.

Avere antenne su quanto sta accadendo dell’energia, della sicurezza energetica, degli approvvigionamenti, è quanto mai prezioso. Claudio Descalzi dal 2014 è a capo dell’Eni dopo 30 anni trascorsi prima coordinando i lavori direttamente sui giacimenti e poi via via con responsabilità crescenti nel gruppo. Un tempo si definiva petrolifero e oggi è molto di più con attività che vanno dalla ricerca alla decarbonizzazione, dalle rinnovabili passando per i servizi, il nucleare da fusione. Descalzi è appena tornato da Washington dove prevede di tornare a giorni. Nella capitale Usa ha ricevuto, primo italiano del mondo imprenditoriale, il Distinguished Business international award dell’Atlantic Council, nello stesso giorno nel quale è stato premiato il presidente del Consiglio Mario Draghi. Un riconoscimento che arriva per la trasformazione tecnologica dell’azienda orientata alla completa decarbonizzazione, all’indomani degli importanti accordi firmati dall’Italia con Algeria, Egitto Congo e Angola per «ottenere nuove opportunità di forniture energetiche per il nostro Paese e per l’Europa».

È evidente che in Europa si sia sottovalutata la situazione. Ma nuove opportunità significa riuscire a potersi sganciare dalla forniture da un partner poco affidabile come la Russia?

«Facciamo un passo indietro. Già prima del conflitto eravamo nel mezzo di una crisi dei prezzi del gas derivante dalla drastica riduzione degli investimenti nella ricerca e sviluppo di idrocarburi, che sono passati da 800 a circa 400/350 miliardi di dollari all’anno e da una conseguente carenza d’offerta a fronte del rimbalzo economico del post Covid».

Guerra o non guerra ci saremmo trovati in questa situazione…

«Il rimbalzo delle economie era evidente. Ma senza energia si fermano industria, sanità, persino l’educazione»

E quindi?

«E quindi il traino delle economie asiatiche, le manovre di stimolo alle economia sia fiscali sia monetarie hanno permesso una cosa alla quale in ogni angolo del mondo si puntava: la crescita. Il post Covid ha determinato una correzione nell’offerta delle fonti. Tenga conto che ancora oggi il 37% dell’elettricità mondiale proviene dal carbone, peraltro producendo il 72% di emissioni di C02».

Immagino che con la guerra…

«Con la guerra la crisi si è accentuata, con una volatilità e picchi di prezzo che peraltro non riflettono i flussi reali del mercato. Oggi la Russia esporta di più di prima».

C’è stata anche speculazione insomma…

«Come sempre accade in questi casi nel mondo della finanza. E’ evidente però che l’emergenza di una potenziale e improvvisa mancanza di gas russo ci ha nuovamente messi di fronte a una sicurezza energetica mondiale non scontata».

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi |Vertice Ue, raggiunto l’accordo sull’embargo al petrolio russo. Zelensky: «Restate uniti»

martedì, Maggio 31st, 2022

di Francesco Battistini, Marta Serafini

Le notizie di martedì 31 maggio sulla guerra, in diretta. Nell’intesa dell’Ue, oltre all’embargo sul petrolio russo (con eccezioni da tenere d’occhio) c’è l’ingresso nella black list del patriarca Kirill e l’esclusione dal sistema Swift di Sberbank

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Mariupol (Afp)

• La guerra in Ucraina è arrivata al 97esimo giorno.
• Il presidente turco Erdogan ha proposto, nel corso di una conversazione telefonica con l’omologo russo Putin, di tenere un incontro a Istanbul tra le delegazioni di Russia, Ucraina e Onu.
• I russi avanzano nel Donbass: vicina alla resa la città di Severodonetsk, dove ieri è stato ucciso un giornalista francese.
• La procuratrice generale di Kiev, Irina Venediktova, ha annunciato il primo processo a un militare russo accusato di stupro. A finire alla sbarra sarà Mikhail Romanov.
• Il presidente Usa Joe Biden ha detto che non prevede di spedire missili in Ucraina che potrebbero raggiungere il territorio russo.
• Raggiunto nella serata di ieri al vertice europeo un accordo sull’embargo al petrolio russo che è parte del sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca.

Ore 08:14 –

Ore 08:14 – Petrolio: in netto rialzo, Brent a 123,32 dollari (+1,36%)

Petrolio in netto rialzo dopo l’accordo al vertice europeo sull’embargo all’oro nero russo: il Brent è trattato a 123,32 dollari al barile, in rialzo dell’1,36%, riaggiornando i livelli massimi toccati negli ultimi 2 mesi. Il Wti è a 118,57 dollari al barile con un progresso del 3,04%.

Ore 08:13 – Bambin «rubati» in Ucraina, il decreto di Putin che autorizza l’adozione

(Federico Fubini) Il sacco dell’Ucraina muove ogni giorno un passo più in là. Dopo il grano del Donbass e l’acciaio di Mariupol, inizia ufficialmente anche il grande furto dei bambini. Vladimir Putin ha già conquistato ampie aree dell’Est e del Sud del Paese e non sta perdendo tempo nel confiscare quanto l’Ucraina possiede di più prezioso o di quanto alla Russia manca più drammaticamente. Di questi giorni sono le informazioni sui trasporti di metallo verso Rostov-sul-Don attraverso il Mar d’Azov o di quelli di cereali dalle città sotto il tallone di Mosca.

Ieri però il dittatore del Cremlino ha messo la sua firma sulla decisione forse più sfrontata : un «ukaze» (editto) per fare bottino di guerra anche dell’infanzia della nazione aggredita. L’obiettivo è russificare a forza gli orfani e i minori strappati ai loro genitori in Ucraina, obbligarli a un giuramento di adesione e fedeltà al regime che ha distrutto le loro famiglie, dar loro nuove madri e padri schierati con l’esercito che sta oggi devastando le loro terre. L’intenzione dell’ukaze di Putin è fare dei piccoli ucraini senza più genitori — migliaia di loro nelle regioni sottomesse — giovani russi che in futuro potranno unirsi all’esercito di Mosca . Anche per questo l’invasore porta via tutto ciò che può, finché può, mentre ancora la guerra infuria.

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Ore 08:05 – Ambasciatore russo a Vienna: «Ue si contraddice, presto nuovi importatori»

L’ambasciatore russo a Vienna Mikhail Ulyanov polemizza su Twitter con i leader dell’Unione europea e sottolinea le loro contraddizioni: in particolare, considera «giusta» l’affermazione di ieri della presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, sul fatto che la Russia troverà presto nuovi importatori di petrolio.

«È degno di nota – sottolinea Ulyanov – il fatto che ora contraddice la sua affermazione di ieri. Un cambio di mentalità molto rapido indica che l’Ue non è in buona forma». In un altro post, in cui commenta L’annuncio del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel sull’embargo al petrolio, non si trattiene dal «porre una domanda provocatoria e irresponsabile nella mia veste privata (non ufficiale). Se l’Ue è così ansiosa di tagliare la maggior parte delle forniture petrolifere russe entro la fine dell’anno, perché la Russia non può decidere di soddisfare le aspirazioni europee molto prima come gesto amichevole?».

Ore 07:04 – Cos’è questo accordo sull’embargo al petrolio russo raggiunto dall’Ue

(Gianluca Mercuri) L’Unione europea ha finalmente raggiunto l’accordo sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, quello che riguarda il petrolio e che era stato annunciato dall’inizio di maggio.

Dopo negoziati che si sono trascinati fino a notte, l’Ungheria ha ottenuto la deroga che cercava, ma il suo «no» all’embargo ha aiutato anche altri Paesi a dissimulare dubbi e divisioni. Quelle inevitabili tra 27 Stati alle prese con scenari imprevedibili fino a pochi mesi fa, e con interessi geostrategici che non possono coincidere automaticamente.

Ma sono anche le divisioni che permettono ai russi di procedere, in modo lento ma all’apparenza inesorabile, nella conquista del Donbass.

È un’intesa complicata per la tempistica, le eccezioni, i calcoli sulla sua durata e le valutazioni sulle sue conseguenze.

Punto per punto:
Embargo solo via mare
Il divieto d’importazione riguarderà solo il petrolio che arriva via mare, non quello che arriva attraverso l’oleodotto Druzhba, che rifornisce l’Ungheria ma anche Germania e Polonia. Anche la Repubblica ceca ha ottenuto una deroga di 18 mesi. Per tutti gli altri Paesi il divieto entrerà in vigore entro la fine dell’anno.
Quanto petrolio russo sarà bandito? «Il blocco permetterà di tagliare due terzi del petrolio importato dalla Russia», assicura il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. «Vieterà il 90% del greggio russo», calcola invece Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea considera infatti l’impegno di Germania e Polonia a fare a meno entro l’anno del petrolio russo, anche di quello che arriva via oleodotto. E quindi l’unica deroga riguarderà l’Ungheria, che importa solo il 7% del totale europeo. Il suo premier Viktor Orbán può dunque proclamarsi vincitore, anche se l’Ue sottolinea la temporaneità della deroga.
Qual è la posizione italiana? L’Italia, insieme ad altri Paesi, si era mostrata perplessa sul rischio che Germania e Polonia sfruttino a loro vantaggio la deroga ottenuta dall’Ungheria. Non a caso, Draghi aveva chiesto di «mantenere unità sulle sanzioni» sottolineando che «l’Italia è d’accordo sul pacchetto purché non ci siano squilibri tra gli Stati Ue». Ora Roma si aspetta che Berlino e Varsavia mantengano l’impegno.
Le altre misure
Oltre all’embargo, il sesto pacchetto di sanzioni prevede l’esclusione dallo Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, il sistema che consente le transazioni interbancarie) di Sberbank, la principale banca russa, e l’inserimento nella blacklist di altre personalità, tra cui il patriarca ortodosso Kirill.
Ma qual è il valore politico dell’embargo?
Per capirlo bisogna leggere Danilo Taino: «Il blocco ci sarà ma entro fine anno, quando la guerra sarà probabilmente finita. Nonostante il via libera di stanotte, a Kiev e in alcune capitali europee il timore è che la determinazione di certi governi a sostenere l’Ucraina sia in recessione. L’invasione lanciata da Putin è entrata in una fase decisiva che potrebbe determinare gli esiti della guerra».

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